La prima traduzione di Dante in Spagna nel manoscritto Mad. 10186
Tra il XIV e il XV secolo, in Spagna, si assiste a un’intensa attività di traduzione dei classici e degli autori contemporanei stranieri, favorita dalla nascita di biblioteche private e circoli letterari legati ai nobili dell’epoca. Questa pratica, destinata a consolidarsi e a svilupparsi ulteriormente durante il Siglo de Oro, trova inizialmente impulso nella proliferazione dei centri di committenza. Gradualmente, tuttavia, l’operazione della traduzione si diffonde in tutta la penisola iberica, coinvolgendo le lingue vernacolari delle diverse corti e le personalità di rilievo dell’epoca. Ciò che risulta peculiare di questa fase è la consapevolezza che l’attività traduttiva non segua regole uniformi e applicabili a ogni opera, ma vari in funzione del contesto, del testo da tradurre e delle competenze del traduttore.[1] In questo periodo emergono figure emblematiche, come il Marchese di Santillana e il Condestable de Luna, personalità politiche di grande influenza che favoriscono la circolazione di opere classiche e contemporanee attraverso la creazione di vere e proprie officine librarie.
In Spagna, come accennato, la traduzione, la copia e la diffusione dei testi sono strettamente legati alla committenza e lo dimostrano i numerosi manoscritti che presentano un testo di dedica nel prologo. In molti di questi prologhi ricorre il topos dell’insufficienza della lingua vernacolare nel riprodurre adeguatamente i significati e le sfumature della lingua latina, mentre il problema appare attenuato nelle traduzioni tra lingue romanze, grazie alla loro affinità strutturale e lessicale.[2] Durante questa fase, la traduzione cessa di essere un semplice mezzo per accrescere la quantità di manoscritti disponibili nelle biblioteche. Si avverte, invece, l’esigenza di realizzare codici contenenti opere singole, tradotte, al fine di garantire una maggiore maneggevolezza, leggibilità e fruizione del testo.
La traduzione si configura come il luogo in cui gli universali linguistici trovano la loro manifestazione più tangibile.[3] Le lingue, infatti, non sono estranee fra loro ma hanno un obiettivo comune nell’intento di comunicare il messaggio. La traduzione si fonda sull’arbitrarietà e sulla biunivocità del segno linguistico, una tensione costante tra significante e significato, che non si basa sull’equivalenza delle unità costitutive del discorso, ma sul mantenimento e sulla trasmissione del messaggio. Se per i Greci la pratica del tradurre è quasi del tutto inesistente, per i Latini il concetto assume delle articolazioni più complesse. Il termine greco μεταγράφω (‘trascrivere, tradurre’) non ha dato origine all’equivalente latino transcribere nel senso di tradurre, poiché l’atto della scrittura includeva già, di per sé, quello del copiare.[4] Soltanto nella tradizione mediolatina si comincia a utilizzare transfero, che sarà poi assimilato nelle lingue romanze con il termine translatare. Questo termine presentava il vantaggio di consolidare l’unità della famiglia terminologica, includendo il nomen actionis (traslatio) e il nomen agentis (translator).[5]
Da questa evoluzione deriva il termine trasladar, utilizzato da Enrique de Villena (1384-1434) – letterato e traduttore spagnolo – sia con il significato di «copiare, esemplare», sia come atto di tradurre, distinguendo chiaramente i diversi livelli linguistici implicati. Nel Medioevo, infatti, si possono individuare due principali modalità di traduzione: una traduzione «verticale», relativa alla trasposizione dal latino – lingua di prestigio e di elevato valore culturale – e una traduzione «orizzontale», che riguarda lo scambio tra lingue di struttura simile, rappresentando il doppio fenomeno del volgarizzare e del tradurre.[6]
In questo contesto si registra un incremento delle traduzioni dall’italiano in Spagna, attribuibile a un possibile «efecto de la fama y lectura de Dante».[7] Tale fenomeno interessa sia opere originalmente scritte in italiano sia volgarizzamenti italiani di testi latini. In questo coté si colloca l’attività intellettuale di Enrique de Villena.
Villena rappresenta una figura di spicco del XV secolo iberico, le cui opere costituiscono una «fecha capital en la historia del […] Renacimiento» ispanico,[8] preparando «el camino de los primeros renacentistas españoles».[9] Con la traduzione della Commedia, Villena introduce una svolta significativa: pone maggiore attenzione alla forma del testo del manoscritto di base, e ricorre perciò a più esemplari per garantire una traduzione quanto più fedele possibile al testo originale. Tale approccio rivela un’attitudine filologica inedita per l’epoca, caratterizzata da una consapevolezza e da una conoscenza del testo e del processo di varia lectio che risultano fino ad allora assenti tra i grandi intellettuali. Lo stesso Post osserva in merito: «If anyone in the fifteenth century might be expected to prove a thorough going Dantista, that man should be Enrique de Villena».[10]
A Enrique de Villena si deve la prima traduzione in prosa della Commedia in castigliano, realizzata nel 1428 su commissione del Marchese di Santillana. Questa traduzione è conservata nel manoscritto di Madrid, Biblioteca Nacional de España, ms. 10186, che rappresenta un autorevole testimone della tradizione settentrionale dell’opera dantesca.[11] Il codice presenta una prima carta sostituita nel Quattrocento; di conseguenza, sono andate perduti eventuali paratesti come un prologo o una dedica. Se fosse effettivamente mancata una nota del traduttore, nella quale Enrique de Villena avesse dichiarato e descritto la propria operazione, il fatto rappresenterebbe una novità rispetto ad altri suoi lavori, come ad esempio la traduzione dell’Eneide (1427). L’assenza risulterebbe però, d’altro canto, coerente con l’uso privato che il Marchese di Santillana intendeva fare della traduzione. Quest’ultima, infatti, era concepita come supporto alla lettura del poema dantesco e non ambiva a sostituirlo.
Per secoli la traduzione di Villena è stata considerata perduta. Grazie agli studi di Cortarelo y Mori e Marc Schiff, nel tentativo di riscostruire, nel primo caso, la biblioteca del traduttore, nel secondo caso, quella del Marchese di Santillana confluita successivamente in quella del Duca di Osuna, la traduzione è stata identificata con quella presente nei margini del noto codice di Madrid, Biblioteca Nacional de España, ms. 10186 della biblioteca del Marchese di Santillana.[12] L’operazione di Villena non è priva di meriti: egli infatti tende a mantenere una evidente fedeltà al testo del poema, cercando di rispettare la volontà autoriale e valutando tutte le possibilità linguistiche che permettano di avvicinare il castigliano al dettato dantesco. Questo procedimento letterale ha rilevato un grande sforzo linguistico che ha permesso di valutare l’adeguamento del castigliano del primo trentennio del ’400 alla lingua di Dante.
Enrique de Villena avvia questa operazione culturale parallelamente alla traduzione dell’Eneide virgiliana per Juan II di Navarra, «romançada por su mandado e instancia».[13] Come emerge dagli studi di Lacuesta[14] e dall’esame del manoscritto conservato a Madrid (Biblioteca Nacional de España, ms. 17975), «antes fuese puesta en pergaminos e bien escripta para gela èresentar se levantó discordia e guerra entre el señor Rey de Castilla a quien el dicho Don Enrique de Villena avya por soberano señor e le dicho señor Rey de Navarra».[15] In una seconda parte, però, la glossa dichiara l’intenzione di lasciare l’opera ai castigliani «por én, abstóvose de le fazer tancto benefiçio ne aver con él comunicaçión en este presente, reservándola para comunicar a otros cavalleros del regno que deseavan de la veer e eran en el serviçio del dicho señor rey de Castilla».[16]
Il progetto di traduzione dell’Eneide iniziato nel 1427, sorto proprio su richiesta del sovrano Juan II, non venne mai consegnato. A seguito dei conflitti tra il regno di Navarra, di Aragona e di Castiglia, Villena decide di schierarsi con il sovrano castigliano, e venne per questo espropriato dei suoi averi e dei suoi diritti ereditari in Aragona, decidendo così infine di mettere a disposizione la propria opera ad alcuni signori del regno castigliano.[17] È possibile che, tra i signori genericamente menzionati per cui completa l’opera, vi sia il Marchese di Santillana; a lui Villena attribuisce questa iniziativa e la fattura di otros poemas, forse già riferendosi alla traduzione della Commedia che avrebbe iniziato proprio su sua richiesta. Cátedra, infatti, a seguito di uno studio sulle fasi redazionali della traduzione dell’Eneide e delle relative glosse, ha datato quest’ultime intorno al 1429[18] riscontrando alcuni riferimenti alla Commedia. Le numerose citazioni del poema e i molti riferimenti interni all’operazione di traduzione virgiliana, resi evidenti anche dall’apparato di postille del traduttore all’opera, hanno permesso di datare la traduzione della Commedia al 1428. Già nell’Arte de trobar, opera incompiuta di Don Enrique nella quale ha introdotto l’arte poetica provenzale in castigliano, Villena aveva definito questa operazione come secondaria rispetto al progetto virgiliano, descrivendola come «un soláz en comparación del trabajo que en la Eneyda pasava», una sorta di sperimentazione e di prova preliminare per prepararsi a «exprimir degnamente los angelicos cambiamentos virgilianos: así como un trabajo fuese reposo de otro trabajo». Tuttavia, la sua attività editoriale lascia intravedere una progettazione più solida, forse già delineata in un piano editoriale ben strutturato prima del 1428.
