Fra riflessione teorica e esperienza didattica
Il passato è un campo di rovine ma l’utopia della scrittura può riscattarlo.
Niente solleva le pietre, ma la scrittura sarà in grado di farci leggere le macerie[1].
Goffredo Fofi afferma:
[...] colpisce molto che la migliore letteratura italiana recente senta il bisogno di tornare alla storia [...] come sfondo o come oggetto di evocazioni solide, socialmente ed eticamente determinate, e ben documentate. È una letteratura che si interroga sul “da dove veniamo” per capire “chi siamo”, attraverso vicende in cui privato e pubblico si intrecciano in modi diversi a seconda delle scelte di ciascun autore, ma pur sempre sullo sfondo di dilemmi che sono importanti per tutti, su eventi e contraddizioni che hanno finito per condizionare il nostro presente [2].
Se è vero che tanta parte della letteratura contemporanea intreccia un dialogo fecondo con la Storia, è necessario che la scuola sia capace di trarre da questa rinnovata relazione nuovi suggerimenti, cercando di rispondere a questioni nodali per chi insegna: a quali obiettivi mira l’insegnamento della Letteratura? E in che modo la Storia concorre al loro conseguimento?
Il binomio ‘letteratura e storia’ è tale [...] da aprire al lettore prospettive quasi illimitate su problemi di teoria della letteratura e di metodo critico, tutti inerenti alla natura sociale dell’arte [3].
D’altra parte, se le finalità dell’insegnamento dell’Italiano nel nostro sistema di istruzione sono culturali e pragmatico-funzionali, ciò vuol dire che il fine ultimo di questo insegnamento è «capire e farsi capire: capire criticamente, saper esprimere il proprio pensiero critico. Ma, poiché non basta parlare o scrivere, occorre essere ascoltati e letti»,[4] compito precipuo dell’insegnante è quello di scegliere testi che attivino l’interesse degli studenti e che rendano possibile la germinazione di quella comunità ermeneutica che si auspica diventi ogni classe adeguatamente guidata dal proprio docente.
«Oggi, in ogni campo disciplinare (storia, diritto, filosofia, scienze) il discorso sembra articolarsi di preferenza secondo modalità narrative»,[5] ma non per questo la conoscenza della storia da parte degli studenti deve essere demandata alla capacità affabulatoria del docente. È piuttosto affidandosi alla testualità, documentaria e letteraria, che si può attivare il loro interesse per un passato che diventi chiave per la comprensione del presente. Punto di partenza di ogni percorso conoscitivo sarà dunque proporre agli studenti la lettura di testi chiave, individuando dei segmenti temporali che forse più di altri chiedono di essere indagati.
A questo proposito, Claudio Magris sostiene che
La fetta di tempo che dobbiamo chiamare presente, e dunque sia pur superficialmente conoscere, è difficile da delimitare con precisione, ma è o dovrebbe essere ben chiara all’immediata, sensibile consapevolezza. […]
Ignorare chi siano stati Stalin o Hitler non è come ignorare chi sia stato Pericle - cosa certo assai grave sul piano culturale, mancanza che impoverisce la vita e l’intelligenza, ma non impedisce di attraversare la strada come l’ignoranza del semaforo rosso. La mancanza di memoria che riduce la vita a un pugno di mesi o di anni impedisce di guardarsi intorno, di orientarsi nel caos della vita e della storia e rende meno improbabile finire schiacciati.[6]
Indubitabilmente, il compito primario della scuola è quello di formare dei cittadini, aiutando gli studenti ad acquisire senso critico, affinché possano sempre esprimere la propria opinione con cognizione di causa, e ritengo che ogni docente debba concorrere a questo scopo utilizzando gli strumenti propri del suo specifico disciplinare. E nello specifico disciplinare dell’insegnamento letterario non dovrebbe essere neppure concepibile che i ragazzi concludano il proprio ciclo di istruzione senza essere venuti consapevolmente a contatto con la letteratura non fiction, tenendo conto del fatto che le suggestioni che da essa provengono permeano tutta la contemporaneità. Un percorso di scrittura orientato verso generi non fiction permette di ordire un canovaccio realizzato con eventi realmente accaduti sui quali si possa innestare una finzione opportunamente documentata. È quello che accade, ad esempio, se ci si cimenta nella scrittura del racconto storico, che richiede un’approfondita conoscenza dell’argomento, la necessità di effettuare ricerche, raccogliere materiale, ricostruire un immaginario condiviso.
