Matteo De Benedittis - Arte Mutante

La metamorfosi da e verso il romanzo a fumetti

Matteo De Benedittis

Arte Mutante. La metamorfosi da e verso il romanzo a fumetti

 

Introduzione labile

All’inizio del XXI secolo (e con tutto il XX alle spalle) è facile per noi pensare a confini labili, metamorfici. Non solo fra i generi e le opere, ma anche fra l’opera e il destinatario. L’assente meta-pittore del quadro di Magritte ci ricorda: conoscere è creare. Egli non ha prima conosciuto e poi copiato il panorama fuori dalla finestra: l’ha creato. E, creandolo, lo ha inserito in una cornice: l’ha reso conoscibile. (Che il “vero” panorama e la sua ri-creazione sulla tela siano identici è solo una delle possibilità - una delle più remote, forse). Questo per dire che la mente, per poter conoscere la realtà, la ri-crea dandole, senza mediazioni né consapevolezza, dei confini (il foglio, la pellicola, la metrica, il silenzio). Il confine risponde al bisogno che l’uomo ha di senso, di direzione, di determinatezza. Questi confini permettono di distinguere tra oggetto e lo sfondo: l’oggetto è interessante, lo sfondo non interessa. L’atto creativo della conoscenza deve disinteressarsene, se no, non può conoscere. Lo spettatore può, ora che l’ha definito, dirigersi verso l’oggetto, mentre lo sfondo resta indefinito. Allo stesso tempo il confine (creazione mentale, inesistente in realtà) ci avverte che l’oggetto e lo sfondo non solo esistono alternativamente (aut/aut) ma contemporaneamente (et/et), spingendoci a fare zigzag fra dentro e fuori, fra figura e sfondo, fra determinato e indeterminato: il quadro deve onorare la cornice come si onorano i genitori[1]. Sotto la spinta di questo zig-zag i confini hanno iniziato a vacillare.

In questo spazio oltre-letterario il destinatario può diventare protagonista, seguitando una tradizione ben sintetizzata da Elisabetta Menetti nel saggio Il rovescio del racconto. Tentano la fusione fra il personaggio e lo spettatore, zigzagando sul confine fra la vita e la sua rappresentazione, J. Borges, M. C. Escher, R. Magritte, J. Potocki, B. Stoker, ma anche I. Calvino[2], S. Benni, B. Tognolini, J. Dever[3], C. Nolan[4] e P. E. Haggis[5] i quali, (provvidamente soccorsi dalla visio mundi di G. Bateson, R. Girard, S. Baumann), sviluppano (e, a volte, teorizzano[6]) fotografie che confondono il Creato e la creatività. (Istanza per altro da sempre presente non solo nella narrativa moderna – Boccaccio, Le Mille e una notte[7] - ma anche nella mitologia biblica - il Pentateuco[8]).

Non solo il lettore diventa personaggio (e viceversa), ma la medesima storia muta forme e generi: narro a voce una storia davanti al falò, la disegno sulla parete (poi sulla pergamena, poi sulla carta, poi sulla pellicola), lo scrivo (prima in poesia e poi come romanzo), ne faccio un fumetto (disegno e scrittura), ne faccio il film (disegno e scrittura e voce), ne faccio il videogioco (disegno e scrittura e voce e “io”). Rispetto ai nostri avi, il nostro evo ha forse solo più consapevolezza di questa danza sul confine fra di qua e di là dalla pagina. Rispetto al nostro evo, il nostro decennio ha più inconsapevolezza di questa liquida danza. Ora non c’è più bisogno di fare un salto di consapevolezza: oggi è normale che la comunicazione sia liquida, che l’arte sia polimorfa, che la realtà sia virtuale.

Non ci stupiamo che il contratto editoriale di un romanzo possa includere clausole riguardo i diritti del film, del fumetto, del videogioco - suoi gemelli eterozigoti.

Nell’ultimo secolo il pubblico colto e il pubblico popolare/folk/pop si sono congiunti e contaminati, da quando la cultura che non lasciava tracce (quella popolare, tipicamente orale) ha incominciato a poter essere conservata, registrata, diffusa, moltiplicata. Helmut Kreuzer definisce i prodotti artistici della cultura orale - o paraletteratura - come ciò che si trova al di sotto «dei limiti di tolleranza di coloro che in un determinato periodo storico detengono lo scettro del gusto letterario. Tuttavia non va perso di vista che accanto a questo confine, importante e determinante per la storia dello sviluppo della storia letteraria, la ricerca socio-letteraria potrebbe tracciare limiti di tolleranza più ampi in corrispondenza con le differenze esistenti fra i diversi strati di pubblico»[9].

Questi confini si sono ampliati e frammisti: la narrazione, oggi, prende la forma di ciò che la contiene. E i contenitori si moltiplicano, traendo le energie dalla mai sazia avidità umana per le storie, e le potenzialità dalla ridda tecnologica.

