Ashia D’Onofrio - Come scrivere una psicobiografia?

Illustrazione di un metodo di ricerca psicobiografica

Ashia D’Onofrio

 

Come scrivere una psicobiografia?

Illustrazione di un metodo di ricerca psicobiografica

 

 

Introduzione: Che cos’è la psicobiografia?

 

La psicobiografia è una branca della psicologia ad oggi ancora poco conosciuta, sebbene vanti oltre cent’anni di storia. Fu Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, all’inizio del secolo scorso a renderla nota con la pubblicazione del suo saggio psicobiografico su Leonardo Da Vinci. In quest’opera, Freud ricostruisce la vita dell’artista rinascimentale attraverso le lenti della teoria psicoanalitica[1], concentrandosi in particolare sul modo in cui le esperienze infantili e i conflitti inconsci influenzarono lo sviluppo della sua personalità e il suo lavoro artistico. Il saggio divenne il primo esempio di come una teoria psicologica potesse essere integrata in uno studio biografico e fu accolto con grande interesse da parte di una larga platea di psicologi e psicoanalisti, che a loro volta si cimentarono in questa nuova applicazione della psicologia. Tale fu la sua diffusione nei primi decenni del ventesimo secolo che alla psicobiografia venne inizialmente assegnato il nome di ‘psicoanalisi applicata’[2], per l’uso massiccio della teoria psicoanalitica nell’interpretare i profili biografici.

La psicobiografia contemporanea, rispetto alla sua forma embrionale, ovvero la psicoanalisi applicata, pur mantenendo salde radici nella disciplina psicologica, di cui è certamente un’applicazione, presta però una rinnovata e più oculata attenzione anche ad altri saperi che ne costituiscono le fondamenta. Essa, infatti, intrecciando sapientemente i più accreditati studi psicologici assieme a quelli letterari e storici più recenti, diviene un modo, non solo di fare psicologia, ma anche storia e letteratura. Per natura quindi, come del resto ci suggerisce la parola stessa, la psicobiografia si fa crocevia di saperi, il cui punto d’incontro è in grado di restituirci l’approssimazione più vicina alla verità del cuore e della mente del personaggio storico oggetto della nostra analisi.

A questo punto è bene precisare in che cosa consista realmente la psicobiografia, che cosa si proponga di fare e, soprattutto, come si realizzi nella pratica. Andiamo con ordine.

 

La psicobiografia o biografia psicologica, come già abbiamo detto, è una branca della psicologia che applica le teorie e i metodi psicologici alle narrazioni di vita di personaggi storici di rilievo, come artisti, scrittori, personaggi pubblici e politici. L’intento di un’opera psicobiografica è quello di comprendere in profondità il comportamento, il pensiero e il funzionamento psicologico del soggetto, attraverso l’analisi delle sue esperienze di vita, delle relazioni interpersonali e del contesto storico, culturale e sociale nel quale ha vissuto. In altre parole, lo psicobiografo parte dai dati biografici e da fatti realmente accaduti per comprendere la vita di una persona da un punto di vista psicologico. Poiché il focus risiede nei meccanismi psicologici, in una psicobiografia non è necessario prendere in considerazione l’intero arco di vita del soggetto scelto, come avviene nella biografia, ma lo psicobiografo può decidere di focalizzare l’attenzione anche solo su uno specifico evento o periodo di vita.

Entrambe le discipline si interessano allo studio di singole vite, ma è soprattutto nell’uso della psicologia che il campo psicobiografico si differenzia da quello biografico convenzionale. Mentre la biografia storica tenta di ricostruire la vita dell’individuo in modo preciso e rigoroso, la biografia psicologica pone rispettivamente minore attenzione ai fatti – sebbene il contesto storico rimanga di centrale importanza – e si concentra maggiormente sull’interpretazione di azioni, comportamenti, pensieri in termini di meccanismi psicologici. In altre parole, la psicobiografia si interessa delle esperienze interiori che un individuo ha vissuto nell’arco della vita. Anderson e Dunlop[3] fanno giustamente notare che nello scrivere la propria opera uno psicobiografo viene posto di fronte a una duplice sfida: non solo la comprensione di ciò che l’individuo può celare al di sotto del manto attraverso cui si offre agli altri ma anche, tentativo assai più arduo, l’immersione nei reami della sua psiche in cui egli, inconsapevolmente, è celato a se stesso. Per poter scavare in profondità e portare alla luce aspetti nascosti della psiche di un individuo, gli psicobiografi si avvalgono sia di metodi storiografici sia di teorie psicologiche. Solo la commistione tra le due può dare come risultato una psicobiografia di qualità.

Detto ciò, potremmo pensare che il metodo psicobiografico, alla fin fine, non sia altro che una chimerica fusione, o meglio sovrapposizione, di specifiche metodologie appartenenti ai vari campi di studio afferenti alla psicobiografia. Ed è proprio qui che ci sbaglieremmo. La psicobiografia, come ogni disciplina matura e degna di rispetto, possiede un proprio particolare metodo il quale, se seguito con rigore, omaggerà i nostri sforzi non con una biografia condita di riflessioni psicologiche o una serie di riflessioni psicologiche condite da elementi biografici, ma con una vera e propria psicobiografia.