Il realismo è la ricerca di una rappresentazione per quanto possibile "oggettiva" del mondo, vicina al (tangibile, materialissimo) "compromesso percettivo" chiamato "realtà"; presuppone quindi un lavoro sulla denotazione, sui significati principali e condivisi, ci suggerisce Wu Ming in New Italian Epic 2.0.[7] Ebbene, è proprio a partire dai concetti di denotazione e connotazione che è possibile attuare percorsi di scrittura che, saldando il passato al presente, permettano contemporaneamente di rafforzare le abilità espressive, e dunque la facoltà di esprimersi liberamente.
È questa, ad esempio, la direzione in cui si muove il concorso di scrittura Che storia! ideato da Amedeo Feniello e Pietro Petteruti Pellegrino, di cui vale la pena di ricordare finalità e obiettivi:
L’esperienza didattica dimostra che scrivere racconti su temi, avvenimenti e personaggi storici è per gli alunni delle scuole superiori una modalità coinvolgente di apprendimento e insieme un’opportunità privilegiata di maturazione psicologica e di crescita culturale e civile, soprattutto se l’esperienza avviene con modalità che privilegiano il lavoro di gruppo.
Infatti, impegnarsi con i propri compagni a raccontare il passato permette di costruire in modo cooperativo i percorsi di lettura, ricerca e scrittura, stimola la curiosità, rafforza i legami, modella le diversità. La libertà di scegliere l’argomento, la trama, la struttura, lo stile e le parole da una parte e il rispetto dei vincoli di spazio, tempo, tipologia testuale, coesione e coerenza dall’altra contribuiscono a consolidare e affinare le conoscenze e le competenze degli studenti, interrogandone la personalità e la cultura in ogni fase dell’esperienza. Raggiungere l’obiettivo di riuscire a raccontare la Storia con storie ben costruite e ben scritte si trasforma così in consapevole esercizio di cittadinanza attiva e democratica.[8]
Sposandone pienamente gli obiettivi, la cui ricaduta didattica è potentissima, ho sempre fatto partecipare le mie classi al concorso, sviluppando di volta in volta percorsi diversi, coerenti con le attività programmate e, soprattutto, con i profili di interesse dei ragazzi.
I campi di ricerca cui le classi si sono dedicati, che illustrerò brevemente, sono pertanto estremamente vari ma tutti si sono attenuti a un principio di base:
Il fondamento dell’etica è nella capacità di immedesimarsi con un altro e di immaginare le conseguenze delle proprie azioni e dei propri pensieri. Un comportamento morale non è neppure concepibile senza la capacità di immaginare se stessi in una condizione diversa dalla propria e dall’attuale. […] Non il leggere di per sé, ma il leggere la migliore e la grande letteratura come repertorio di innumerevoli esperienze reali e possibili custodite in un linguaggio adeguato: è questo che incrementa l’immaginazione e quindi può ispirare comportamenti privati e pubblici meno ottusi e meno insensati.[9]
La prima classe con cui ho lavorato al progetto, una terza liceale, era stata invitata a scegliere autonomamente l’ambito cronologico in cui ambientare la storia. Alcuni ragazzi volevano raccontare la seconda guerra mondiale, altri, la maggior parte, storie di camorra. Si è deciso di costruire un intreccio che contenesse entrambe le proposte: un testo composito nella sua tessitura in tutti i sensi. Ho quindi fornito agli studenti del materiale di riferimento che li aiutasse a orientare il loro immaginario, proponendo loro la lettura di Napoli ’44 di Norman Lewis[10] e la visione del film omonimo di Francesco Patierno.