 

Ri-plasmazioni

In queste righe circoscriveremo il campo a come e cosa muta in una storia passando dal romanzo ai fumetti (e, di riflesso, fra parentesi, dai fumetti al cinema). Indagheremo il romanzo a fumetti (graphic novel). A tale riguardo sostiene Andrea Neri che esso «si tratta infatti di un territorio nel quale linguaggi differenti, ma dotati di pari dignità, danno vita ad un tipo di comunicazione autonoma. Un linguaggio che in un certo senso funge da anello di congiungimento tra la lingua scritta di ciò che chiamiamo “Letteratura” da un lato, e il movimento divenuto immagine e suono nel cinema dall’altro.»[10]

In un disaccordo meramente terminologico con A. Neri mi permetto di preferire “nodo della rete” ad “anello di congiungimento”, definizione adatta all’ormai passato legame piramidale fra cinema, fumetto e letteratura. La letteratura troneggiava sul cinema e, a cascata, ancor di più, sul fumetto. Tant’è vero che alcune storie diventavano riduzioni cinematografiche o riduzioni a fumetti. E non possiamo nasconderci che il termine riduzione palesa un valore che è diminuito. Rincara Neri: «Ma perché ritenere che il fumetto sia trattato come un sordo-muto, lasciato nel limbo dei “figli di un dio minore”?»[11] (E, sbotta mio nonno – classe 1928 – quando gli racconto che sto scrivendo un saggio sui fumetti: “Alla tua età, leggere ancora fumetti?!”)

Oggi una storia non nasce come uno degli anelli della catena, ma viene creata all’interno di una rete di uguale dignità e di valore complementare. Cinema, fumetto e romanzo servono la stessa storia, ognuno secondo i suoi talenti. Nicholas Negroponte, sostiene, a riguardo delle specificità di genere narrativo: «La terza [motivazione a favore dell’importanza dei libri] è una ragione più personale, vagamente ascetica. I sistemi multimediali interattivi lasciano poco spazio all’immaginazione. Come un film di Hollywood, la narrazione multimediale fornisce rappresentazioni così precise, che all’occhio della mente rimane sempre meno da fare. La parola scritta, invece, suscita immagini ed evoca metafore che traggono molto del loro significato dall’immaginazione e dalle esperienze del lettore. Quando leggete un romanzo, siete voi che date al testo buona parte del coloro, del suono e del movimento. Ritengo che lo stesso tipo di coinvolgimento personale sia necessario per comprendere veramente cosa possa significare per la vostra vita “essere digitale”. Dovete mettere qualcosa di voi stessi nel leggere questo libro. E lo dice uno che non ama leggere.»[12]

Un esempio efficace del passaggio dalla pagina alla pellicola è la transcodificazione di Gomorra[13]. Il libro di Saviano è un buco stipato di racconti, aneddoti, soffiate, dati, dicerie, notizie, informazioni, testimonianze, citazioni, cronache. Leggendo si lotta con se stessi per non perdere i nomi, scordare i quartieri, smarrire le date. Il film il Garrone sceglie una notizia[14], una cronaca[15], una diceria[16], una testimonianza[17] e una soffiata[18]. Cinque. E basta. Ma a queste cinque storie mette gli sguardi. Mette il sudore. Mette l’anima. Ti cicatrizza in mente un volto, che prima era solamente un nome (uno dei tanti, da sforzarsi di non dimenticare). Il film ha il volto, l’identità, l’emozione. Il libro ha l’approfondimento, la documentazione, la precisione. Chi abbia visto e letto, coniuga il dato controllato con il fiato sul collo. Il cervello e lo stomaco. Passio et ratio.

 

Complementari

Un esempio ugualmente efficace è la peregrinazione di Batman dalle pagine degli albi DC comics ai lungometraggi diretti da C. Nolan. Nolan dirige nel 2005 Batman - Begins e nel 2008 Batman - Dark Knight. Nel primo caso - Batman begins - l’ambientazione, il personaggio, i nemici e la storia di Batman sono un pre-testo per parlare della paura. La paura è la reale protagonista del film: tutti i personaggi, infatti, hanno e/o fanno paura. Ma, si può obiettare, ciò è vero anche per il fumetto. Sicuramente. Come nel fumetto Bruce Wayne viene spaventato dai pipistrelli, prima di diventare il Cavaliere Oscuro, così anche lo psichiatra Jonathan Crane veste i paurosi panni dello Spaventapasseri sia sulla carta che sulla pellicola. Ma è altrettanto sicuro che il montaggio e - soprattutto - la colonna sonora (talenti precipui del cinema, impraticabili al fumetto) fanno sobbalzare fra i braccioli delle poltroncine come mai ho visto fra gli scaffali delle fumetterie. La storia è un contenuto troppo fluido e mite per non essere influenzato dal suo contenitore.