 

Il metodo psicobiografico in 12 fasi

 

Poiché studia casi singoli senza ricercare leggi di carattere universale, l’approccio psicobiografico viene definito idiografico e qualitativo, e prende così le distanze dal metodo scientifico spesso usato nella tradizionale ricerca psicologica. Questo rappresenta il principale motivo della scarsa notorietà di cui godette la psicobiografia fino a qualche decennio fa. Infatti, circa a metà del secolo scorso la disciplina psicologica abbracciò una visione positivista e i metodi idiografici e qualitativi furono abbandonati pressoché totalmente, poiché etichettati come poco affidabili e scientifici. Così il fiorire del positivismo portò l’adombramento della psicobiografia, che sino agli anni ’40 aveva riscosso moltissimo interesse. Solo negli anni ’80 riemerse una corrente psicologica interessata a studiare le storie di vita e da allora la psicobiografia ha sperimentato una vera e propria rinascita[4]. Negli ultimi decenni vari autori hanno tentato di dotare la psicobiografia di una maggiore legittimità all’interno della disciplina psicologica attraverso la creazione di linee guida da seguire nella realizzazione di un’opera psicobiografica. Esse rappresentano una traccia metodologica strutturata che, se seguita durante il processo di ricerca e scrittura, assicura la riuscita di una psicobiografia più rigorosa, precisa e attendibile.

Di tutte le linee guida, si è scelto in questo articolo di presentare il metodo sulla ricerca qualitativa di Miles e Huberman[5] revisionato da Saccaggi[6] per adattarlo alla psicobiografia. La scelta è ricaduta sul metodo della Saccaggi sia perché è uno dei più recenti sia perché sembra essere il più completo e inclusivo delle linee guida di altri autori. Come mostrato nella tabella sottostante, il metodo prevede dodici fasi, che guidano passo dopo passo lo psicobiografo nella strutturazione del suo lavoro.

 

Tabella 1. Le fasi della ricerca psicobiografica (Saccaggi, 2017)

 

1   Selezionare il soggetto

2   Identificare le fonti primarie e secondarie relative al soggetto e valutarne la potenziale utilità

3   Identificare il contesto in cui viveva il soggetto e determinare la quantità di dati contestuali necessari per la psicobiografia

4   Selezionare una o più teorie psicologiche appropriate

5   Consentire ai dati di rivelarsi

6   Formulare ipotesi, ossia porre ai dati domande specifiche relative al soggetto in analisi

7   Sviluppare strategie di codifica e codificare i dati di conseguenza

8   Selezionare i formati di esposizione

9   Integrare la codifica con il formato d’esposizione

10   Scrivere la psicobiografia

11   Revisione della psicobiografia in relazione alle domande specifiche sviluppate in precedenza

12   Valutazione del processo di ricerca

 

Nel suo articolo l’autrice fa notare che la disposizione delle fasi rappresenta una sequenza ideale che non sempre può essere affrontata nell’ordine da lei presentato. Ogni psicobiografo potrà valutare e riadattare le fasi in base alle caratteristiche e alle necessità del singolo caso. Inoltre, il processo di scrittura ha spesso un andamento iterativo e circolare e alcune fasi possono essere anticipate, ripetute o sovrapposte ad altre.

Per una questione di ordine e di maggiore comprensione, nel presente articolo ci atterremo comunque alla sequenza proposta dall’autrice e nei prossimi paragrafi andremo a esplorare nel dettaglio che cosa prevede ognuna delle dodici fasi.

 

Fase 1: Selezionare il soggetto

 

Selezionare il soggetto è naturalmente il primo passo da compiere, ma come fare la scelta giusta?

Poiché un’opera psicobiografica richiede un investimento di tempo e di lavoro notevole, il presupposto è di avere un reale interesse nella storia di vita del soggetto. Addirittura, i padri della psicobiografia contemporanea suggeriscono di farsi scegliere dal soggetto piuttosto che sceglierlo deliberatamente[7].

Che cosa significa farsi scegliere? Secondo Schultz, «ad un certo punto una persona, per un incalcolabile surplus di ragioni parzialmente consce ma di solito per lo più inconsce, inizia a salutarti, chiamandoti da lontano. Vieni a vedere chi sono!»[8].

Oltre alla passione, ci sono comunque alcune raccomandazioni che possono guidare lo psicobiografo nella giusta scelta. Innanzitutto, vanno evitati quei soggetti per cui nutriamo eccessiva ammirazione oppure, al contrario, eccessivo disprezzo, giacché si rischierebbe di distorcere (anche e soprattutto involontariamente) la realtà e di cadere in interpretazioni troppo estreme, senza lasciare libero gioco al dubbio e a spiegazioni alternative. Può essere d’aiuto porre a noi stessi alcune domande per indagare i sentimenti provati nei confronti del nostro soggetto, ad esempio: Perché desidero studiare la sua storia di vita? Quali elementi mi attirano verso di esso e quali mi respingono?

Questa auto-analisi in psicoterapia prende il nome di controtransfert, ossia l’insieme dei vissuti e delle emozioni del terapeuta come risposta agli stimoli provenienti dal paziente. L’analisi del controtransfert può essere usata anche nella pratica psicobiografica come strumento per conoscere meglio sia noi stessi in relazione al soggetto sia il soggetto stesso, perché i sentimenti che proviamo noi verso alcuni suoi comportamenti o caratteristiche potrebbero averle provate anche le persone che gli stavano accanto in vita.