[11] La partecipazione allo spettacolo Dieci storie proprio così,[12] messo in scena il 7 febbraio 2018 al Teatro S. Ferdinando di Napoli, ha consentito agli studenti di conoscere molte storie di vittime innocenti della criminalità organizzata. Nato come opera-dibattito sulla legalità, lo spettacolo ha debuttato nella stagione 2011 al Teatro San Carlo di Napoli, arricchendosi ogni anno di nuovi contenuti. Si tratta di una ragionata provocazione contro quella rete mafiosa, trasversale e onnipresente, che vorrebbe sconfitta la coscienza collettiva, la capacità di capire e reagire. I ragazzi hanno visto lo spettacolo, partecipato a due incontri di approfondimento e visionato in anteprima il docufilm Dieci storie proprio così andato poi in onda allo Speciale TG1 dell’8 aprile 2014.[13] Anche la app #NONINVANO[14] è stato un utile strumento di consultazione per gli studenti. È grazie ad essa che i ragazzi hanno scelto le storie da raccontare, prediligendo fra le tante messe su carta da ognuno di loro quelle che sentivano più vicine. Insieme alla storia di Annalisa Durante, uccisa quando aveva pressappoco la loro età e che frequentava la stessa scuola che alcuni di loro hanno frequentato, i ragazzi hanno voluto raccontare quella di Petru Birladeanu, fisarmonicista rumeno ucciso il 26 maggio 2009 durante una sparatoria presso la stazione di Montesanto della ferrovia Cumana, che molti di loro usano quotidianamente.
Le motivazioni del II premio che i ragazzi hanno conseguito con il loro lavoro ne illustrano il percorso progettuale: i ragazzi hanno costruito due piani narrativi intersecandoli fra loro
delineando due diversi teatri di guerra, l’uno storico e l’altro contemporaneo, entrambi drammatici. Protagonista inconsueto, con una scelta originale e straniante, è un proiettile, che racconta le storie dalla sua prospettiva. Un proiettile glaciale nel descrivere le proprie caratteristiche tecniche e insieme umano nel registrare sensazioni ed emozioni. Più veloce del pensiero, più rapido di qualunque azione umana, decisivo e conclusivo, nella sua azione e nella sua missione di morte. Coinvolgono emotivamente i racconti vicini alla nostra storia di Annalisa Durante e di Petru Birladenau, due delle tante vittime collaterali di un conflitto che ancora oggi addolora e insanguina una delle maggiori città d’Italia, Napoli. Ed emoziona la consapevolezza della funzione sociale della memoria e del racconto, espressa anche nella riflessione finale: «In Italia ci sono territori in cui esiste una guerra che si combatte ogni giorno, ogni notte e ogni ora. Deve essere raccontata».[15]
Che la storia abbia «una vocazione sociale, anche quando smette i panni della scienza e indossa quelli della pura narrazione»,[16] è stato chiaro da subito a tutti gli studenti cui ho proposto la sfida di rielaborare in chiave letteraria suggestioni provenienti dal passato. Un progetto particolarmente articolato, conclusosi anch’esso con la partecipazione dei lavori dei ragazzi al concorso Che storia!, è ad esempio quello ho proposto a una quarta liceale della scuola in cui insegno, intitolata a Eleonora Pimentel Fonseca: la ricostruzione in chiave narrativa della Rivoluzione napoletana del 1799.[17]
Il primo approccio con lo studio della letteratura del Settecento è avvenuto in maniera filtrata, attraverso lettura del romanzo di Enzo Striano Il resto di niente[18] accompagnata dalla visione del film omonimo girato da Antonietta De Lillo.[19] Dopo questo primo passaggio, volto a fondare un immaginario condiviso, la ricostruzione del quadro storico è stata affidata soprattutto a stimoli letterari: un’ampia selezione di passi della Scienza della legislazione di Filangieri[20] e delle Lettere accademiche di Antonio Genovesi,[21] i quattro Catechismi repubblicani stampati a Napoli nel 1799,[22] il Saggio Storico sulla Rivoluzione Napoletana del 1799 di Cuoco,[23] gli articoli del «Monitore Napoletano» dedicati al problema dell’istruzione.