 

 

8 maggio 2023

 


[1] Riguardo a filtro creativo e zig-zag fra cornici cfr. S. Manghi, La conoscenza ecologica: Attualità di Gregory Bateson, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2004, pp. 23-52.

[2] Cfr. Se una notte d’inverno un viaggiatore, Il castello dei destini incrociati e La locanda dei destini incrociati.

[3] La sua Saga di librigioco di Lupo Solitario è la punta di diamante della letteratura che punta alla sovrapposizione dei confini: il lettore è il protagonista. (Chi gioca sceglie un confine e lo varca. Perciò il gioco è creativo).

[4] Il montaggio inverso di Memento (2002) mette lo spettatore nella stessa situazione del protagonista, sovrapponendone la percezione, confondendo i due ruoli, varcando i confini.

[5] Nessuno degli interpreti di questo pluripremiato lungometraggio è il protagonista: Crash ha come attore principale “la relazione”.

[6] «Ho voluto cominciare con questa citazione perché mi pare che si presti molto bene a introdurre il tema della mia conferenza, che è il romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo.» Cfr. I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, p.101.

[7] La novella di cornice è la più bella delle novelle narrate. «Nella cornice delle Mille e una notte Dinarzad ripete ogni notte che la storia raccontata dalla sorella è bella e strana, consentendo a Shahrazad di rilanciare al re la proposta di continuare la notte seguente con una storia ancor più stupefacente. Nella lunga catena di racconti arabi, di cui Shahrazad mantiene mirabilmente la regìa, si fa spesso riferimento alla necessità di ascoltare racconti mirabili, divertenti e affascinanti: pena la morte.» Cfr. E. Menetti, Il rovescio del racconto, «Griseldaonline», VII, 2007-08.

[8] La Torah contiene la non-Torah: le cornici si (con)fondono. Il 30% circa della Torah (tutta Genesi e metà Esodo) parlano di un tempo in cui la Torah stessa non esisteva ancora. La Genesi è interamente nella Torah e interamente senza Torah. Ciò permette a Gesù di dire: audistis quia dictum est antiquis… Ego autem dico vobis. Avete inteso che fu detto… ma in principio non era così (Mt 5, 21- 22). Restare nella cornice Torah, uscendone.

[9] Cfr. H. Kreuzer, La «paraletteratura»: un tema di ricerca, in G. Petronio [a cura di], Letteratura di massa Letteratura di consumo. Guida storica e critica, Roma - Bari, Laterza, 1979, p.39.

[10] Cfr. A. Neri, Tutto quello che la letteratura considera “altro” ma non ha mai osato leggere: Tiziano Sclavi fra narrativa e fumetto, «Griseldaonline», II, 2002-03.

[11] Cfr. Ibidem.

[12] Essere digitali, trad. di A. Knopf, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.

[13] R. Saviano, Gomorra: Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Milano, Mondadori, 2006.

[14] «Quando le discariche stanno per esaurirsi si dà fuoco ai rifiuti. C'è un territorio nel napoletano che ormai è definito la terra dei fuochi, il triangolo Giugliano-Villaricca-Qualiano. Trentanove discariche, di cui ventisette con rifiuti pericolosi. Un territorio in cui aumentano del 30 per cento all'anno.» Id., Gomorra, p. 136.

[15] «“Quanto pesa un picciotto? Quanto una piuma al vento.” Non avevano ancora la patente quando iniziarono a assediare le comitive di coetanei di Casale e San Cipriano d'Aversa. Non ce l'avevano perché nessuno dei due aveva diciotto anni. Erano due bulli. [...] Ogni volta che mi capita di passare per Parco Mare, immagino la scena che hanno raccontato i giornali, che hanno ricostruito i poliziotti.» Id., Gomorra, p. 117.

[16] «Da tempo la donna non usciva di casa, così per eliminarla usano un ragazzino come esca. Citofona. La signora lo conosce, sa bene chi è, non pensa a nessun pericolo. Scende ancora in pigiama, apre il portone, e qualcuno le punta la canna della pistola in faccia e spara.» Id., Gomorra, p. 49.

[17] «Tra gli operai dell'imprenditore vincente ne incontrai uno particolarmente abile. Pasquale. Aveva una figura allampanata. […] Alcune griffe - fidandosi della sua capacità - gli facevano ordinare direttamente i materiali dalla Cina, e lui stesso poi ne verificava la qualità. Per questo motivo Xian e Pasquale si erano conosciuti.» Id. Gomorra, p. 17.

[18] «Il sottomarino è la persona che viene incaricata di distribuire le mensilità. Li chiamano così perché strisciano sul fondo delle strade. Non si fanno mai vedere, non devono essere facilmente rintracciabili perché possono essere ricattati, messi sotto pressione, rapinati. Emergono dalla strada d'improvviso, arrivando alle stesse case seguendo percorsi sempre diversi. Il sottomarino cura gli stipendi dei livelli più bassi del clan.» Id., Gomorra, p. 68