Nel suo articolo, Saccaggi suggerisce una lunga lista di altri quesiti utili da porsi all’inizio dell’impresa psicobiografica, ad esempio: Cosa voglio sapere riguardo a questo soggetto? Lo studio della sua vita può essere interessante anche per altre persone oltre che per me stesso? E così via.

Un’ulteriore raccomandazione concerne questioni di tipo etico e legale: se il soggetto è ancora in vita possono sorgere complicazioni per motivi di consenso e privacy. È anche per questo che spesso lo psicobiografo sceglie di studiare una persona già deceduta – o come direbbe Anderson[9] in maniera più elegante “assente”; anche in questo caso, sono comunque rilevanti la privacy e i diritti dei familiari del defunto. Il potenziale impatto dello studio psicobiografico è influenzato dal tempo intercorso tra il decesso del soggetto e la pubblicazione. Meno tempo è passato più saranno alte le premure etiche che lo psicobiografo dovrà considerare. Per un approfondimento di questo tema fondamentale, rimandiamo all’articolo Ethical and Legal Considerations in Psychobiography di Ponterotto e Reynolds[10].

Infine, prima di considerare la scelta del soggetto come definitiva è necessario valutare la quantità di informazioni biografiche disponibili e la loro qualità in termini di affidabilità. Questo passo lo discuteremo nella prossima fase.

 

Fase 2: Identificare le fonti primarie e secondarie relative al soggetto e valutarne la potenziale utilità

 

Per poter procedere nel lavoro, è fondamentale svolgere una meticolosa ricerca di informazioni biografiche. Generalmente nella ricerca psicobiografica vengono usati dati di tipo qualitativo, che idealmente dovrebbero provenire sia da fonti primarie, ossia testimonianze orali o scritte in prima persona dal nostro soggetto o da chi era con lui in un dato momento, sia da fonti secondarie, costituite da documenti e resoconti scritti o orali di una terza persona in un momento differito rispetto all’evento.

L’inclusione di fonti primarie, quando possibile, è cruciale perché esse «trasmettono un'impressione di ciò che il soggetto crede essere vero della sua vita, o almeno di ciò che desidera trasmettere agli altri riguardo la storia della sua vita»[11]. Attraverso le fonti primarie lo psicobiografo può immergersi nella vita del suo personaggio e avvicinarsi a lui, per giungere a quella comprensione psicologica a cui ogni autore anela. Al contrario, affidarsi solo a fonti secondarie, che per definizione sono indirette, comporta il rischio di riperpetuare eventuali errori commessi da chi ha scritto prima di noi.

Le fonti dovrebbero essere diverse tra loro in modo da restituire un quadro variegato e complesso della vita del soggetto. È chiaro che l’inclusione di un’ampia gamma di fonti aumenta anche la probabilità di incorrere in informazioni contradditorie, difficili da gestire soprattutto se riguardano aspetti fondamentali della vita del soggetto. Ancora una volta Elms[12] corre in nostro aiuto e suggerisce di affidarsi maggiormente ad alcune testimonianze rispetto ad altre: innanzitutto, vanno predilette le informazioni provenienti da fonti primarie, poi è utile la domanda di Cicerone “Cui bono?”, ossia c’è tra gli osservatori chi può trarre vantaggio nel riportare una data testimonianza? Se sì, sono ovviamente da considerare meno affidabili perché spinti nel racconto dal raggiungimento di benefici personali. Anche altri autori, tra cui Runyan e Schultz[13], si sono occupati della valutazione di interpretazioni alternative e ognuno offre una lista di criteri ai quali affidarsi.

Come si intuisce, essere uno psicobiografo significa svolgere un vero e proprio lavoro investigativo, o come dice Elms[14], immedesimarsi in Sherlock Holmes: ciò si traduce in osservare e analizzare le fonti con uno sguardo acuto e critico.

Infine, è importante puntualizzare che in base alla scelta del soggetto e alla sua notorietà le informazioni disponibili sulla sua vita potrebbero essere molto abbondanti, tanto da dover fare una rigorosa selezione su quali di esse siano da includere o escludere nella ricerca, oppure al contrario potrebbero essere anche scarse e insufficienti. Nel caso in cui vi sia una carenza di dati, Schultz[15] ci avvisa: non si può fare altro che cambiare soggetto. La psicobiografia si basa sui dati biografici per interpretare la vita della persona. Senza dati non si può procedere nel lavoro.

 

Fase 3: Identificare il contesto in cui viveva il soggetto e determinare la quantità di dati contestuali necessari per la psicobiografia.

 

La fase di ricerca non si esaurisce con l’identificazione delle fonti, ma deve proseguire oltre con l’analisi storica. Ogni essere umano è unico e irrepetibile e al tempo stesso anche figlio del suo tempo, e la sua personalità si crea a partire dall’intreccio di queste due dimensioni, quella personale e quella contestuale. Per questo una psicobiografia non può assolutamente prescindere dalla comprensione dell’epoca in cui vive il nostro personaggio. L’obiettivo deve essere quello di creare una cornice contestuale, in cui inserire gli avvenimenti di vita alla luce di aspetti culturali, sociali, politici, religiosi ed economici peculiari dell’epoca e della cultura di appartenenza. A primo impatto può sembrare un’affermazione persino banale, ma se consideriamo che la maggior parte delle psicobiografie viene scritta su personaggi storici deceduti, la questione si complica. Iniziamo, dunque, questa fase con il porci due domande fondamentali: in quale epoca ha vissuto il nostro soggetto e quali sono le caratteristiche della società? Se egli (o ella) ha vissuto in un’epoca storica o in un contesto culturale differenti dai nostri, chiediamoci: quali sono i valori predominanti che guidavano la vita a quel tempo? Quali le tradizioni, i ruoli sociali, le aspettative, i bisogni tipici?