È stato lo studio del passato a spingere gli studenti a interrogarsi su alcuni nodi irrisolti del loro presente, portandoli a osservare con attenzione le complesse dinamiche sociali che caratterizzano Napoli, la città in cui vivono. Volgendo dunque lo sguardo alla contemporaneità, i ragazzi hanno letto numerosi articoli di «Napoli Monitor», rivista di inchiesta socioculturale che fin dal titolo si ispira ai principi della rivoluzione napoletana, e i racconti raccolti nel volume collettaneo Napoli nessuna e centomila,[24] soffermandosi su Vico dei Miracoli, di Rosario Esposito La Rossa e Ragazzi invisibili, di Maurizio Braucci. È in particolare quest’ultimo racconto, il cui protagonista è Davide Bifolco, il sedicenne di Rione Traiano che venne ucciso da un carabiniere al termine di un inseguimento per un errore di persona, a coinvolgere i ragazzi in un percorso di ricerca di continuità e differenze, attualità e persistenza di alcuni fenomeni e atteggiamenti dei gruppi sociali e di alcune caratteristiche ambientali nella realtà napoletana. Quando la classe ha incontrato il giornalista Riccardo Rosa, autore del libro-inchiesta Lo sparo nella notte, che ne ricostruisce la storia, alcune parole tratte da un articolo su cui si è discusso sono rimaste impresse nei ragazzi:
Se una parte di città non ha più coscienza dei propri diritti, l’altra città non riconosce il problema come proprio, e accorcia le distanze solo quando ha bisogno di alleviare il proprio senso di colpa. Pesa la difficoltà a guardarsi indietro e a riflettere sugli errori commessi.[25]
Quali sono stati gli esiti di questa “saldatura” tra fonti storico-letterarie del 1799 e testi contemporanei? Proviamo a chiederlo a loro. Francesca ci dice, ad esempio, che
Sono tutti lì, gli invisibili di ogni tempo, che corrono, ognuno con il proprio filo di Arianna, fili che si intrecciano, come si intrecciano le storie e le vite che non possono restare ingabbiate in un racconto, ma vanno di racconto in racconto.
Invisibili che sono tutti diversi ma tutti uguali, che abbiano il viso dipinto o stracci lerci da lazzari, che siano al balcone o schiamazzanti sotto il patibolo dove balla Donna Lionora.
Ancora a proposito del racconto Ragazzi invisibili, recuperando tutto il percorso svolto, Gaia aggiunge:
Come si diventa invisibili? Basta avere i genitori che non sono andati scuola e vivere in un quartiere senza opportunità. Deve essere facile perché come dice Davide «sono tanti i ragazzi invisibili».
Antonio Genovesi diceva:
«Siam per natura nudi, bisognosi, necessitosi, ignoranti, stolti… è vero. E perciò abbiam bisogno di essere ammaestrati, disciplinati, soccorsi, levati di necessità». Ed è questo quello che accade ai ragazzi invisibili: non c’è nessuno pronto ad ammaestrarli, a disciplinarli e a soccorrerli nel momento del bisogno. Genovesi continua dicendo: «Questo fanno le arti, le scienze»; ma, come dice Davide, i ragazzi come lui sono invisibili per la scuola e per il lavoro.
Eleonora Pimentel Fonseca l’aveva capito: non si poteva continuare a chiamarli Lazzaroni, gli invisibili della Napoli del suo tempo, ma avevano il diritto di acquistare il titolo di «cittadino», e per essi bisognava fare qualcosa.