Come anticipato, la traduzione di Villena, un tempo ritenuta perduta, è stata identificata con il testo al margine in castigliano del manoscritto di Madrid, Biblioteca Nacional de España, ms. 10186 datato 1354, grazie agli studi di Marc Schiff sulla biblioteca del Marchese di Santillana.
Secondo lo studioso, la traduzione presente nel margine del manoscritto può essere attribuita a Enrique de Villena per diverse ragioni. Innanzitutto, l’intera biblioteca del Marchese di Santillana è confluita, dopo la sua morte, nella collezione del Duca di Osuna. Inoltre, secondo Schiff il fatto che la traduzione conservata nel ms. 10186 fosse completa rispondeva alle informazioni disponibili riguardo una traduzione integrale della Commedia realizzata da Villena su commissione di Santillana, rappresentando così un ulteriore indizio a favore dell’identificazione della traduzione di Villena con quella presente in Md. Ulteriori indizi provengono dalle numerose annotazioni e postille rinvenute nel manoscritto, le quali, sulla base di un’analisi calligrafica, sembrano attribuibili al ductus caratteristico del Marchese di Santillana. A rafforzare questa ipotesi vi è anche la presenza, in alcune carte, di una sigla apposta accanto alle firme del Marchese o alle sue postille, che induce a ritenere si tratti della mano dello stesso.[19]
Come sottolinea Calef,[20] le motivazioni addotte da Schiff sono di natura prevalentemente esterna. Per quanto riguarda invece gli aspetti interni, Schiff ha fondato le proprie teorie soltanto su un confronto con altre opere di Enrique de Villena, riscontrando punti di tangenza nello stile e nelle modalità operative.
Nonostante lo scetticismo di Penna[21] e Morreale[22] nei confronti della tesi attributive di Schiff, lo studio di Pascual[23] sulla traduzione ha introdotto un cambio di vedute fondamentale, facendo sì che a oggi rimanga il lavoro di riferimento sulla traduzione castigliana, nonostante notevoli ricerche successive hanno spinto a rivederne alcuni aspetti e ad ampliarne altri.[24]
Sulla scia di quanto era stato affermato da Arce Fernández,[25] esaminando la traduzione, Pascual ha osservato che questa non dipende dal testo presente nel manoscritto di Madrid (Biblioteca Nacional de España, ms. 10186, d’ora in poi Md), ma presenta lezioni sostanzialmente differenti, suggerendo l’uso di un altro codice, che egli ha identificato come il manoscritto X. Avvalendosi dell’apparato dell’edizione Petrocchi,[26] ha collazionato i primi cinque canti dell’Inferno basandosi su 95 loci, utilizzando le varianti dell’editore per tracciare un profilo del secondo modello, che sembrava avvicinarsi a un affine del manoscritto di Cortona, Biblioteca Comunale e dell’Accademia Etrusca, n. 88. Accettando tali ipotesi, Pascual ha analizzato l’area di influenza di Co, identificando come ulteriore codice degno di nota e possibile affine Po, il cosiddetto codice Poggiali, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palatino 313.
Proseguendo sulla scia del lavoro svolto da Pascual, il quale concorda con Penna sulla necessità di prove più solide per sostenere le motivazioni addotte da Schiff riguardo l’attribuzione della traduzione a Villena, Marcella Ciceri ritorna sull’argomento, confrontando le glosse dell’Eneida nelle quali Villena menziona la Commedia dantesca e la traduzione rinvenuta sul ms. Md, riscontrando aspetti rilevanti che potrebbero confermarne l’attribuzione ipotizzata inizialmente da Schiff. Riesamina, infatti, i primi cinque canti di Inferno e, sulla base delle sue collazioni, ritiene che il possibile secondo modello utilizzato da Villena possa essere un testimone tardo e contaminato affine al manoscritto di Parigi, Bibliothèque Nacionale de Paris, n. 538 e che, inoltre, per lo scioglimento di luoghi oscuri del poema, Villena abbia utilizzato un commento antico.[27]
A questa indagine sono succeduti i lavori di Devilla[28] e Zecchi,[29] dedicati rispettivamente al Purgatorio e al Paradiso. I due studiosi, attraverso un’analisi per loci, hanno effettuato una collazione delle due cantiche, confrontando le divergenze testuali presenti nella traduzione di Villena rispetto al testo di Md. Queste divergenze risultano solo parzialmente coincidenti con una parte della tradizione della Commedia. Per il Purgatorio Devilla ha analizzato i casi in cui Mdtrad si distanzia da Mdtesto presentando lezioni coincidenti con parte della tradizione dantesca, avendo a disposizione l’edizione Petrocchi e anche gli studi di Moore, concludendo che il secondo modello potrebbe essere un manoscritto affine al codice di Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palatino 313.[30] Lo stesso Devilla, infatti, aveva affermato che «è presumibile infatti che l’autore abbia scritto la sua versione attingendo ad almeno due mss. della Divina Commedia (basandosi fondamentalmente su Mad) e che la traduzione sia stata successivamente trascritta nei margini di quello da un copista di professione».[31] Per quanto concerne il Paradiso, Zecchi ha ipotizzato che il secondo modello potrebbe dipendere dal subarchetipo b identificato da Petrocchi, e rappresentato principalmente da Ash e Co.[32]
In un primo momento, Pascual aveva ipotizzato che il testo della traduzione fosse stato dettato e copiato simultaneamente, sostenendo inoltre che il manoscritto di riferimento per la traduzione non fosse Md, bensì un manoscritto X. A sostegno di questa teoria, Pascual indicava alcune sviste ed errori come il risultato di fraintendimenti acustici.[33] Gli studi di Devilla e Zecchi, e successivamente di Calef, hanno dimostrato che parte degli errori indicati da Pascual a supporto della sua ipotesi possono essere attribuiti a somiglianze visive, rafforzando così l’idea di copia e confutando la possibilità di una dettatura. Già prima di Calef, questa interpretazione era stata sostenuta da Devilla, il quale aveva affermato che «le biffature e le incertezze non sono così numerose da indurre ad affermare che la traduzione e la trascrizione siano simultanee […]. Sarebbe strano che, volgendo un testo tanto complesso come quello della Commedia, l’autore possa tradurre e […] dettare direttamente […] con poche correzioni».[34]
La presenza di più mani sul codice esclude l’ipotesi dell’autografia tout court, ipotizzata invece da Brummer e smentita dagli studi di Devilla, Zecchi e Calef,[35] mentre la presenza di errori di trasmissione nelle tre cantiche e, in particolare, nelle sezioni del testo castigliano, indicano che il testo trasmesso dal codice madrileno è una copia. Zecchi, invece, suppone che almeno l’antigrafo sia stato copiato sotto dettatura.[36]
Nell’ambito della ricerca sul secondo modello utilizzato da Enrique de Villena, Paola Calef ha condotto numerosi studi, culminati nella pubblicazione di un volume del 2013, considerato a oggi uno dei lavori più completi sulla storia del codice madrileno e sulla prima traduzione della Commedia in castigliano, in parte approfondito anche da due studi più recenti.[37] Oltre a un’analisi accurata del codice, Calef ha effettuato collazioni integrali circoscritte alla sola prima cantica,[38] nel tentativo di identificare il manoscritto X. Le sue ricerche hanno dato come esito un profilo del secondo modello vicino a quanto era stato già ipotizzato da Pascual e da Ciceri. La stessa dichiara che
si registra, infatti, un ampio numero di coincidenze fra la traduzione e il cortonese o i codici a questo vincolati (Eg Laur Ham Pa Po). In particolare Co Pa Po trasmettono, ora l’uno ora l’altro, un certo numero di lectiones singulares con cui la traduzione coincide […]. Infatti, in questi casi siamo in presenza di varianti che hanno avuto corso e che hanno caratterizzato una parte della tradizione, all’interno della quale poteva collocarsi il ms. X.[39]
Durante la sua ricerca, inoltre, oltre ad aver analizzato i procedimenti retorici di Villena, confutando puntualmente alcune tesi avanzate da Pascual, in particolare riguardo ai falsos italianismos,[40] Paola Calef ha identificato con maggiore precisione categorie più stringenti per la definizione delle tipologie di dittologie sinonimiche [41] e ha, inoltre, esaminato il modus operandi del traduttore, solito procedere inizialmente con un “borrador” preliminare per proseguire successivamente con una stesura definitiva del testo. [42] In itinere, però, persuasa dagli studi di Ciceri e dall’esame diretto del manoscritto, Calef ha ampliato l’indagine sul cosiddetto manoscritto X, includendo anche l’esegesi antica e valutando il possibile ruolo delle glosse marginali del manoscritto Md, sia latine che castigliane, per il testo di Mdtrad.[43] L’ipotesi, infatti, è che Villena avesse avuto accesso a un secondo modello commentato o glossato della Commedia, oppure che disponesse di materiale esegetico di supporto. Ciò farebbe pensare a un lavoro basato su due o persino tre esemplari del poema.[44] Effettivamente, sulla base dei miei studi, sono emersi dei dati interessanti che sostengono e in parte superano gli assunti di Paola Calef, come dimostrerò a breve.