Il metodo della Saccaggi è il primo che contempla la ricerca storica come step a sé stante nella realizzazione di una psicobiografia, e proprio per assicurarsi di dare il giusto peso ai vari aspetti contestuali propone l’uso di uno strumento grafico che prende il nome di Multi-Layered Chronological Chart[16]. Il MLCC consiste in una rappresentazione visiva dell’intersezione di fattori personali e contestuali attraverso l’identificazione di categorie tematiche che racchiudono i fatti cronologici della vita di un individuo, quali per esempio l’istruzione, la famiglia, i luoghi di residenza, il lavoro, le relazioni interpersonali romantiche e le opinioni politiche e religiose[17]. Il grafico viene creato con un apposito software ed è composto da un asse orizzontale, la linea temporale indagata, e un asse verticale, in cui inserire le categorie scelte. Si spiega così anche il nome del metodo: si tratta a tutti gli effetti di un grafico cronologico sviluppato su più livelli. Esso permette di considerare ogni singola categoria tematica in un quadro olistico d’insieme e restituisce perfettamente l’idea di una storia di vita complessa, in cui il processo di costruzione dell’identità è imprescindibilmente legato al contesto in cui si svolge[18]. Per un’esemplificazione del metodo rimando al già citato articolo Bobby Fischer in Socio-Cultural Perspective: Application of Hiller’s (2011) Multi-Layered Chronological Chart Methodology di Ponterotto e Reynolds.

 

Fase 4: Selezionare una o più teorie psicologiche appropriate.

 

Lo abbiamo detto sin dall’inizio: l’aspetto che contraddistingue la psicobiografia da altre discipline risiede nell’uso di una o più teorie psicologiche attorno alle quali viene organizzata la narrazione. La teoria dà, infatti, una struttura al testo e ne costituisce le fondamenta. È come quando si inforcano gli occhiali e si osserva il mondo attraverso lenti differenti.

La scelta teorica è forse la fase che nel corso dell’ultimo secolo ha subìto i cambiamenti maggiori. Se Freud e gli psicobiografi di inizio Novecento nei loro profili psicobiografici si affidavano quasi esclusivamente alla teoria psicoanalitica, negli ultimi decenni gli autori si sono spinti sempre più verso l’esplorazione di approcci teorici alternativi e hanno scoperto che sono il soggetto e la sua storia di vita a determinare in ultima analisi la scelta teorica. Elms suggerisce di pensare alle teorie come a differenti paia di guanti: «per un individuo in particolare, nessun paio di guanti sarà perfetto sotto tutti gli aspetti. […] Ma alcuni guanti si adatteranno meglio di altri e alcune teorie difficilmente avranno bisogno di essere aggiustate per adattarsi a una determinata personalità»[19].

È bene, dunque, adottare una prospettiva multiteorica, poiché non sempre è sufficiente l’uso di una singola teoria per interpretare le complesse sfaccettature di una personalità. Tra le teorie esistenti, scegliamo quelle in cui le spiegazioni psicologiche si adattano senza particolari forzature e contraddizioni agli eventi che stiamo interpretando.

Ad oggi, gli psicobiografi prediligono l’uso di teorie psicodinamiche[20], poiché esse colgono una gamma molto ampia di processi e conflitti intrapsichici, ma utilizzano anche vari approcci narrativi contemporanei, come ad esempio la teoria degli script di Tomkins.

Ricordiamo che la teoria deve fungere da lente d’interpretazione della realtà, come quando si inforca un paio di occhiali da sole e le lenti dipingono il mondo di un altro colore. Essa deve dare un’interpretazione della realtà, senza tuttavia distorcerla, e non deve essere mai applicata in maniera dogmatica o rigida.

 

Ora che abbiamo identificato le fonti, il contesto e le teorie psicologiche, è tempo di riorganizzare il campione di dati grezzi in modo da poterne estrarre quegli episodi o avvenimenti che hanno una cruciale rilevanza psicologica nella vita del soggetto.

Lo psicologo Irving Alexander[21] ci insegna come analizzare i dati attraverso due approcci: lasciare che i dati si rivelino da sé e porre domande ai dati. Questi metodi di analisi sono molto utili perché essi «sono abbastanza generali da potersi applicare a molti ambiti di indagine diversa, dalla psicoterapia alla ricerca storico-sociale» ma al tempo stesso anche «sufficientemente concreti da offrire suggerimenti specifici e semplici su come dare un senso a grandi quantità di dati narrativi»[22]. Nelle seguenti fasi andremo a esplorare ognuno di questi approcci in modo distinto.