Gaetano Filangieri proponeva un sistema di istruzione pubblica nel quale il figlio di un contadino avrebbe potuto avere la possibilità di studiare per diventare un buon contadino, mentre il figlio di un magistrato avrebbe potuto studiare per diventare un buon magistrato. Seguendo questo ragionamento ora ad un ragazzo invisibile dovrebbe essere offerta, come traguardo, solo la possibilità di restare ben invisibile. Invece ad un ragazzo invisibile dovrebbe essere data la possibilità di rendersi ben visibile e di realizzare uno di quei grandi disegni di cui gli illuministi della rivoluzione partenopea parlavano.
In altre parole, il presente prende luce dal passato, le cui istanze di giustizia chiedono di essere sempre ribadite.
Nel laboratorio di scrittura che ha costituito l’ossatura di tutto il progetto, i ragazzi hanno elaborato commenti ai testi attraverso diverse modalità espressive: riscritture, scrittura mimetica, racconti, spesso mettendo in relazione testi appartenenti a contesti o epoche diversi. Dare voce alla Storia, calandola nell’intimo dei suoi protagonisti, dai più illustri ai più oscuri, ha reso possibile la stesura di una sorta di canovaccio corale in cui, operato il passaggio dal “vero” al “verosimile”, ovvero dalla Storia alla Letteratura, sono emersi, insieme ai personaggi e ai problemi, i diversi punti di vista. Ed è proprio nella pluralità degli esiti che mi sembra si possa rintracciare il risultato più significativo dell’intero percorso, concordando in pieno con quanto afferma Emanuele Zinato:
Forse la letteratura può essere considerata come quella forma paradossale di storiografia e di ricostruzione che si prende la libertà di riconfigurare, manipolare, rovesciare, vanificare i dati ufficiali, che custodisce “nella penombra delle opere” sia la voce dei vincitori che “le tracce dei dimenticati”: proprio in quanto discorso pluralistico e irriducibile all’unità. E, come “ginnastica della coscienza”, “simulazione di esperienze” […], ci è ancora necessaria in un’epoca in cui la rapidità liquida e ipercinetica della mutazione abbaglia, colonizza e intorpidisce la coscienza.[26]
Il presente non basta, direbbe Ivano Dionigi, né lo si può affrontare da soli. Alimentare la memoria attraverso un esercizio di scrittura collettiva è forse il modo migliore per comprenderlo e viverlo con piena consapevolezza: è infatti in una visione prospettica e collettiva che vorrei che i ragazzi guardassero alla Storia, perché voltandosi indietro non corressero mai il rischio di restare soli, tramutati in una statua di sale.
E dunque, ripensando al rapporto che intercorre fra Storia e Letteratura, si può affermare che
Non di verità e di finzione, contrapposte fra loro e incomunicabili, si tratta: ma di due verità esposte in maniera diversa, forse, talvolta, anche conflittuali fra loro, ma più probabilmente e più frequentemente intercomunicanti fra loro. […]
La memoria […] ha mille facce, mai una sola.[27]
15 febbraio 2022
[1] Melania Mazzucco, La statua di argilla. La scrittura e la manutenzione della memoria, in Paolo Favilli (a c. di), Il letterato e lo storico. La letteratura creativa come storia, Franco Angeli, 2013
[2] Goffredo Fofi (a c. di), Il racconto onesto, Contrasto, 2015
[3] Lidia De Federici, Letteratura e storia, Laterza, 1998
[4] Ce lo ha recentemente ricordato Annalisa Nacinovich, mutuando l’affermazione da Perelman. Cfr. Annalisa Nacinovich, Immaginare la realtà: la lettura scolastica come pratica di cittadinanza, in Lucia Olini e Silvia Tatti (a c. di), La giornata di un lettore, I Quaderni della Ricerca, 56, Loesher, 2021
[5] E. ZINATO, Letteratura come storiografia? Mappe e figure della mutazione italiana, Quodlibet Studio 2015
[6] C. MAGRIS, Indifesi perché smemorati: chi ignora il passato non sa affrontare l’oggi, in «Il corriere della sera», 23 febbraio 2020
[7] WU MING. New Italian epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Einaudi, 2009
[8] L’intero bando del concorso è consultabile su http://www.narrazionidiconfine.it/
[9] A. BERARDINELLI, L’eroe che pensa. Disavventure dell’impegno, Einaudi 1997
[10] N. LEWIS, Napoli ’44, Milano, Adelphi 1993
[11] Naples ’44, regia di Francesco Patierno, Italia, 2016
[12] Dieci storie propri così nasce nel 2011 a Napoli dalla voglia di raccontare le storie di chi è stato vittima della criminalità organizzata, ma contiene anche racconti di riscatto, di chi giorno per giorno combatte contro la criminalità. Protagoniste le voci spesso dimenticate di volontari, parenti delle vittime e testimoni, rielaborate in una drammaturgia che non vuole essere solamente memoria, ma soprattutto parte attiva di un progetto formativo.
