Ormai è passato un mese (mi pare) dacché la nostra vita è stata stravolta. La vita e anche il nostro mestiere, come quello di tanti altri, prima in Italia (dopo la Cina) e poi in molti altri paesi europei, per fermarci qui.
Insegno Linguistica italiana fuori d’Italia, in Croazia, all’Università di Fiume. Per me la questione si è complicata ben prima che la regione in cui vivo, il Veneto, fosse dichiarata zona rossa, perché le due frontiere, quella slovena e quella croata, da passare per giungere a Fiume, sono diventate presto impossibili da varcare per gli italiani. La mia unica battaglia (vinta per un pelo) risale al 27 febbraio, quando decisi di tentare la sorte per partecipare al Consiglio di Facoltà e per fare l’ultimo appello. Da lì a qualche ora i mezzi di trasporto furono sospesi. Fine dei giochi.
Di fatto a partire dalla prima settimana di marzo ho cominciato le lezioni del secondo semestre in modalità telematica, a differenza dei colleghi che vivono a Fiume, i quali un paio di settimane in presenza sono riusciti a farle (pur con mia grossa preoccupazione).
Ho quindi cercato di aprire la pista prima degli altri, quando ancora mancavano indicazioni istituzionali in merito. È stato un susseguirsi di novità, di tentativi, di assestamenti. Sono passata dal rifiuto dell’idea delle videolezioni (e anche delle videoregistrazioni), alla certezza della loro assoluta necessità in men che non si dica. Del resto si sa, la donna è mobile... Ma finché non si sbatte la testa non ci si convince.
La verità è che non riuscivo ad accettare l’idea che si potesse mantenere l’efficacia della lezione frontale attraverso il canale telematico. Tuttavia, anche l’invio di materiali di supporto (le slide di ppt, detto in buon informatichese) mi pareva assolutamente insufficiente alle necessità del momento.
Dopo tante richieste di informazioni ai poveri colleghi italiani, già operativi da tempo e quindi per me ottime cavie, ho dunque imbastito una delle tante piattaforme oggi disponibili per fare videolezione. Praticamente ci si è aperto un mondo che credo pochi di noi conoscessero, e ce ne siamo fatti una cultura (che probabilmente non ci saremmo mai fatti se non si fosse verificata la sciagura che stiamo vivendo). Vi riporto lo stralcio di una delle mail istituzionali che mi ha colpito di più (traduzione mia): «Considerando che non sappiamo per quanto tempo durerà questa situazione, suggeriamo di fare sia l’appello straordinario di primavera sia le lezioni del semestre. Tutti i modi in cui i docenti scelgono di svolgere queste attività sono accettabili: cerchiamo di adattarci alla situazione attuale nel miglior modo possibile. Oltre al supporto tecnico che potremo darvi, chiediamo ai colleghi che hanno le conoscenze e le competenze di aiutare quelli che non le hanno. Un ringraziamento a coloro che l'hanno già fatto». Così è stato da subito, ed è stato un rinsaldare i rapporti con molti colleghi, un sentirci più vicini nella distanza per tutti.
Lo dirò in maniera semplice e genuina, a costo di peccare di sentimentalismo: non vedevo l’ora di rivedere gli studenti, pur attraverso lo schermo (ma sulla questione del ‘vedere’ tornerò tra poco), e non nascondo che c’è stata anche una certa trepidazione ed emozione alla prima diretta. Che è andata benissimo. Anzi, che è andata meglio di quanto immaginassi.
Almeno metà della prima lezione se ne è andata fra ‘Buongiorno, mi sentite? Spegnete l’audio. Ma ricordate di riattivare il microfono se avete domande. Prof, sentiamo a tratti. Adesso bene. Vedo che sta muovendo le labbra ma deve riattivare l’audio. Teniamo spenti i video così da non sovraccaricare. Anzi, provo a tenerlo acceso almeno io, così se ho da mostrarvi qualcosa [in cartaceo, ndr] faccio meno confusione’. E poi ancora: ‘come state? Riuscite a lavorare? Fate altre lezioni telematiche? Come vi sembrano? Si può fare meglio? avete suggerimenti?’. E via di questo passo. Ma era necessario.
Gli studenti sono stati propositivi, pazienti. Sono palesemente dei nativi digitali: per quello che ho potuto constatare non sembravano né stupiti né trepidanti quanto fossi io. Questo in base alle loro espressioni per quel poco che siamo riusciti a tenere il video acceso.
Due considerazioni a margine a riguardo: gli occhi e il corpo. Ho ascoltato il professor Massimo Palermo, linguista dell’Università per Stranieri di Siena, che mi ha dato lo spunto giusto per capire il motivo della mia insistente ricerca dei volti degli studenti. Abbiamo toccato con mano quanto la tecnologia tenti la miglior simulazione possibile della conversazione in presenza ma con alcuni limiti oggettivi, legati alla decorporeizzazione e soprattutto all’impossibilità di guardarsi negli occhi, di scambiarsi un cenno (si tratta di ‘asimmetria dello sguardo’, per cui cfr. Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, traduzione di Federica Buongiorno, nottetempo, Milano, 2015). Frustrante è la sensazione di guardare più o meno nel nulla senza un vero riscontro. In realtà il riscontro lo cerco ancora, e insisto su questo anche dietro lo schermo del pc, ma oggi questo ha un sapore diverso, una intensità molto minore. Insomma il contatto reale, per forza di cose, sembra quasi sopito (il link al video di Palermo: https://www.palumboeditore.it/Comunicazioni/Lasimmetriadellosguardo).
Aggiungo a questo la questione del corpo, che ne è espansione e corollario. Per chi come me fa da sempre lezione in piedi, stare oggi seduti con gli occhi fissi continuamente fra doc, pdf, ppt e video è una indicibile sofferenza, a cui non so se saprò abituarmi. Ne risulta un rimorso nuovo, fresco di questa ultima settimana di lezione, quello di far venire il mal di mare agli studenti a causa del mio continuo muovermi sulla sedia. Ma magari è un mal di mare simile a quello che provoco in aula in presenza. Chissà. Glielo chiederò la prossima videolezione.
3 aprile 2020
Anna Rinaldin
Università di Fiume