Come già rilevato da Paola Calef,[45] l’ipotesi di Pascual secondo cui il manoscritto di riferimento per Villena sarebbe stato il manoscritto X, mentre Md avrebbe avuto il ruolo di codice di controllo, risulta smentita anche dalle mie indagini. Non è chiaro in che misura Villena si sia avvalso dell’uno o dell’altro codice; ciò che appare certo, tuttavia, è che il testo di Md abbia rappresentato il riferimento principale per il traduttore.
Tuttavia ho anche individuato alcuni casi in cui Mdtrad presenta a testo una lezione corretta rispetto a Md, portatore di innovazioni, e luoghi – seppur molto rari – in cui Mdtrad e Md divergono. Escludendo i casi attribuibili al modus operandi del traduttore, che saranno analizzati in seguito, questa ultima casistica risulta comunque notevolmente esigua. Come asserisce Calef,
Villena avrebbe potuto procedere nel suo lavoro ignorando il significato allegorico, e talora anche letterale, di quanto stava traducendo, ma non avrebbe potuto prescindere dalla comprensione del lessico. È vero che nella sua traduzione si possono reperire diversi casi di termini italiani non compresi e riprodotti nel testo a imitazione del proprio modello, in una sorta di calco che Pascual definisce ‘falso italianismo’[46], ma se egli non avesse compreso buona parte del lessico dantesco, grazie a uno strumento esegetico appropriato, questi ‘falsi italianismi’ sarebbero stati, per forza di cose, assai più numerosi di quanti ne figurino nella traduzione. [47]
Molti dei cosiddetti falsos italianismos sono accompagnati da una chiosa interlineare che dimostra come il traduttore avesse compreso il significato del termine. Numerosi di questi termini, come osserva Marcella Ciceri, risultano particolarmente complessi e sono stati risolti da Villena utilizzando un termine castigliano affine o ricorrendo a perifrasi. Sulla base di queste osservazioni, Ciceri ha ipotizzato che Villena avesse avuto accesso a un supporto esegetico: «che Villena utilizzi un commento mi sembra evidente, e per l’esatta soluzione di luoghi oscuri e per le brevi glosse esplicative apposte alla traduzione».[48]
Dallo studio dei primi cinque canti dell’Inferno, Marcella Ciceri ha rilevato una certa fedeltà e alcune coincidenze testuali tra la traduzione di Villena e il commento di Boccaccio.[49] Tuttavia, le sue ricerche non consentono di affermare con certezza che Villena avesse avuto accesso diretto all’esegesi del certaldese. Piuttosto, le intuizioni testuali del traduttore sembrano soltanto confermare la consultazione di materiale esegetico, come testimoniato non solo dalla traduzione stessa, ma anche dalle glosse interlineari. Queste ultime, infatti, non sarebbero giustificabili se si ritenesse che Villena avesse semplicemente letto le annotazioni marginali del manoscritto per poi formulare le sue postille. Sulla scia di questa ipotesi si sono sviluppati anche gli studi di Paola Calef, che hanno approfondito ulteriormente il rapporto tra le glosse interlineari e il possibile materiale esegetico utilizzato da Villena.
Nello stesso periodo in cui è stata realizzata la traduzione della Commedia, vennero prodotte tre traduzioni di due diversi commenti, una delle quali certamente commissionata dal Marchese di Santillana. Si tratta della traduzione completa del commento di Pietro Alighieri, della traduzione dei primi sette canti dell’Inferno e parzialmente dell’ottavo dal commento di Benvenuto da Imola, e infine della traduzione del Purgatorio del medesimo commento di Benvenuto da Imola, che nell’explicit reca il nome del traduttore, González de Lucena. La datazione di quest’ultima traduzione, come evidenzia Paola Calef, è desumibile dal medesimo explicit, in cui Santillana è indicato non con il titolo di marchese ma con Yñigo Lopez de Mendoza, permettendo così di collocarla in un periodo anteriore al 1445, anno in cui gli venne conferita la carica.
