(Note a margine della conversazione con Grazia Gotti)
Alberto Sebastiani
Ipotesi di ricerca e didattiche sulle illustrazioni per Rodari.
(Note a margine della conversazione con Grazia Gotti)
Tra le tante iniziative per il centenario rodariano, documentate anche dal sito 100giannirodari.com, molte sono state dedicate all’illustrazione. Un focus necessario, data la mole e la qualità della produzione, nonché la sua importanza nell’opera editoriale, teatrale e d’animazione di Rodari. Tale produzione è stata omaggiata in particolare con Figure per Gianni Rodari. Eccellenze italiane, mostra ideata nel 2015 da Bologna Children’s Book Fair, che ha portato in oltre 10 nazioni l’opera di 18 illustratori italiani, tra cui Anna e Elena Balbusso, Mara Cerri, Roberto Innocenti, Guido Scarabottolo, e rinnovata nel 2019 per un tour mondiale con nomi quali Emanuele Luzzati, Mariachiara Di Giorgio, Giulia Orecchia, Nicoletta Costa. Il catalogo Figure per Gianni Rodari. Eccellenze italiane (a cura di Giannino Stoppani cooperativa culturale, Einaudi Ragazzi, 2019), così come Cento Gianni Rodari. Cento storie e filastrocche: cento illustratori (a cura di Gaia Stock, Einaudi ragazzi, 2019) sono esempi delle (non numerose, a dire il vero) monografie sul dialogo tra immagini e parola rodariana, tra le quali vanno citate, almeno, La grammatica delle figure. Illustrare Gianni Rodari (a cura di Giannino Stoppani cooperativa culturale, Compositori, 2010), Rodari, le parole animate (a cura di Roberto Cicala e Anna Lavatelli, Interlinea, 1993) e il recente Munari per Rodari (Corraini, 2020), con un intervento di Antonio Faeti, ovvero il “padre” degli studi sui cosiddetti “figurinai” con Guardare le figure (Einaudi, 1972; Donzelli, 2011).
Non a caso proprio da Faeti e dall’importanza del suo lavoro, riconosciuta in primis da Italo Calvino e Rodari stesso, muove l’introduzione al quaderno Rodari a colori. Tavole, disegni, figure, uscito per i Meridiani Mondadori con il volume Opere di Gianni Rodari a cura di Daniela Marcheschi (2020). Il quaderno è curato da Grazia Gotti e ospita 69 tra illustrazioni e copertine pubblicate tra il 1950 e il 2020, a partire da Mafai, Berti e Verdini fino a Chiara Rapaccini, Chiara Armellini e Manuele Fior (tutte riprodotte in piccolo formato). Il saggio introduttivo s’intitola Segni, forme e colori per Gianni Rodari e ad esso ci siamo rifatti nella conversazione avvenuta tra la Gotti e il sottoscritto in occasione del seminario Gianni Rodari: scritture, giochi, figure (Bologna, 2020). L’obiettivo, da parte mia, era suggerire alcuni percorsi di ricerca e didattici (non solo di educazione all’immagine) in un territorio in larga parte ancora da esplorare, giocando sull’ambiguità semantica del titolo, per cui per può significare secondo o destinate a, e il nome dello scrittore individuare sia la persona, sia per metonimia la sua opera.
Tali percorsi, in primo luogo, sono relativi a definire l’idea che Rodari aveva delle illustrazioni e del senso che egli attribuiva ad esse all’interno dei suoi volumi. Grazia Gotti nel saggio suggerisce delle risposte ripartendo dalle parole rodariane usate in alcuni testi privati e saggi, in cui parla dell’importanza di dare sembianze ai concetti, del ruolo delle stampe popolari e del surrealismo[1] per visualizzare e fantasticare. A ciò possiamo aggiungere, sempre in relazione alle immagini e alle illustrazioni, un repertorio lessicale di espressioni apparentemente generiche come forme delle cose (es. in Viaggio intorno a casa mia, nella Grammatica della fantasia), l’insistenza su sostantivi come gioco, o verbi quali stimolare, mostrare, che tendono a una sorta di iperonimico conoscere. Ne risulta quanto Rodari consideri importante l’illustrazione nelle storie per bambini, e parte del suo operare letterario. Dal suo punto di vista, infatti, si apprende meglio attraverso la visibilità, attraverso la concretezza delle immagini in dialogo con le parole, a loro volta concrete, d’uso, “vere”.[2]