[13] Film documentario prodotto da Jmovie e Rai Cinema.: //www.raiplay.it/video/2018/03/SpecialeTg1-78c7cb01-37bb-402b-a0e1-6f15a5a9c192.html
[14] NONINVANO è il titolo del progetto di sensibilizzazione sul tema delle vittime innocenti della criminalità promosso dalla Fondazione Polis della Regione Campania, da Libera e dal Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità. Il progetto, nato con una mostra di centosei foto di vittime per ricordare gli innocenti uccisi dalla violenza criminale in Campania, ma soprattutto per affermare attraverso i loro volti che queste stesse vittime non sono morte invano, si è poi tradotto in una app, #NONINVANO, contenente oltre alle foto uno strumento di geolocalizzazione per far conoscere ai più giovani queste storie e i luoghi in cui sono accadute.
[15] Cfr. http://www.narrazionidiconfine.it/wp-content/uploads/2019/08/Che-Storia_1_Motivazioni.pdf
[16] Antonio Brusa, Ma raccontare storia è diverso, in Tutta un’altra storia 4, a c. di Amedeo Feniello e Pietro Petteruti Pellegrino, Accademia dell’Arcadia, 2021.
[17] Il percorso didattico che vado ad illustrare è già stato pubblicato.
Cfr. https://laletteraturaenoi.it/2021/04/19/da-plebe-a-popolo-un-percorso-didattico-tra-storia-letteratura-e-educazione-civica/, da cui alcuni passi vengono ripresi.
[18] Enzo Striano, Il resto di niente, Napoli, Loffredo, 1986.
[19] Il resto di niente, regia di Antonietta De Lillo, Italia, 2004.
[20] Gaetano Filangieri, La scienza della legislazione, Napoli, Stamperia Raimondiana, 1780-1791.
[21] Antonio Genovesi, Lettere accademiche su la questione se sieno più felici gl’ignoranti che gli scienziati, Napoli, Stamperia Simoniana, 1764.
[22] Catechismi repubblicani. Napoli 1799, a cura di P. Matarazzo, Napoli, Vivarium, 1999.
[23] Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla Rivoluzione Napoletana del 1799, con introduzione, note ed appendici di Nino Cortese, II ed. con aggiunte dell’autore, Firenze, Vallecchi, 1806.
[24] AA.VV. . Napoli nessuna e centomila. Nel racconto di 50 scrittori, Napoli, Guida Editori, 2021.
[25] A. Di Nocera, Ancora su giovani e violenza. Convivere con la paura nella città senza diritti, in «Napoli Monitor», 5 febbraio 2018.
[26] Emanuele Zinato, Letteratura come storiografia? Mappe e figure della mutazione italiana, Quodlibet Studio 2015.
[27] Alberto Asor Rosa, Letteratura e storia, storia e letteratura: qualche modesta esperienza personale,
in Paolo Favilli (a c. di), Il letterato e lo storico. La letteratura creativa come storia, Franco Angeli, 2013.