Inoltre, è plausibile, secondo gli studi di Alvar e dell’editore de Nigris, che Juan de Mena, nell’elaborazione della Coronaçión – completata prima del 1438 – si sia avvalso della traduzione del commento di Benvenuto per la sua opera.[50] Se così fosse, sarebbe plausibile ipotizzare che, ai fini della traduzione, nell’ambiente mecenatizio del Marchese di Santillana circolasse una copia in lingua originale del Comentum di Benvenuto da Imola. Marc Schiff, infatti, era convinto che non solo che i tre codici contenenti le traduzioni dei commenti facessero parte della biblioteca del Marchese, ma anche che la traduzione dell’Inferno fosse da attribuire allo stesso González de Lucena, dato che quest’ultimo aveva già curato la traduzione del Purgatorio.[51] A supporto di questa ipotesi, una motivazione più solida proviene da Alvar, [52] il quale osserva che le segnature dei manoscritti appartenenti alla collezione Osuna erano consecutive: Plut. V Lit N. n° 23 (Benvenuto da Imola, Purgatorio, BnM ms. 10196); Plut. V Lit N. n° 24 (Pietro Alighieri, BnM ms. 10207); Plut. V Lit N. n° 25 (Benvenuto da Imola, Inferno, BnM ms. 10208). Inoltre, tutti e tre i codici riportano la firma del Marchese di Santillana, a testimonianza della loro appartenenza alla sua biblioteca.[53]
Se così fosse, come ipotizza Paola Calef, sarebbe necessario ritenere che le traduzioni dei commenti di Benvenuto da Imola siano state realizzate prima del 1438, mentre quella del commento di Pietro Alighieri entro la prima metà del XV secolo, come suggerito da Marc Schiff.[54] Calef, accogliendo questa ipotesi, ha intrapreso uno studio che, basandosi su altri luoghi testuali, l’ha condotta a indagare non solo sul possibile utilizzo del commento di Benvenuto, ma anche sull’impiego di diverso materiale esegetico.[55] La studiosa, infatti, ha cercato di approfondire l’utilizzo del materiale esegetico, procedendo a riscontri testuali limitati alla sola prima cantica (Inf. I-XI), focalizzandosi su quelle che lei stessa ha definito «traduzioni anomale», che comprendono i casi non spiegabili come errori del traduttore o varianti attestate nella Commedia sulla base dell’edizione critica di Petrocchi; «traduzioni di termini particolari» che Villena non avrebbe potuto comprendere esclusivamente sulla base delle proprie conoscenze linguistiche; «chiose interlineari […] non deducibili, o difficilmente deducibili, dal testo di Dante»; e, infine, casi di «amplificatio interpretis».[56]
L’indagine è stata condotta mediante l’utilizzo in CD Rom de I commenti danteschi dei secoli XIV, XV e XVI, a cura di Procaccioli, attraverso una ricerca per lemmi e per loci.[57] Dai risultati ottenuti, è emerso un numero elevato di coincidenze con il testo del commento di Benvenuto da Imola, le quali però non hanno soddisfatto le aspettative della studiosa: in alcuni luoghi,[58] infatti, questa fenomenologia non si verifica. Secondo l’ipotesi di Calef, tali discrepanze potrebbero essere attribuite al ricorso a un secondo modello o a ulteriore materiale esegetico.[59]
Partendo dalle ipotesi formulate da Schiff, Alvar, Ciceri e Calef sui codici presenti nella biblioteca del Marchese di Santillana e sulla possibilità che Villena possa essersi confrontato con del materiale esegetico verosimilmente in lingua originale, ho proceduto, come anticipato, verificando l’effettiva aderenza di Mdtrad (consultabile anche nell’edizione di Cátedra)[60] a Md e ho conseguentemente indirizzato la mia indagine verso la ricerca del secondo modello. Anzitutto, dall’analisi dei risultati ottenuti sulla base di una campagna di collazione su circa 600 loci critici – inclusi i 396 individuati da Barbi – e prendendo in esame quasi l’intero corpus testimoniale della Commedia che rechi almeno 30 canti – dati che ho a disposizione grazie alla collaborazione con il Gruppo di Ferrara per una nuova edizione critica del poema dantesco a cura di Paolo Trovato –[61] è emersa un significativa affinità testuale tra Mdtrad e Mdtesto[62] sia in accordo in lezione buona, sia in innovazione. Ho potuto anche escludere la presenza, all’interno del testimoniale, di un codice che presentasse piena corrispondenza di lezione con Mdtrad. Il ms. Md risulta invece, come ripeto, il codice con cui si verifica la maggiore estensione dell’accordo. Mi concentro quindi sui casi in cui Mdtrad si distanzia da Mdtesto.
Considero valida l’ipotesi secondo cui Villena possa aver consultato il commento di Benvenuto da Imola, e cerco di osservare il modo in cui il traduttore ha sfruttato l’apparato esegetico. Rispetto al testo base, che per le mie ricerche coincide con il testo Petrocchi, molti dei casi in cui Mdtrad si discosta da Mdtesto coincidono con “lezioni buone”.
Di conseguenza, ho deciso di verificare se, nei casi in cui Mdtrad riporta lezioni corrette, queste fossero contenute anche nel commento di Benvenuto da Imola. Presento i risultati nella tavola seguente.
Tav. I. Accordi in lezione buona Mdtrad + Bcomm/testo / Bcomm/lemma rispetto a Mdtesto[63]
Inferno
1.1.70 Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi P] nacqui su Iullio anchor ch’io fosse tardi Mdtesto, nacì en tiempo de Jullio César, aunque que fuese tarde Mdtrad, nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi Bcommento.
1.12.49 Oh cieca cupidigia e ira folle P] oh cieca cupidigia [e] rea e folle Mdtesto, oh çiega cobdigia e ira loca Mdtrad, ira folle che sì ci sproni, idest nos homines ita incitas et impellis ad excidia magna terrarum et exterminia hominum Bcomm/lemma.
1.16.26 drizzava a me sì che ’n contraro il collo P] drizzava a me si chentra loro il collo Md, enderesçava a mí así que contra ellos el cuello Mdtrad, e ciascuno drizzaro il visagio […] sì che il collo, flectens se retro, facea viaggio contrario ai piè Bcomm/lemma.
1.17.6 vicino al fin d’i passeggiati marmi P] vicino al fiume fine d’i passeggiati marmi Mdtesto, vezina a la fin de los marmoles por donde andavamos Mdtrad + Bcomm/testo
Nel commento di Benvenuto da Imola non c’è alcuna menzione di un fiume fino alla spiegazione di v. 7. È possibile che Villena non comprendendo il passo di Md che presenta l’innovazione fiume, abbia fatto affidamento sul commento, omettendo fiume contestualmente errato.
1.17.125 lo scendere e ’l girar per li gran mali P] lo scendere e ’l gridar per gli gran mali Mdtesto, el subir et el bolver por los grandes males Mdtrad, E vidi poi lo scender e ’l girar, idest descensum circularem Bcomm/lemma.
1.19.59 per non intender ciò ch’è lor risposto P] per non intender ciò ch’è lor riposto Mdtesto, per non entender lo quel es es respuesto Mdtrad, per non intender ciò ch'èe lor risposto, quia scilicet responsio videtur omnino aliena ab interrogatione Bcomm/lemma.
1.23.4 Vòlt’era in su la favola d’Isopo P] volt’era [in] su la favola d’Isopo Mdtesto, bolvido era en fablilla de Isopo Mdtrad, Lo mio pensero era volto in su la favola d’Isopo; et hic nota quod autor hic nominatim allegat AEsopum Bcomm/lemma.
1.28.10 per li Troiani e per la lunga guerra P] per li Troiani o per la lunga guerra Md, por los troyanos e por la luenga guerra Mdtrad, per li troiani, scilicet qui venerunt in Italiam cum Enea, qui fuerunt victores cum eo; ideo dicit: in su la fortunata terra di Puglia, quae fuit fortunata victoribus, sicut a simili in capitulo XXXI vocat terram fortunatam in Africa, ubi Scipio habuit victoriam de Hannibale; vel appellat forte terram Apuliae fortunatam, quia in ea facti sunt tot terribiles conflictus bellorum, sicut statim sequitur de aliquibus. – E per. Hic tangit secundum proelium quod factum est in terra Apuliae famosissimum omnium proeliorum romanorum; ad quod plene sciendum, longam historiam brevi narratione perstringam. […] la lunga guerra Bcomm/lemma.
1.32.35 eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia P] eran quivi dolenti ne la ghiaccia Mdtesto, eran las sombras tristes en el yelo Mdtrad, e l’ombre dolenti, scilicet proditorum; nam cum ista sit civitas doloris, et omnes umbrae sint dolentes in ea, istae sunt fundamentum omnium dolorum, eran nella ghiaccia Bcomm/lemma.
1.33.96 Si volge in entro a far crescer l’ambascia P] si volge in entro e fa crescer l’ambascia Md, se buelve adentro a fazer cresçer su pena Mdtrad, si volge in entro a far crescer l’ambascia, idest, angustiam doloris Bcomm/lemma.
1.33.98 E sì come visiere di cristallo P] e sì come viscere di cristallo Mdtesto, asì come viseras de cristal Mdtrad, sotto ’l ciglio sì come visiere di cristallo, quasi dicat, velut si haberent ocularia ex vitro vel crystallo transparentia Bcomm/lemma.
Purgatorio
2.4.32 e d’ogne lato ne stringea lo stremo P] e d’ogne parte ne stringea lo stremo Mdtesto, de cada costado non repretava el estremo Mdtrad, unde dicit: e d’ogni lato ne stringea lo stremo, ita quod a dextra et sinistra tangebat ripam, quia angusta est via virtutis Bcomm/lemma.
2.5.33 che ’l corpo di costui è vera carne P] che ’l corpo di costui è viva carne Mdtesto, que’el cuerpo d’éste es verdadera carne Mdtrad, che ’l corpo di costui, qui sequitur me, è vera carne, idest, non fictitia Bcomm/lemma.
2.6.15 e l’altro ch’annegò correndo in caccia P] e l’altro che negò correndo in caccia Mdtesto, e el otro que afogó corriendo en caça Mdtrad, e l’altro, scilicet, aretinus, che annegò, scilicet, in flumine Arni, correndo in caccia, dum persequeretur hostes, vel illi eum Bcomm/lemma.