 

Fase 5: Consentire ai dati di rivelarsi

 

Alexander[23] compara questa fase a una seduta psicoterapeutica, in cui il terapeuta tenta di decodificare il flusso del racconto del paziente, prestando più attenzione ai processi e alle dinamiche che ricorrono in diversi contesti di vita che al contenuto della sua narrazione. Allo stesso modo, anche lo psicobiografo deve andare al di là del contenuto dei dati, decostruirli e ristrutturarli, in modo da far emergere gli elementi psicologicamente rilevanti[24]. Se alcuni aspetti psicologici emergeranno in modo chiaro e lampante dal campione di dati, altri saranno meno evidenti o addirittura nascosti. Per consentire ai dati di rivelarsi, possiamo affidarci alla lista di identificatori di salienza psicologica ideata da Alexander. Gli identificatori di salienza psicologica sono un insieme di nove criteri che fungono da vaglio nella selezione di quel materiale che richiede ulteriore approfondimento psicologico. Essi possono essere applicati sia a materiale scritto sia a quello orale, preferibilmente però proveniente da fonti primarie. Vediamo rapidamente i criteri a uno a uno[25]:

 

Primacy. Poiché generalmente le persone tendono a comunicare prima le cose che sono per loro maggiormente rilevanti, lo psicobiografo deve porre attenzione a ciò che viene detto inizialmente in un discorso o in un testo. Alexander fa notare che nella nostra cultura è radicata l’associazione tra “primo” e “importanza”, ad esempio in psicologia si tiene ampiamente conto dell’influenza delle prime esperienze di vita nel successivo sviluppo della personalità.

Frequenza. Più ripetizioni di uno stesso messaggio, tema o evento indicano l’importanza che esso ha avuto nella mente della persona. Alexander dice al riguardo che «quando qualcuno trasmette lo stesso messaggio su se stesso ripetutamente, ma senza monotonia, è probabile che assegniamo importanza a quel messaggio»[26].

Unicità. Al contrario del criterio di frequenza, quello di unicità raccomanda di porre attenzione a informazioni che il soggetto dichiara essere uniche e straordinarie nella sua vita. Gli esempi che porta Alexander sono dichiarazioni del tipo «Non mi è mai successo nulla del genere prima o fino a questo punto»[27]. Il criterio di unicità si applica anche a contenuti rari o indiscussi nella vita del soggetto.

Enfasi. Quando il soggetto pone l’accento in modo intenzionale o anche inconscio su un’esperienza o un evento, è chiaro che lo psicobiografo deve porci attenzione. Alexander suddivide questo criterio in tre diverse forme con le quali l’enfasi può palesarsi: eccessiva enfasi su un qualcosa che generalmente è considerato normale; enfasi ridotta nei confronti di un qualcosa che generalmente è considerato singolare o importante; enfasi mal posta su un aspetto irrilevante di un evento importante.

Isolamento. Si tratta di un elemento che risalta per non essere congiunto al resto. Alexander scrive al riguardo: «Se leggendo o ascoltando ci si trova a porsi la domanda “Da dove viene questo?” o “Consegue davvero questo?” è molto probabile che nella comunicazione sia contenuto materiale personale importante»[28].

Incompletezza. Questo criterio può essere applicato quando il nostro soggetto inizia a raccontare una storia ma poi non la conclude, e sposta l’attenzione su un altro argomento, come se cercasse di evitare di giungere alla fine del discorso. Il criterio può essere applicato anche quando il soggetto conclude la storia ma ne tralascia una parte fondamentale.

Negazione. È cruciale scorgere nelle parole del soggetto il modo in cui si definisce e ciò in cui si identifica, ma ancora più importante ciò a cui si contrappone.

Omissione. Come scrive Elms, questo criterio può essere anche chiamato «regola di Sherlock Holmes»[29], ossia andare ad indagare proprio là dove sembra manchino elementi biografici di grande rilevanza. Secondo Alexander, la forma più evidente di omissione in narrazioni scritte e orali è legata agli affetti. Il soggetto narra il decorso di un evento ma ne tralascia la parte emotivo-relazionale.

Errore e distorsione. Gli studi di Freud sugli atti mancati, le disfunzioni mnestiche e i lapsus spiegano bene questo criterio e forniscono molti esempi al riguardo. Il dimenticare parole o nomi familiari, un appuntamento o un proposito può essere indice di conflitti intrapsichici manifestatisi in modo inconscio. Anche i lapsus, che spesso vengono notati dal soggetto stesso, saltano facilmente agli occhi dello psicobiografo e indicano che forse c’è qualcosa che vale la pena di approfondire.

 

Ora che i dati sono stati estratti, ordinati e ridotti attraverso l’uso dei novi indicatori di salienza, Alexander afferma che dovremmo aver ricavato delle unità salienti, ognuna delle quali si compone di un insieme di frasi con un contenuto condiviso e forma un’entità a sé stante. Le unità salienti possono essere considerate, in altre parole, come dei temi importanti nella vita della persona e pertanto costituiscono la base per porre domande ai dati.

 

Fase 6: Formulare ipotesi, ossia porre ai dati domande specifiche relative al soggetto in analisi.

 

Ogni autore è spinto a intraprendere la scrittura di una psicobiografia per trovare risposte a determinate domande. Molte linee-guida sulla psicobiografia prevedono la formulazione delle ipotesi come seconda fase del processo di ricerca, subito dopo la scelta del soggetto. Saccaggi, invece, ha preferito spostarla più avanti, perché secondo lei l’autore sarà in grado di porre le domande giuste e formulare ipotesi sensate solo dopo un’approfondita raccolta dati. Questa scelta sembra ancora più sensata se teniamo conto che le domande e le ipotesi sono strettamente legate anche alla teoria psicologica, poiché quest’ultima rappresenta la cornice interpretativa dell’intera opera, e quindi sono due aspetti che si influenzano l’un l’altro. Se, per esempio, desidero usare la teoria dell’attaccamento di Bowlby, le domande della mia psicobiografia dovranno riguardare il ruolo che ha avuto la relazione con i caregiver primari nello sviluppo della personalità del soggetto.