In secondo luogo, va affrontato il dialogo che gli illustratori hanno stabilito con l’opera di Rodari. Il contesto in cui esso avviene non è certo secondario: dal punto di vista professionale, ad esempio, alcuni sono stati incaricati di lavorarvi, su commissione (es. Bruno Munari), altri si sono proposti volontariamente (es. Maria Enrica Agostinelli, Emanuele Luzzati). Dal punto di vista storico, tali incontri possono essere avvenuti mentre Rodari era in vita, e in momenti diversi della sua carriera letteraria, da esordiente dalle ottime prospettive a premio Andersen con successo di vendite e riconoscimento generale del suo valore pedagogico, oppure dopo il suo decesso, quindi al cospetto di un classico. Parliamo quindi anche di generazioni diverse: artisti coetanei di Rodari, che con lui hanno lavorato o condiviso un determinato periodo, o coetanei dei suoi figli o dei suoi (pro)nipoti, quindi di mondi editoriali differenti, in cui la letteratura per l’infanzia è passata da nicchia a settore trainante. È un percorso in cui gli illustratori diventano da pionieri sperimentatori alla ricerca di un linguaggio a professionisti con una formazione artistica ad hoc, con una tradizione ormai cospicua alle spalle, che nel caso di Rodari vanta addirittura dei classici. Gli illustratori, quindi, dal fondare un immaginario figurativo in relazione a un testo sono passati a confrontarsi con una tradizione di relazioni tra immagini e parole. Dai coetanei dei figli di Rodari in poi, inoltre, gli illustratori sono cresciuti con le sue storie (ascoltate in radio o nei dischi, nelle letture familiari e/o scolastiche), e le hanno rilette ai propri figli e nipoti, nati dopo la morte dell’autore, riguardando con loro le immagini nei volumi, “storiche” o “nuove”, all’interno di una catena affettiva per cui quelle parole e immagini sono diventate parte della relazione coi figli e voce dei genitori o dei nonni. Si parla cioè di situazioni mai emotivamente neutre. Nelle illustrazioni si riverberano così il contesto storico, culturale ed economico, ma anche l’elemento affettivo. Come la lingua, neanche il disegno è innocente. Ci dice: dice a noi e dice di noi.
Rodari è un classico che, sulla scorta della risposta di Calvino a Perché leggere i classici?, seguitiamo a rileggere, con le illustrazioni. A chi e di chi parlano le illustrazioni, quindi, dialogando col testo rodariano? Chi è o chi sono quel o quei noi? Oggi, dopo decenni di studi e riflessioni critiche, siamo consapevoli di considerare i bambini e i ragazzi come lettori ideali dei libri per l’infanzia e l’adolescenza, ma anche dell’esistenza di un pubblico molto più vasto in virtù dei diversi e possibili livelli di lettura di un testo. Siamo quindi all’interno di una vasta area di studi in cui convergono quelli semiotici e linguistici, di intertestualità e sulla ricezione, ermeneutici e culturali, e ci appropinquiamo ad essa a partire dall’interpretazione “creativa” di un testo attuata attraverso un’illustrazione, ovvero una traduzione intersemiotica, inevitabilmente filtrata da una sensibilità dettata anche dal vissuto. L’illustrazione entra così nel processo di lettura, quindi della costruzione di senso dell’opera, a partite dall’atto creativo dell’illustratore nei confronti dell’opera stessa, che ne è un’interpretazione visiva ma ne diventa anche parte nel momento in cui altri si trovano a leggere testo e immagine configurati nel volume. Sarebbe quindi interessante, ad esempio, interrogarsi più a fondo sui lavori di Francesco Tullio Altan, il quale, per affrontare Favole al telefono o Storie di Marco e Mirko, attua una particolare rimodellazione del proprio tratto. Negli anni Novanta, illustrando questi libri, avrebbe infatti scelto una soluzione intermedia tra la spigolosità delle figure umoristiche stile Cipputi o delle storie per adulti come Caltagirò e la rotondità della Pimpa, tanto che Grazia Gotti vi legge un «bilanciamento tra mondo dei piccoli e mondo degli adulti» e una «sintonia con il lavoro di Rodari».[3]
Peraltro, a proposito della tradizione iconografica, non va dimenticato che Favole al telefono era già stato illustrato da Munari. Come dicevamo, esiste una tradizione di illustratori importanti di Rodari, con cui chiunque si avvicini alle opere dello scrittore deve in qualche modo confrontarsi. Si tratta di partecipare consapevolmente a una tradizione. A livello interpretativo, essa può anche essere affrontata leggendo il dialogo che complessivamente istituisce con Rodari. Prendendo ad esempio Munari e Luzzati, abbiamo due risultati che, analogamente, cercano di sorprendere e stimolare la fantasia del giovane lettore, ma seguendo strade differenti: l’uno invita a scoprire e a giocare con le strutture, provocando le grammatiche del visivo, l’altro recupera un immaginario popolare e fantastico attraverso l’esplosione del colore, il grottesco, il carnevalesco. Curioso che, a ben vedere, entrambe le strade siano presenti nella scrittura di Rodari. Il risultato è che, al lettore, oggi, vedere insieme Luzzati e Munari può apparire una manifestazione visiva del «binomio fantastico» caro alla Grammatica della fantasia. Se ci fossero libri illustrati sia dall’uno che dall’altro, sarebbe anche una provocazione didattica notevole.