2.8.129 del pregio de la borsa e de la spada P] del pregio de la bontà e de la spada Mdtesto, del preçio de la bolsa e del espada Mdtrad, honorata non deornatur et spoliatur del pregio della borsa, idest, liberalitatis, e della spada, idest, probitatis Bcomm/lemma.
2.9.12 là ’ve già tutti e cinque sedavamo P] là ’ve [già] tutti [e] cinque sedevamo Md, e ya allí todos [y] çinco estávamos asentados Mdtrad, là dove tutti [e] cinque sedevamo, scilicet, Virgilius, ipse Dantes, Sordellus, judex Ninus, et marchio Corradus Bcomm/lemma.
2.9.42 come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia P] come fa l’uom che, spaventato, a caccia Mdtesto, como faze el mone qu’espantado s’enfría Mdtrad, e diventai smorto, novitate rei mirabilis a simili, come fa l’uom che spaventato agghiaccia. Bcomm/lemma.
2.19.134 rispuose; «Non errar: conservo sono P] rispuose: «Non errar: che servo sono Mdtesto, - respondió – «non errar, consiervo só Mdtrad, ego, son conservo Bcomm/lemma.
2.20.67 Carlo venne in Italia e, per ammenda P] Carlo venne in Italia e per vicenda Mdtesto, Carlo vino en Italia e por hemienda Mdtrad, Dicit ergo: Carlo, scilicet, vetus primus, victor Manfredi, venne in Italia, vocatus ab Ecclesia, e vittima fe, idest, sacrificium, di Curradino, quia ipsum adolescentulum innocentem, velut agnum, immolavit, per ammenda Bcomm/lemma.
2.21.61 De la mondizia sol voler fa prova P] de la mondizia solver fa prova Mdtesto, de la mundiçia sólo querer faze prueva Mdtrad, il sol voler, idest, sola voluntas Bcomm/lemma.
2.25.75 che vive e sente e sé in sé rigira P] che vive e sente e [sé] in sé rigira Mdtesto, que bive e siente e sí en sí mesma buelve Mdtrad, e sè in sè rigira, quantum ad intellectivam, quia intellectus intelligit se, sicut intelligit alia Bcomm/lemma.
2.25.88 Tosto che loco lì la circunscrive P] tosto che loco la la circunscrive Mdtesto, así aína como el logar allí la çircunscrive Mdtrad, tosto che luogo lì la circonscrive, idest, relegat ipsam animam vel in inferno vel in purgatorio Bcomm/lemma.
2.27.83 lungo il peculio suo queto pernotta P] lungo il peculio [suo] queto per la notta Mdtesto, lexos su ganado e, quedado, trasnocha Mdtrad, pernotta, idest, de nocte vigilat, queto lungo ’l peculio, idest, prope gregem suum Bcomm/lemma.
2.29.14 quando la donna tutta a me si torse P] quando la donna tutta a me si tolse Mdtesto, cuando la dueña toda a mí se bolvió Mdtrad, quando la Donna, Mathildis, tutta a me si torse, dicendo: frate mio guarda et ascolta, quia videbis et audies mirabiliora Bcomm/lemma.
Paradiso
3.1.122 del suo lume fa ’l ciel sempre quieto P] del lume suo fa ’l ciel sempre quieto Md, del su lumbre faze el çielo siempre reposado Mdtrad, del suo lume, quia coelum empyreum totum est lux et amor Bcomm/lemma.
3.4.121 non è l’affezion mia tanto profonda P] non l’affezion mia sì profonda Mdtesto, non es la afiççion mía tanto profunda Mdtrad, non è l’affezion mia tanto profonda, idest, sufficiens et digna Bcomm/lemma.
3.5.128 anima degna, il grado de la spera P] beato spirto, il grado della spera Mdtesto, alma digna al grado del espera Mdtrad, ma non so chi tu se’, anima degna, ista gloria, nè perchè aggi il grado della spera, scilicet, Mercurii Bcomm/lemma.
3.7.19 Secondo mio infallibile avviso P] secondo mio ineffabile avviso Mdtesto, segúnt mi infalibile cuidar Mdtrad, secondo mio infallibile avviso, idest, secundum judicium meum quod falli non potest Bcomm/lemma.
3.10.112 entro v’è l’alta mente u’ sì profondo P] entro v’è null’altra mente un sì profondo Mdtesto, dentro ed alto entendimento e ansí profundo Mdtrad, u’ sì profondo savere, idest, tam profunda sapientia, fu messa nell’alta mente, idest, excellente illius Salomonis Bcomm/lemma.
3.23.68 quel che fendendo va l’ardita prora P] quel che deffendendo va l’ardita prora Mdtesto, aquel que fendiendo va la osada proa Mdtrad, Non è pareggio da picciola barca, quasi dicat, immo magna, quel che l’ardita prora, quae est prior pars navis, va fendendo, vel secando, idest, dividendo Bcomm/lemma.
3.27.57 o difesa di Dio, perché pur giaci? P] o difesa di Dio, perché pur taci Mdtesto, o, dehesa de Dios, ¿por qué sólo yazes? Mdtrad, o difesa di Dio perchè pur giaci Bcomm/lemma.
3.33.128 pareva in te come lume reflesso P] pareva in tre come lume reflesso Mdtesto, paresçia en ti como lumbre reflexo Mdtrad, che pareva si concetta in te, sicut scriptum est paullo supra, come lume reflesso, quia una circulatio jaciebat radios in aliam Bcomm/lemma.
Come è possibile osservare, tutti i casi individuati – che sono passaggi del dettato dantesco potenzialmente oscuri – evidenziano che Villena non solo si è confrontato con il testo del commento di Benvenuto da Imola, ma ha anche deciso di affidarsi alle lezioni del commentatore, ritenendole più autorevoli. Raccolgo ora le innovazioni di Mdtrad che non trovano riscontro in Mdtesto o in Benvenuto. Soltanto in un caso, tra tutti quelli analizzati, Mdtrad presenta una lezione corretta a testo rispetto a quanto riportato da Mdtesto e dall’esegesi. I restanti tre casi, invece, come mostrerò, sono per lo più varianti sinonimiche o poligenetiche non sufficientemente rilevanti per potere giustificare la presenza di un ulteriore codice a disposizione del Villena.[64]
Tav. II. Innovazioni di Mdtrad che non trovano riscontro in Mdtesto e/o Bcomm/testo / Bcomm/lemma rispetto a Mdtesto
Inferno
*1.26.15 rimontò ’l duca mio e trasse mee P] rimontò il mio maestro e trasse mee Mdtesto, e subió el duque mio e tiró a mí Mdtrad, e il mio maestro, scilicet Virgilius qui duxerat me deorsum ad fundum, rimontò e trasse mee, scilicet post se Bcomm/lemma.
Sembrerebbe trattarsi di un’innovazione di Villena. In realtà, il traduttore, conoscitore della Commedia e soprattutto del suo lessico, quando si è imbattuto in il mio maestro in Mdtesto, era sicuramente conscio del fatto che nei canti precedenti a questo, Dante si era riferito a Virgilio proprio con l’appellativo di duca mio (es. Inf. VI). Si tratta, pertanto, di due espressioni quasi sinonimiche, diffuse ampiamente in tutta la tradizione della Commedia e facilmente interscambiabili. Di conseguenza, non può ritenersi un luogo probante l’utilizzo di un ulteriore modello rispetto a Benvenuto, ma piuttosto una variante poligenetica, che Villena può avere messo a testo per errore di ripetizione dai canti precedenti, in cui spesso Virgilio è appellato «duca».
Purgatorio
*2.2.110 l’anima mia, che, con la sua persona P] l’anima mia, che, con la mia persona Mdtesto, el alma mia, que, con la su persona Mdtrad, di consolarmi alquanto l’anima mia, quae vere indiget consolatione; unde dicit: che venendo qui, idest, quae anima mea veniens ad istum purgatorium, con la mia persona Bcomm/lemma.
Il dettato dantesco appare ambiguo in questo luogo nell’alternanza tra l’aggettivo possessivo di prima e di terza persona singolare. L’innovazione di Mdtesto e di Bcomm/lemma può essersi generata per l’influenza del precedente mia nello stesso verso, determinato anche dal fatto che Dante si sta riferendo a sé stesso. Di contro, Villena può avere deciso di adottare «sua» in luogo di «mia» perché considera «persona» in riferimento ad «anima» e non a Dante che sta parlando.