Ricordiamo, comunque, che la posizione delle fasi è molto flessibile all’interno del processo di ricerca e può variare da caso a caso: può accadere che la domanda o l’ipotesi con cui abbiamo approcciato la ricerca all’inizio sia poi successivamente rimpiazzata da un’ipotesi più appropriata. L’abbiamo già detto prima: il processo di ricerca e scrittura è iterativo e circolare, spesso sembrerà di girare in tondo ma a ogni nuovo giro il lavoro si raffina e prende forma.

Ma torniamo ora alla fase 6. Porre domande ai dati significa focalizzare l’attenzione su aspetti della vita del soggetto che appaiono poco chiari o degni di ulteriore approfondimento. Secondo Alexander[30] bisogna porre ai dati una domanda, la cui risposta aiuta a svelare la personale visione del mondo del soggetto riguardo a determinati temi, quali il rapporto con il lavoro, l’amore o il sesso.  Se siamo particolarmente fortunati, la storia di vita del nostro soggetto ci offrirà quello che Schultz chiama koan: «nella tradizione Zen, una frase o un episodio paradossale e sfuggente che per la sua soluzione richiede un salto a un altro livello di comprensione»[31]. Quando è presente il koan, il suo disvelamento diventa il cuore della ricerca psicobiografica.

 

Fase 7: Sviluppare strategie di codifica e codificare i dati di conseguenza.

 

Una volta che i dati sono stati analizzati e riorganizzati all’interno di un’ipotesi, si rende necessaria l’elaborazione di una precisa strategia di codifica – elemento centrale per una corretta e adeguata analisi qualitativa. Tale strategia, guidata dalla delimitazione di campo fornita dall’ipotesi, dovrebbe innanzitutto circoscrivere e in seguito concretizzare ‘cosa’ e ‘come’ codificare rispetto ai dati raccolti. La loro determinazione condizionerà in modo decisivo la natura e l’affidabilità delle conclusioni alle quali infine si giungerà.

Nello specifico, codificare i dati significa categorizzare: «i codici sono etichette per assegnare unità di significato alle informazioni descrittive o inferenziali raccolte durante uno studio»[32]. A livello di strategie di codifica, per citarne alcune, ci basti riesumare quelle esposte nelle fasi precedenti, ossia l’uso degli identificatori di salienza psicologica e il porre domande specifiche ai dati, oppure, precedentemente non menzionata ma comunque molto efficace, l’utilizzo di una semplice codifica tematica (Saccaggi, 2017). Poiché le strategie di codifica influenzano significativamente i risultati dello studio, risulta di fondamentale importanza affidarsi ai dati raccolti e creare codici a partire dalle fonti.  

L’obiettivo di questa fase è, in altre parole, quello di sintetizzare dal materiale grezzo di partenza l’essenza centrale del nostro studio, la quale costituirà il pozzo a cui attingeremo per le nostre conclusioni. Per realizzare al meglio questo obiettivo, è consigliata una molteplice riorganizzazione dei dati attraverso l’applicazione di varie strategie di codifica, al fine di far emergere gli aspetti più rilevanti della nostra ricerca psicobiografica.

 

Fase 8: Selezionare i formati di esposizione.  

 

I dati sono stati condensati e l’autore si appresta alla scrittura del testo vero e proprio, ma prima deve trovare il formato di visualizzazione dei dati biografici.

L’autore può, per esempio, decidere di seguire una struttura tematica, scegliendo quelli più salienti nella vita del soggetto, oppure cronologica, esponendo gli eventi nell’ordine di accadimento. Si possono potenzialmente anche combinare gli aspetti tematici a quelli temporali attraverso il metodo Multi-Layered Chronological Chart di Hiller, che fornisce una rappresentazione grafica di entrambi. Nei formati di esposizione sono inclusi anche grafici, tabelle e figure per una fruizione visiva più immediata del testo.

 

Fase 9: Integrare la codifica con il formato d’esposizione.

 

La fase 9 non è altro che la sintesi delle due fasi precedenti. La codifica e il formato d’esposizione vanno integrate in modo che risaltino le interpretazioni psicologiche dei dati biografici. Come spiega Saccaggi, la psicobiografia non deve essere una ricapitolazione monotona degli step precedenti, bensì una trasformazione dei dati biografici codificati entro una struttura narrativa coerente e logica.

 

Fase 10: Scrivere la psicobiografia.

 

Al di là della sua natura interdisciplinare, la psicobiografia rimane un’opera letteraria e gran parte del suo successo risiede nel suscitare la curiosità del lettore, ossia dargli l’impressione che ci sia un qualcosa di interessante da scoprire. Per questo prima si chiamava fortunato colui che si imbatte in un koan: il mistero attrae e tiene vincolato il lettore alla storia. Il come disvelarlo ce lo spiega Schutz: «Per prima cosa mostro il mistero, cercando il fascino complice del lettore. Dico al lettore ciò che deve sapere sul mistero, spiego perché il mistero è così misterioso e perché dovrebbe essere interessante o degno di essere svelato. Poi spiego tutte le prove attinenti al mistero»[33]. Un altro buon suggerimento è, per l’appunto, fornire sempre prima le evidenze e solo in un secondo momento trarre conclusioni. Le interpretazioni devono essere inevitabili, nel senso che il lettore giunge spontaneamente alla conclusione, dopo aver ragionato in autonomia sulle evidenze fornitegli.

