A proposito di La scienza dello storytelling di Will Storr
Secondo recenti studi psicologici e neuroscientifici, il nostro cervello è predisposto ad apprezzare le storie.
Questa concezione ha portato il giornalista e divulgatore britannico Will Storr a interessarsi al mondo dei substrati neurali, abbattendo le barriere tra le discipline scientifiche e umanistiche. Così ha dato alla luce il saggio La scienza dello storytelling. Come le storie incantano il cervello (2019) che affronta le diverse fasi della stesura di un romanzo, analizzando i processi mentali e cognitivi alla base delle scelte che lo scrittore compie durante la messa in opera. Dopotutto, la narrativa, la psicologia e le neuroscienze hanno senz’altro qualcosa in comune: tutte e tre indagano il comportamento umano.
Secondo Carl Gustav Jung, noto psichiatra fondatore della psicologia analitica ma anche antropologo appassionato di letteratura, l’individuazione è in generale il processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui, [...] un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale. In questa definizione, Jung racchiude la complessità delle fasi che ognuno di noi affronta nel proprio cammino. E la scomoda verità è che tale percorso porta naturalmente a imbattersi in ostacoli e a commettere errori. Tutto questo spaventa perché, sebbene commettere errori sia nella natura umana, tali esperienze arrecano sofferenza e perciò siamo naturalmente portati ad evitarle.
Non è forse più sicuro e privo di insidie simulare la realtà di qualcun altro e vivere la vita di un personaggio di fantasia, piuttosto che tuffarsi nelle serie di eventi che caratterizzano la nostra complicata esistenza?
Come espone Will Storr, ciò è senz’altro vero e ci è permesso proprio grazie allo storytelling: un’attività sociale che caratterizza l’uomo fin dall’età della pietra e che permette di rielaborare le proprie vicende ricostruendole secondo il proprio pensiero e le proprie necessità psicologiche.
Creare storie è il mestiere del cervello: noi narriamo la realtà che ci circonda, la elaboriamo e la reinterpretiamo. Libri, film e videogiochi sono simulazioni della realtà che ci raccontano una storia e ci permettono di distaccarci da un‘altra storia emotivamente ben più impattante, la nostra.
Si osserva tuttavia un fenomeno curioso: se da una parte un’esperienza narrativa viene percepita quasi come reale, dall’altra parte il cervello filtra ciò che vediamo e talvolta inganna i nostri sensi, mostrandoci cose che non ci sono o non mostrandoci cose che ci sono.
Questa lotta tra concetti contrastanti si ritrova spesso nella narrazione. Ne è un esempio la relazione che si dà tra i concetti di cambiamento e controllo. Secondo l’autore, ogni vicenda narrativa ruota intorno al rapporto tra la sensazione di seguire il filo mutevole delle azioni e la capacità di avere il controllo su di esse. All’inizio di una trama, non a caso, un cambiamento è essenziale per catturare la curiosità del fruitore ed è proprio questa iniziale perdita di controllo che rende l’atmosfera carica di tensione narrativa e che spinge il lettore a proseguire nel racconto. Ciò che però alla fine il lettore si aspetta è un senso di compiutezza dato dal rapporto causa-effetto che desideriamo trovare in un romanzo, insieme a un obiettivo da inseguire per l’intero percorso narrativo.
Per catturare l’interesse e anche la simpatia del lettore, i personaggi di una trama devono avvicinarsi il più possibile alle persone della vita reale. Il protagonista, in particolare, compie un processo lungo tutto il percorso narrativo, che lo porta a riconoscere le proprie debolezze e a dover cambiare per far fronte alle difficoltà in cui si imbatte. Il protagonista è uno di noi e ci rassicura apprendere che persino chi è in prima linea a combattere per risolvere una situazione compie degli errori e mette sé stesso in discussione. E dunque chi è il vero eroe in una vicenda? La sua figura può cambiare a seconda della cultura di appartenenza della trama narrativa: mentre per la cultura occidentale al centro della narrazione vi è l’individuo e l’eroe è colui che supera ogni avversità contando unicamente sulle proprie forze, per la cultura orientale al centro della narrazione vi è la collettività e l’eroe è colui che lotta con la collaborazione di tutti per l’armonia generale. Ma soprattutto, il vero eroe non è colui che semplicemente batte il nemico, ma colui che, alla fine del suo percorso di individuazione, arriva a conoscersi e accettarsi.
“Chi sono io?”, in fondo, è la domanda cui ognuno desidera rispondere e una trama narrativa costituisce un ottimo surrogato per seguire l’argomento a distanza, senza scottarsi. Questo è l’interrogativo drammatico, fulcro intorno a cui ruotano le azioni del protagonista e i cambiamenti che la trama e i personaggi gli propongono. La verità, però, è che ormai la narrazione presenta dei personaggi sempre più in linea con la realtà. Un tempo Shakespeare era un’eccezione con i suoi personaggi complessi e opachi. Oggi la veridicità psicologica del personaggio lo rende simile a un qualsiasi essere umano, con i suoi punti di forza e debolezza. E se il protagonista non rispetta i tipici canoni dell’eroe ma, anzi, ci viene dipinto come un antieroe con un danno originario che lo rende inadeguato alla società con cui si raffronta, tanto meglio: lo troveremo ancora più simile a noi e ci permetterà di vivere la trama con un trasporto ancora maggiore.