2.19.35 voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni P] voci come se dicesse «Surgi e vieni Mdtesto, bozes cometió; dezia «Levantate e ven Mdtrad, voce, scilicet Virgilii, venit ad me, come dicesse: surgi, quia satis dormisti, et phantasiasti, e vieni, troviam la porta, novi circuli, per la qual tu entre Bcomm/lemma.
Questo è l’unico caso in cui Villena non sembra seguire né Md, né Benvenuto da Imola. Sebbene Villena mantenga sempre le strutture dialogiche imposte dal poeta, sembra plausibile che in questo caso abbia avuto a disposizione un altro modello con cui confrontarsi.
Paradiso
*3.28.50 veder le volte tanto più divine P] veder le rote tanto più divine Mdtesto, ver las bueltas tanto más divinas Mdtrad, ma nel mondo sensibile si puote vedere le ruote, scilicet, e contra, idest, circulos vel orbes, tanto più divine Bcomm/lemma.
Il verbo volver indica l’atto del girare e volgere, che potrebbe spiegare e giustificare la scelta di «bueltas» da parte di Villena, in quanto come si evince anche dal commento le volte dantesche stanno ad indicare le sfere celesti che si volgono intorno alla terra tanto più infiammate dell’amore divino e tanto più veloci.
Il caso di Purg., XIX 35, apparentemente non giustificabile come un’operazione ope ingenii, porterebbe a formulare un’ipotesi di lavoro di questo tipo: sicuramente Villena lavorava per la traduzione confrontando il testo di Md con quanto riportato nel Comentum di Benvenuto, ma doveva aveva a disposizione un altro modello che non coincide, però, stando alle mie collazioni (di cui non fornisco i dati per non appesantire la trattazione) con nessuno dei codici della Commedia presenti nella biblioteca di Santillana, e che magari sarà stato utilizzato solo come copia di controllo durante la traduzione, quando Mdtesto e Benvenuto presentavano lezioni a testo differenti.
Le collazioni, però, non hanno permesso di identificare un manoscritto la cui facies possa avvicinarsi a quella presumibilmente assunta dal secondo modello. Persino i luoghi in cui Mdtrad e Mdtesto discordano (pochi rispetto a quelli in concordanza), presentando innovazioni differenti, non permettono di tracciare un profilo preciso del manoscritto, la cui natura testuale potrebbe dunque solo essere stata falcidiata dal . Alcune di queste lezioni sono di carattere poligenetico, talvolta condivise da uno o più codici, che potrebbero essersi generate indipendentemente l’una dall’altra. In altri casi, invece, si tratta di innovazioni singulares presenti esclusivamente nella traduzione, che non trovano riscontro in alcuna variante sostanziale emersa dalle collazioni sull’intero testimoniale integro. A mio avviso, tali innovazioni potrebbero rappresentare errori derivanti dalla mancata comprensione del lessico dantesco, spesso permeato di artefici retorici e allegorici che sottendono la lettera, e che non si chiarificano neppure col supporto esegetico a disposizione.
Le innovazioni significative che Mdtrad condivide con parte del testimoniale sembrerebbero delineare un manoscritto con una facies testuale affine alla famiglia tosco-fiorentina a, e in particolare alle sottofamiglie del cento, laur& e vatbocc. Come spesso accade, allargando l’orizzonte d’indagine fino a comprendere l’intero testimoniale, le affinità puntuali riscontrate dagli studiosi tendono a disperdersi e mutare consistenza finendo nel mare magnum di una tradizione così incredibilmente complessa. Le varianti che inizialmente apparivano significative – poiché, sulla base dell’apparato di Petrocchi, erano condivise da un singolo manoscritto – si rivelano, in questa prospettiva, diffuse e presenti in molti altri mss. e gruppi, rendendo impossibile, allo stato attuale delle conoscenze, identificare un manoscritto specificamente affine, ma piuttosto generiche aree di afferenza.
Come sottolineato da Arce Fernández, da Pascual e successivamente da Calef, la costante ricerca della letteralità da parte di Villena ha indotto il traduttore a uno studio che nella facies codicologica di Md mostra anche le incertezze nel doversi confrontare con un’opera così complessa: rimaneggiamenti, depennamenti, spazi bianchi che evidentemente sarebbero dovuti essere stati riempiti successivamente, forse sulla base di ulteriori studi e ricerche.[65] La traduzione verba pro verba tesa a una maggiore fedeltà alla lettera ha indotto Villena alla costante ricerca di una relazione biunivoca tra testo tradotto e testo traducente, cercando di mantenere nell’andamento prosastico, ad esempio, l’ordine delle parole del poeta e il metro dell’endecasillabo quando i versi del poema non mostravano ellissi o omissioni del soggetto o di elementi testuali che avrebbero potuto rendere ambiguità nella comprensione del testo dantesco.
Nei casi in cui, invece, un tale modo di operare avrebbe potuto generare equivocità, Villena interviene aggiungendo elementi testuali[66] che, dai dati emersi dalla collazione che ho condotto su Mdtrad, non sembrano essere riconducibili a un secondo modello. Si tratterebbe, infatti, del suo modus operandi che, nel tradurre in lingua vernacolare, si prefigge di raggiungere la maggiore chiarezza possibile al fine di evitare di tradire la volontà dell’autore. Tra gli espedienti ritroviamo l’aggiunta di elementi grammaticali e di connettivi al fine di evitare giustapposizioni; l’integrazione del soggetto; la tendenza ad eliminare infiniti sostantivati; l’introduzione di pronomi dimostrativi volti a dare un riferimento al lettore omesso nel poema; l’inversio ordo verborum; l’uso di perifrasi nel caso in cui Villena non riscontri un vocabolo castigliano che possa rendere unicamente il corrispettivo termine dantesco; la costruzione del superlativo assoluto o relativo con “muy + aggettivo”; la caduta di prefissi; e, infine, numerosi casi di ‘errori’ che prevedono un cambiamento nel numero: il traduttore riporta infatti concetti, pronomi, oggetti ecc. espressi da Dante al plurale o al singolare nel numero opposto.
In particolare, quest’ultimo fenomeno non sembrerebbe riconducibile al prelievo da un secondo modello – a differenza di quanto ipotizzato in un primo momento da Calef – dal momento che nella maggior parte dei casi nessun codice specifico condivide queste varianti e, qualora invece si verifichi l’accordo, avviene con mss. isolati e con sospetto di poligenesi. Anche al netto di un altissimo tasso di decimazione delle copie, che certamente andrà tenuto presente, pare statisticamente poco probabile che, nei tanti casi indagati, non si verifichino ricorrenze. Piuttosto, dall’analisi dei singoli luoghi, sembra che Villena abbia l’intenzione tramite questo procedimento di concretizzare concetti astratti (così come in seconda battuta ha ipotizzato la stessa Calef) e per dare maggiore consistenza alle situazioni narrate, evitando la vaghezza tipica della poesia.[67] Riporto altri casi di questo fenomeno che sono emersi dalle mie collazioni, nelle prime due cantiche.