La qualità dello scritto finale dipende in gran parte dalle fasi precedenti: la raccolta dati, la teoria psicologica, la formulazione delle ipotesi e la codifica dei dati; ma è fondamentale anche la capacità di scrittura creativa dell’autore. Lo stile narrativo è un elemento decisivo e per questo nella fase di scrittura lo psicobiografo deve lasciar spazio alla sua vena più artistica.

 

Fase 11: Revisione della psicobiografia in relazione a domande specifiche sviluppate in precedenza.

 

Il processo di realizzazione di un’opera non si esaurisce con la sua scrittura, ma procede oltre con la valutazione del lavoro in termini di completezza e coerenza interna.

Questa fase propone di fare qualche passo indietro e tornare al principio: la psicobiografia ha alla fine trovato risposta alle domande iniziali che si è proposta di indagare? Se sì, sono gli argomenti esposti in maniera chiara e accurata?

Saccaggi consiglia all’autore di indagare nuovamente i propri sentimenti nei confronti del soggetto e accertarsi che essi non abbiano falsato le conclusioni tratte.

 

Fase 12: Valutazione del processo di ricerca.

 

L’ultima fase prevede una revisione dell’intero processo di ricerca. Questa include l’esplicitazione della teoria, dei metodi e delle strategie di codifica usati, nonché l’analisi dei limiti della psicobiografia e la valutazione globale della qualità della ricerca qualitativa svolta. In letteratura esistono molte linee guida che forniscono i criteri di valutazione del processo di ricerca qualitativa e che possono aiutarci nel portare a compimento questa revisione finale.

 

Limiti del metodo

 

Saccaggi riconosce tre principali limiti nel suo metodo. Il primo è la forte strutturazione in fasi, che se seguite in maniera troppo dogmatica vanno a intralciare il processo creativo indispensabile in ogni opera psicobiografica. Per questo il metodo a 12 fasi può essere particolarmente utile a quegli autori che si stanno avvicinando per la prima volta al campo della psicobiografia e necessitano di tappe chiare e precise che gli permettano di orientarsi nel labirintico dedalo di questioni da considerare. Dato l’intento di fornire una breve e concisa guida al metodo psicobiografico, il secondo limite riguarda l’inevitabile semplificazione dei processi implicati in ogni fase, che possono rivelarsi talvolta anche molto complessi. Nel corso dell’articolo, sono stati citati molti testi che aggiungono e integrano le conoscenze esposte qui. Altri autori si sono, infatti, occupati di descrivere e spiegare la branca della psicobiografia nei suoi diversi aspetti e sfaccettature. Il terzo e ultimo limite riguarda la discrepanza tra il decorso lineare del metodo in dodici fasi e la natura circolare del processo di ricerca e scrittura. Se idealmente ci si aspetta di procedere in linea retta dalla raccolta dei dati, alla codifica, poi alla scrittura e infine alla valutazione, nella realtà potrebbe essere necessario cambiare l’ordine di esecuzione di alcune fasi e magari ripeterle anche più volte. Ad esempio, se inizio a scrivere la psicobiografia e mi accorgo che ci sono alcune questioni o lassi temporali poco definiti, dovrò “tornare indietro” alla fase due e cercare altre fonti che mi chiariscano le idee.

Se vogliamo invece parlare della psicobiografia più in generale, uno dei suoi più grandi limiti risiede nella sua natura soggettiva. Essa viene sì costruita a partire dai dati biografici, ma questi vengono poi interpretati dall’autore che «va oltre il testo (i fatti della vita) per arrivare al sottotesto (il significato dei fatti)»[34]. Il processo inferenziale e interpretativo operato dall’autore non restituisce mai una verità in senso positivistico; rappresenta piuttosto una chiave di lettura per comprendere meglio le esperienze interiori della persona analizzata.

 

Conclusioni

 

L’obiettivo di questo articolo è quello di dare visibilità alla branca della psicobiografia, che si sta sviluppando sempre più negli ultimi decenni. In ambito italiano, è ancora scarso il materiale pubblicato al riguardo e spero di contribuire, anche se in minima parte, alla diffusione della sua conoscenza. Il metodo qui illustrato dà un’idea di come realizzare un’opera psicobiografica e non solo. Come si è già detto in precedenza, originariamente è stato concepito come metodo per la ricerca qualitativa in generale e può quindi essere usato, con le dovute variazioni, anche in ricerche di altre discipline.

 

 

8 maggio 2023

 

Bibliografia

 

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[1] Secondo la teoria della psicoanalisi, il comportamento e la personalità di un individuo sono modellati non solo dai pensieri di cui è consapevole ma anche, e soprattutto, da processi psichici inconsci, spesso celati alla coscienza.

[2] J.G. Ponterotto, J.D. Reynolds, S. Morel, L. Cheung, Psychobiography Training in Psychology in North America: Mapping the Field and Charting a Course, «Europe’s Journal of Psychology», n. 3, vol. XI, 2015, pp. 459-475; W.M. Runyan, Progress in Psychobiography, «Journal of Personality», n. 1, vol. LVI, 1988, pp. 295–326.

[3] Anderson e Dunlop, Executing Psychobiography, in C.H. Mayer, Z. Kőváry, New Trends in Psychobiography, Springer, 2019, p.13.