A questa mancanza possono sopperire altri autori, più recenti. Può essere utile comparare illustrazioni di autori contemporanei con quelle di libri già illustrati in passato,[4] o i lavori coevi sui medesimi libri, specie nelle edizioni postume, di fumettisti e illustratori quali Lorenzo Mattotti, Francesca Ghermandi, Fabian Negrin, Chiara Carrer, Anna Laura Cantone, Beatrice Alemagna e Alessandro Sanna. Questi ultimi due, nati negli anni Settanta, sembrano ad esempio i candidati ideali per permettere un dialogo con i testi rodariani e con la tradizione. La Alemagna, infatti, ha pubblicato due Favole al telefono in Francia: La promenade d’un distrait (Seuil jeunesse, 2005) e Un et sept (Seuil jeunesse, 2001). Il suo lavoro, che in primo luogo rende l’illustrazione primaria nella pagina trasformando i racconti in picturebook, non guarda però né a Munari né ad Altan: riecheggia evidentemente Luzzati nello stile, nelle posture e nella raffigurazione dei corpi, nelle proporzioni e nei paesaggi urbani. Invece con A sbagliare le storie (Emme, 2020), altro testo dallo stesso libro rodariano, sembra richiamare Munari, ad esempio nell’insistito uso di forme geometriche, reticoli, linee curve, segmenti e puntini per creare le figure e gli ambienti, pur mantenendo cromatismi e deformazioni grottesche alla Luzzati.[5] Sanna, versatile nello stile e capace di muoversi tra il colore e il segno grafico, si è confrontato a sua volta con Favole al telefono, proprio con A sbagliare le storie (Emme, 2008), scegliendo di abbandonare il tratto per le forme cromatiche, anch’egli accostandosi così a Munari, ma con personaggi umani e animali che ricordano nella raffigurazione e nel movimento quelli di Luzzati. Con il recente Codice Rodari (Einaudi, 2020), invece, si è nettamente spostato nell’area munariana lavorando sul segno, e sulle strutture e sulle grammatiche del tratto nel suo divenire disegno.
Comprendere il perché di tali scelte, in relazione al testo e alla tradizione, è senz’altro un’ipotesi di ricerca stimolante per capire la lettura e l’interpretazione che di Rodari e dei suoi illustratori illustri hanno dato Sanna e Alemagna. Imparare ad osservare e ad analizzare queste raffigurazioni in relazione al testo, però, è ormai imprescindibile anche per affrontare l’intera produzione letteraria per l’infanzia e l’adolescenza: parliamo infatti di una realtà rilevante dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo e ormai in costante dialogo con l’immagine, la quale ha da tempo cessato di essere didascalica e sempre più rende i libri illustrati dei testi sincretici da leggere nella loro configurazione complessiva.[6]
27 aprile 2021
[1] Ancora oggi di grande interesse, a questo proposito, è Francesca Califano, Lo specchio fantastico. Realismo e surrealismo nell’opera di Gianni Rodari, Trieste, Einaudi Ragazzi, 1998.
[2] Sulla ricerca poetica e lessicale di Rodari, oltre al celebre volume di Marcello Argilli (Gianni Rodari, Torino, Einaudi, 1990), si rimanda per una sintesi ad esempio a Rosarita Digregorio, Filastrocca in fila italiana, in “Lingua italiana”, 1 giugno 2020, www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Rodari/02_Digregorio.html
[3] Cfr. Grazia Gotti, Segni, forme e colori per Gianni Rodari, in Rodari a colori. Tavole, disegni, figure, a cura di Grazia Gotti, Milano, Mondadori, 2020, p. 19.
[4] Il libro dei perché, ad esempio, è stato pubblicato da Editori Riuniti nel 1984 con le illustrazioni di Emanuele Luzzati e nel 2010 da Einaudi con i disegni di Giulia Orecchia.
[5] Si possono apprezzare estratti dei libri sul sito ufficiale dell’artista www.beatricealemagna.com nella sezione “books”.
[6] Rimandiamo per la questione almeno all’ormai classico Albi illustrati. Leggere, guardare, nominare il mondo nei libri per l’infanzia di Marcella Terrusi (Roma, Carocci, 2012), ma anche il recente studio di Veronica Bonanni, La fabbrica di Pinocchio. Dalla fiaba all’illustrazione, l’immaginario di Collodi (Roma, Donzelli, 2020) sulla stretta correlazione tra testo e illustrazione nella vicenda redazionale ed editoriale di Pinocchio di Collodi.