Tav. III. Innovazioni di Mdtrad che riguardano il passaggio da plurale a singolare e viceversa rispetto a Mdtesto
Inferno
1.3.7 dinanzi a me non furon cose create P Mdtesto] cosa criada Mdtrad
1.3.26 parole di dolore, accenti d’ira P Mdtesto] llenos de ira Mdtrad
1.4.73 o tu ch’onori (chi onori Md) scienza e arte P Mdtesto] sciençias y artes Mdtrad
1.7.108 al pie de le maligne piagge grigie P Mdtesto] plagua grigia Mdtrad
1.8.101 e se ’l passar più oltre ci è negato P Mdtesto] me es negado Mdtrad
1.17.50 or col ceffo or col piè quando son morsi P Mdtesto] agora con los pies Mdtrad
1.22.6 fedir torneamenti e correr giostra P Mdtesto] torneamento Mdtrad
1.22.101 sì ch’è non teman (tema Mdtesto) de le lor vendette P Mdtesto] sua vendetta Mdtrad + Ash
1.22.123 saltò e dal proposto (preposto Mdtesto) lor si sciolse P Mdtesto] suyo Mdtrad
1.30.47 sopra cui io avea l’occhio tenuto P Mdtesto] los ojos Mdtrad
Purgatorio
2.2.26 mentre che i primi bianchi apparver l’ali P Mdtesto] el prime blanco aparesçió Mdtrad
2.2.81 e tante mi tornai (tornar Mdtesto) con esse al petto P Mdtesto] me tornaron Mdtrad
2.2.103 a quella foce à elli or dritta l’ala P Mdtesto] las alas Mdtrad
2.11.36 possano uscire a le stellate ruote (le celeste rote Mdtesto) P Mdtesto] la estrellada rueda Mdtrad
2.14.67 com’a l’annunzio di dogliosi danni P Mdtesto] engañoso dano Mdtrad
2.27.81 poggiato s’è e lor di posa serve P Mdtesto] e a el Mdtrad
I luoghi presentati non ambiscono a fornire una panoramica esaustiva del fenomeno, per la quale si richiederebbe una collazione integrale di tutte le cantiche, ma è possibile immaginare che questo, così come gli altri fenomeni elencati in precedenza, siano più capillarmente presenti in Mdtrad per via della scelta di tradurre in prosa la poesia. Infatti sarà soltanto con Febrer, nel 1429 e con Villegas (per la sola cantica dell’Inferno) nel 1515, che si avranno traduzioni in versi, che tentano di replicare l’andamento dell’endecasillabo dantesco e la struttura della terzina incatenata.
In conclusione, i processi traduttivi di Villena, a partire dal ricorso all’esegesi per finire con le strategie retoriche, evidenziano il profilo di un autore che ha esercitato una profonda influenza sul panorama culturale spagnolo del Quattrocento. Egli si distingue per una spiccata attenzione e cura verso il testo, mostrando un atteggiamento filologico ante litteram che, ancora oggi, consente di ricostruire la diffusione, la circolazione e la conoscenza di Dante e della Commedia tra il XIV e il XV secolo nell’area iberica.
Hans Robert Jauss ha affermato che l’opera letteraria è grande in quanto «è legata alla sempre nuova risonanza della lettura, che libera il testo dalla materialità delle parole e attualizza la sua esistenza».[68] Dante, come uomo e poeta, rappresenta un esempio paradigmatico di questa affermazione. Dante è un peregrino, così come lo è stata la sua opera, in sensu lato: essa ha circolato entro i confini italiani, da nord a sud, passando per le botteghe dei copisti, i circoli degli intellettuali, i mercanti e il volgo, che, pur non conoscendo direttamente il poeta, ne ripeteva a memoria i versi.
Già tra le mani di Petrarca e di Boccaccio, l’opera dantesca faceva avvertire il peso della tradizione che avrebbe lasciato. Attraverso le vie e le tratte del Mediterraneo, essa si è diffusa, raggiungendo le coste europee. Nessuno è rimasto indifferente alla poesia del fiorentino, al punto che non esiste letteratura europea (e non solo) che non sia stata profondamente influenzata dal suo genio.
Non si tratta, tuttavia, di un’«angoscia dell’influenza» in senso strettamente letterale, secondo l’indebitamento nei confronti dei propri padri delineato da Harold Bloom, quanto piuttosto di una forza dell’influenza poetica che, travisandosi e trasformandosi da un poeta all’altro, apre nuovi spazi dell’immaginario poetico. Questo processo emulativo e imitativo si manifesta in modo emblematico non solo nelle opere di Villena, ma anche nel tentativo di confrontarsi direttamente, quasi corpo a corpo, con il testo di uno dei più grandi capolavori letterari di tutti i tempi nel tentativo di restituirne una traduzione castigliana che non tradisse il dettato e le volontà del poeta.
18 marzo 2025
[1] Julio César Santoyo, El siglo XIV: Traducciones y reflexiones sobre la traducción, pp. 31-32, in La traducción en España (ss. XIV-XVI), León, Universidad de León, 1995, pp. 17-33.
[2] Cfr. Peter Russell, Traducciones y traductores en la Península Ibérica (1400-1550), Escuela Universitaria de Traductores e Intérpretes, Universidad Autónoma de Barcelona, Bellaterra, 1985, pp. 9 e sgg.
[3] Gianfranco Folena, Volgarizzare e tradurre, Firenze, Franco Cesati, 20212, p. 19.
[4] Ivi, p. 22.
[5] Ivi, p. 23.
[6] Cfr. Ivi, pp. 22-25.
[7] Ángel Valbuena Prat, Historia de la literatura española, Barcelona, Gil S. A., 1937, p. 230.
[8] Ibidem.
[9] Ángel Valbuena Prat, cit., p. 231.
[10] Rathfon Chandler Post, The beginnings of the influence of Dante in Castilian and Catalan Literature, p. 25, «Annual reports of Dante Society», xxxvi, 1907, pp. 1-59.
[11] Per le schede paleografiche e per la storia del manoscritto si rimanda a Mario V. Schiff, La bibliothèque du Marquis de Santillana, Paris, Bouillon, 1902, pp. 275-303; Mario V. Schiff, La première traduction espagnole de la Divine Comédie, in Homenaje a Menéndez Pelayo, vol. 1, Madrid, Librería General de Victoriano Suárez, 1899, pp. 272-273; Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, vol.1, a cura di Giorgio Petrocchi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1966-1967, pp. 75-76; Fabio Romanini, Manoscritti e postillati dell’«antica vulgata», in Nuove prospettive sulla tradizione della “Commedia”. Una guida filologico-linguistica al poema dantesco, Firenze, Cesati, 2007, p. 55; Giuseppe Vandelli, Note sul testo critico della Commedia, «Studi danteschi», VI, 1921, pp. 39-84; Marcella Roddewig, Dante Alighieri: Die göttliche Komödie : Vergleichende Bestandsaufnahme der Commedia-Handschriften, Hiersemann, Stuttgart, 1984, pp. 175-176, n. 424; Dante Alighieri, Commedia, a cura di Giorgio Inglese, Firenze, Le Lettere, p. xc; Marisa Boschi Rotiroti, Codicologia trecentesca della Commedia. Entro e oltre l’antica vulgata, Firenze, Viella, 2004, p. 132; Rudolf Brummer, Bemerkungen zu einer Madrider Handschrift von Dantes divina Commedia mit der spanischen Marginalübersetzung des Don Enrique de Villena, in Studien zu Dante, Hugo schuchardtschen Malwinenstiftung, Graz, 1971, pp. 15-22; José A. Pascual, La traducción de la D.C., atribuida a D. Enrique de Aragón. Estudio y edición del Infierno, Salamanca, Universidad de Salamanca,1974; José A. Pascual, Rámon Santiago Lacuesta, La primera traducción castellana de la Divina Commedia: argumentos para la identificación de su autor, in Serta Philologica F. Lázaro Carretter, vol. 2, Madrid, Cátedra, 1983, pp. 391-402; Paola Calef, Il primo Dante in castigliano. Il codice madrileno della «Commedia» con la traduzione attribuita a Enrique de Villena, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2013; Martina Cita, Federico Marchetti, Elena Niccolai, Elisabetta Tonello, Paolo Trovato, Per una nuova edizione della Commedia. Ricerche sui piani alti della tradizione, «Filologia italiana», 2020, pp. 9-116.
[12] Riguardo alla biblioteca del Marchese di Santillana, si rinvia a Mario V. Schiff, La bibliothèque du Marquis de Santillana, Paris, Bouillon, 1902; Romolo Runcini, La biblioteca del Marchese di Santillana, «Letterature moderne», V, 1958, pp. 626-636; riguardo alla biblioteca di Enrique de Villena, si rimanda a Emilio Cotarelo y Mori, Don Enrique de Villena: su vida y obras, Madrid, Sucesores de Rivadeneyra, 1896. È bene sottolineare che la biblioteca personale di Villena è stata smembrata: una parte è stata data alle fiamme dopo la sua morte nel 1434 su ordine del sovrano Juan II di Castiglia, timoroso che alcune delle opere da lui possedute potessero essere un pericolo per la dottrina cattolica dal momento che era stato accusato di pratiche oscure, a tal punto da avere la fama di «mago e alchimista»; una parte è rimasta nella mani dello stesso sovrano; infine, una parte è confluita in quella del Marchese di Santillana. (Pedro M. Cátedra, in Enrique de Villena, Obras completas de Enrique de Villena, II. Traducción y glosas de la «Eneida», libros I-III, a cura di Pedro M. Cátedra, Madrid, Turner, 1994, p. XXI.)