Durante la lettura di un libro o la visione di un film il corpo umano è portato a esperire sensazioni psicofisiologiche verosimili: se osserviamo una scena in cui il protagonista è in fuga da un nemico, le aree cerebrali alla base del nostro sistema motorio si attivano come se fossimo noi stessi a dover compiere una determinata azione. Allo stesso modo, la sola osservazione di un’emozione provata dal personaggio di un film porta lo spettatore a esperire la stessa emozione a livello psicofisico. Una prova neurale di tale fenomeno è rintracciabile nella funzione dei neuroni specchio. Noti ai più per il ruolo giocato nella capacità di provare empatia affettiva, i neuroni specchio permettono all’uomo anche di provare le stesse sensazioni psicofisiche del protagonista, rendendo l’esperienza di lettura o visione molto vicina a un’esperienza reale.
Recentemente si sono sviluppati svariati modi per vivere la trama in maniera ancor più realistica: basti pensare alle fanfiction, veri e proprio prodotti narrativi che traggono spunto da un’opera esistente ma sono frutto della fantasia dei fan dell’opera stessa. La narrazione assume ormai le più differenti forme mediatiche e si dimostra un utile strumento anche per la cura della persona. La Medicina Narrativa ha già avuto un’ottima diffusione negli anni Ottanta grazie al neurologo Oliver Sacks e al suo libro L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. La scelta di presentare, o meglio narrare, casi clinici alquanto singolari permette a Sacks di sensibilizzare il lettore comune su tematiche che, poste in maniera più accademica, risulterebbero spinose; e aiuta anche il lettore esperto a familiarizzare con le modalità di intervento più efficaci a seconda del caso. Ma non solo: un saggio simile porta a normalizzare una situazione patologica che, per quanto singolare, può e deve essere compresa e accettata. Per questa ragione la Medicina Narrativa può risultare efficace in diverse situazioni cliniche, ad esempio incentivando le capacità di comprendere gli stati mentali impliciti in pazienti con Disturbo dello Spettro Autistico o le capacità cognitivo-percettive in pazienti affetti da demenza attraverso la simulazione.
Quando leggiamo un libro, le aree cerebrali legate alla identità sono meno attive: siamo nella testa del protagonista. Il trasporto narrativo ci porta a osservare una vicenda da punti di vista differenti.
Jonathan Gotschall, esperto statunitense di letteratura evolutiva, nel suo saggio L’istinto di narrare riporta a tal proposito il concetto di homo fictus, ritenendo che lo stesso essere umano rappresenti un personaggio letterario che tende a raffigurarsi la realtà che lo circonda e la sua stessa esistenza come una narrazione di accadimenti epici, con il fine ultimo di dare un senso alla propria vita. A tal proposito Stefano Calabrese, in Neuronarrazioni, racconta come l’homo sapiens è diventato homo narrans, ovvero un essere umano che raccontando e raccontandosi dà un senso a tutto ciò che gli accade. Non per caso anche Lisa Zunshine, studiosa di letteratura e di teoria della mente in ambito narrativo, ritiene che l’individuo sia sempre stato homo narrans, fin dall’epopea di Gilgamesh, cioè nel VII secolo a.C. Già qui emergono quegli schemi tipici del mindreading e i fruitori di allora si comportavano come si comporterebbero quelli di oggi. Alcuni avrebbero colto tali schemi, altri no. Alcuni si sarebbero immedesimati nei personaggi e si sarebbero sentiti meno soli. Perché il fine ultimo della narrazione è far sì che il lettore non si senta solo a sperimentare situazioni difficili o a esperire emozioni intense. Questo è ciò che insegnano anche i protagonisti più tormentati di fronte a una scelta difficile. Perché essere imperfetti è legittimo, anzi è d’obbligo, e come afferma l’autore della Scienza dello storytelling, la realtà nella nostra testa non è altro che la narrazione di un’allucinazione controllata.
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
Calabrese, S. Neuronarrazioni, Editrice Bibliografica, Milano, 2020.
Gotschall, J. L’istinto di narrare (2012), trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 2018.
Jung, C.G., Tipi Psicologici (1921), trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 2011, p. 501
Mancuso, S., Su “La scienza dello storytelling” di Will Storr, https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/su-la-scienza-dello-storytelling-di-will-storr/, ultimo accesso 28 agosto 2022.
Sacks, O., L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (1970), trad. it. Adelphi, Milano, 2022.
Storr, W., La scienza dello storytelling: Come le storie incantano il cervello (2019), trad. it. Codice edizioni, Torino, 2020.
28 settembre 2022