[4] Z. Kőváry, Psychobiography as a method. The revival of studying lives: New perspectives in personality and creativity research, «Europe’s Journal of Psychology», n. 4, vol. VII, 2011, pp. 739–777.

[5] M.B. Miles, A.M. Huberman, J. Saldaña, Qualitative Data Analysis: A Methods Sourcebook. Third Edition, Sage Publications, 2014.

[6] C. Saccaggi, The method of psychobiography: presenting a step-wise approach, «Qualitative Research in Psychology», 2017, pp. 1-36.

[7] A.C. Elms, Uncovering Lives: The Uneasy Alliance of Biography and Psychology, Oxford University Press, 1994; W.T. Schultz, Handbook of psychobiography, Oxford University Press, 2005.

[8] Ivi, p. 42.

[9] J.W. Anderson, The Methodology of Psychological Biography, «The Journal of Interdisciplinary History», n. 3, vol. XI, 1981, pp. 455-475.

[10] J. Ponterotto, J.D. Reynolds, Ethical and Legal Considerations in Psychobiography, «American Psychologist», Vol. LXXII, n. 5, pp. 446-458.

[11] A.C. Elms, Psychobiography and Case Study Methods, in R.W. Robins et al. (a cura di), Handbook of research methods in personality psychology, Guildford Press, 2007, p.103.

[12] Ibidem.

[13] W.M. Runyan, How to Critically Evaluate Alternative Explanations of Life Events: The Case of Van Gogh’s Ear, In W.T. Schultz, Handbook of psychobiography, Oxford University Press, 2005, pp. 96-103; W.T. Schultz, Handbook of psychobiography, Oxford University Press, 2005.

[14] A.C. Elms, Uncovering Lives: The Uneasy Alliance of Biography and Psychology, cit.

[15] W.T. Schultz, Handbook of Psychobiography, cit.

[16] P.T. Hiller, Visualizing the Intersection of the Personal and the Social Context – the Use of Multi-Layered Chronological Charts in Biographical Studies, «The Qualitative Report», n. 4, vol. XVI, pp.1018-1033.

[17] Esempi tratti da: J.G. Ponterotto, J.D. Reynolds, Bobby Fischer in Socio-Cultural Perspective: Application of Hiller’s (2011) Multi-Layered Chronological Chart Methodology, «The Qualitative Report», n. 42, vol. XVIII, 2013, pp. 1-20; P.T. Hiller, Visualizing the Intersection of the Personal and the Social Context – the Use of Multi-Layered Chronological Charts in Biographical Studies, cit.

[18] P.T. Hiller, Visualizing the Intersection of the Personal and the Social Context – the Use of Multi-Layered Chronological Charts in Biographical Studies, cit.

[19] A.C. Elms, If the Glove Fits: The Art of Theoretical Choice in Psychobiography, in W.T. Schultz, Handbook of Psychobiography, Oxford University Press, 2005, pp.93-94.

[20] Secondo l’approccio psicodinamico molti dei pensieri e comportamenti di una persona sono determinati da forze celate alla consapevolezza. Tra le teorie psicodinamiche più usate possiamo citare: la teoria delle relazioni oggettuali di Klein e Winnicott, la teoria dell’attaccamento di Bowlby e la teoria dello sviluppo psicosociale di Erikson.

[21] I.E. Alexander, Personality, Psychological Assessment, and Psychobiography, «Journal of Personality», n. 1, vol. LVI, 1988, pp. 265-294; I.E. Alexander, Personology: Method and content in personality assessment and psychobiography, Duke University Press, 1990.

[22] D.P. McAdams, Biography, Narrative, and Lives: An Introduction, «Journal of Personology», vol. LVI, n. 1, 1988, p.12.

[23] I.E. Alexander, Personality, Psychological Assessment, and Psychobiography, cit.

[24] C. Saccaggi, The method of psychobiography: presenting a step-wise approach, cit.

[25] Per questa lista di indicatori di salienza primaria mi sono servita dei seguenti testi: I.E. Alexander, Personality, Psychological Assessment, and Psychobiography, cit.; A.C. Elms, Uncovering Lives: The Uneasy Alliance of Biography and Psychology, cit.; C. Saccaggi, The method of psychobiography: presenting a step-wise approach, cit.; D.P. McAdams, Biography, Narrative, and Lives: An Introduction, cit. Nell’articolo di Alexander, tutti i criteri sono spiegati attraverso vari esempi, che risultano molto utili per una maggiore comprensione del tema.

[26] I.E. Alexander, Personality, Psychological Assessment, and Psychobiography, cit., p. 270.

[27] Ibidem.

[28] Ivi, pp. 275-276.

[29] A.C. Elms, Uncovering Lives: The Uneasy Alliance of Biography and Psychology, cit., p. 246.

[30] I.E. Alexander, Personality, Psychological Assessment, and Psychobiography, cit.

[31] W.T. Schultz, Handbook of Psychobiography, cit., pp. 8-9.

[32] M.B. Miles, A.M. Huberman, J. Saldaña, Qualitative Data Analysis: A Methods Sourcebook, cit., Sage Publications, 1994, p. 56.

[33] W.T. Schultz, Handbook of Psychobiography, cit., pp. 8-9.

[34] W.T.Schultz, S. Lawrence, Psychobiography: Theory and Method, American Psychologist, n. 5, vol. LXXII, 2017, p. 436.