[13] Per ciò che riguarda la traduzione dell’Eneide di Enrique de Villena si rimanda a Emilio Cotarelo y Mori, cit., Marcella Ciceri, Enrique de Villena traduttore dell’“Eneide” e Della “Commedia”, Milano, La goliardica, 1982; Ead., Per Villena, in Marginalia Hispanica, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 41-83; Enrique de Villena, Obras completas, cit.; Id., Obras completas de Enrique de Villena, III. Traducción de la «Eneida», libros IV- XII. Traducción de la «Divina comedia», a cura di Pedro M. Cátedra, Madrid, Biblioteca Castro / Fundación José Antonio de Castro, 2000; Pedro M. Cátedra, Sobre la vida y la obra de Enrique de Villena, Bellaterra (Barcelona), Universidad Autónoma de Barcelona, 1981; Id., El sentido involucrado y la poesía del siglo XV. Lecturas virgilianas de Santillana, con Villena, in Nunca fue pena mayor. Estudios de Literatura Española en homenaje a Brian Dutton, Cuenca, Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 1996.
[14] Si veda Santiago Lacuesta, La primera versión castellana de “La Eneida” de Virgilio: los libros I-III traducidos y comentados per Enrique de Villena (1384-1434), Madrid, Real Academia Española, 1979.
[15] Ivi, p. 15.
[16] Enrique de Villena, Obras completas, vol. 2, p. 7.
[17] Ivi, p. XXVIII.
[18] Ivi, p. XIX.
[19] Mario Schiff, La bibliothèque du Marquis, pp. 275-303.
[20] Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, pp. 90-91.
[21] Si veda Mario Penna, Traducciones castellanas antiguas de la divina Commedia, «Revista de la Universidad de Madrid», XIV, 1965, pp. 81-127.
[22] Si veda Margherita Morreale, Apuntes para la historia de la traducción en la Edad Media, in «Revista de Literatura», XXIX/XXX, 1959, pp. 3-10.
[23] Si veda José A. Pascual, La traducción de la D.C.
[24] Si fa riferimento a Pedro M. Cátedra, in Enrique de Villena, Obras completas, vol. 3, pp. IX-XX; Paola Calef, Il primo Dante in castigliano; Ead., A proposito della ricezione di Dante nel Quattrocento spagnolo, in Dante oltre i confini. La ricezione dell’opera dantesca nelle letterature altre, a cura di Silvia Monti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 61–75; Ead., El ‘trabajo solazoso’ de Enrique de Villena o la ‘trasladación’ de la Comedia de Dante, «Ínsula», 895/896, 2021, pp. 12–14. Non mi soffermerò in queste pagine su quanto è stato rilevato da Pascual se non per collegarmi ai punti fondamentali necessari che mi permetteranno di esporre il nucleo del mio lavoro.
[25] Si veda. Joaquín Fernández Arce, La lengua de Dante en la Divina Comedia y en sus traductores españoles, «Revista de la Universidad de Madrid», LIII, 1965, pp. 9-48.
[26] Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, Milano, Arnoldo Mondadori, 1966-1967.
[27] Marcella Ciceri, cit., pp. 133-134.
[28] Elvira Devilla, La traduzione della divina Commedia attribuita a Enrique de Aragón. Edizione del Purgatorio, [tesi inedita dell’Università degli studi di Firenze, a. a. 1984/1985]. pp. 57-105.
[29] Barbara Zecchi, La traducción de la divina Commedia atribuida a Don Enrique de Villena. Estudio y edicción del Paraíso [tesi inedita dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, a. a.1985/86], pp. 32-40.
[30] Elvira Devilla, cit., pp. 22-100.
[31] Ivi, p. 120
[32] Barbara Zecchi, cit., pp. 27-42.
[33] José A. Pascual, Rámon Santiago Lacuesta, cit., pp. 43-50 e 51-57.
[34] Elvira Devilla, cit., pp. 115-116.
[35] Si veda Rudolf Brummer, cit., pp. 15-22.
[36] Barbara Zecchi cit., pp. 66-76.
[37] Si fa riferimento Paola Calef, Il primo Dante in castigliano; Ead., A proposito della ricezione di Dante nel Quattrocento spagnolo, pp. 61–75; Ead., El ‘trabajo solazoso’ de Enrique de Villena, pp. 12–14.
[38] Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, pp. 206-256.
[39] Ivi, p. 257.
[40] José A. Pascual, La traducción de la D.C., pp. 87-98.
[41] Si rimanda a Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, sottoparagrafi III.I.5 e III.I.6
[42] Enrique de Villena, Obras completas, vol. 2, pp. 30 e 58.
[43] Si rimanda a Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, sottoparagrafi III.2.2, III.2.3, III.2.4.
[44] Si rimanda a Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, paragrafo III.2.
[45]Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, p. 136.
[46] Si veda José A. Pascual, La traducción de la D.C., pp. 87-98.
[47] Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, p. 155
[48] Marcella Ciceri, cit., p. 134.
[49] Ivi, pp. 134-137.
[50]Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, p.164 e p. 164 nota 126.
[51] Mario V. Schiff, La bibliothèque du Marquis, p. 305.
[52] Carlos Alvar, Notas para el estudio de las traducciones italianas en Castilla durante el siglo XV, «Anuario Medieval», II, 1990, p. 35.
[53] Mario V. Schiff, La bibliothèque du Marquis, pp. 397-401.
[54] Ivi, pp. 303-304.
[55] Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, pp. 167-197.
[56] Ivi, p. 170. Il corsivo è dell’autrice.
[57] Ivi, p. 169.
[58] Si rimanda a ivi, p. 196.
[59] Ibidem. La studiosa si è ripromessa di estendere lo studio volendo confrontare la traduzione dei primi sette canti e di parte dell’ottavo di Inferno del commento di Benvenuto da Imola contenuto nel codice madrileno ms. 10208 e la traduzione rinvenuta su Md.
[60] Enrique de Villena, Obras completas, vol. 3.
[61] A oggi è disponibile la prima cantica, Commedia. Inferno. Edizione critica e commento, a cura di Luisa Ferretti-Cuomo, Elisabetta Tonello, Paolo Trovato, Padova, Libreriauniversitaria.it, 2022.
[62] Impiego la sigla Mdtesto, certo ridondante, per disambiguare con più facilità rispetto a Mdtrad.
[63] Per il testo del commento di Benvenuto da Imola si è fatto riferimento a Benvenuto da Imola, Benvenuti de Rambaldi de Imola comentum super Dantis Aldigherij Comoediam nunc primum integre in lucem editum, a cura di Giacomo Filippo Lacaita e George Vernon, Firenze, Barbera, 1887; per il lessico castigliano medievale ho consultato Martín Alonso, Diccionario medieval espanol: desde las Glosas emilianenses y silenses (s. X.) hasta el siglo XV, Salamanca, Universidad pontificia de Salamanca, 1986 (2 tomi, A-CH e CH-Z).
[64] Questi saranno segnalati da *.
[65] Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, pp. 127-141.
[66] Si rimanda a Paola Calef, Il primo Dante in castigliano, pp. 259-264.
[67] Ivi, p. 263. Calef riporta soltanto quattro esempi tratti tutti da Inferno. L’Inferno è stata sicuramente la cantica della sperimentazione per Villena, nella quale egli ha compiuto i primi tentativi di resa della traduzione, affinando progressivamente metodologie e scelte stilistiche, che nelle due cantiche successive avrebbe potuto decidere di estendere o rivedere. Dai lavori di Zecchi, che ha analizzato in modo dettagliato l’intera terza cantica, infatti, emerge un aumento esponenziale di questo procedimento nel Paradiso. [67] Se l’intento, dunque, è quello di concretizzare concetti astratti, quale cantica meglio della terza può prestarsi a un uso massiccio di tale procedimento retorico? La natura eterea e immateriale del Paradiso, infatti, costituisce una sfida interpretativa e traduttiva di notevole complessità.
[68] Hans R. Jauss, Perché la storia della letteratura?, a cura di Alberto Varvaro, Napoli, Guida, 1969, p. 38.