Il peso dell’aria

di Matteo Camerini

Pubblicato il 13 giugno 2023 | 17giugno

«da questo esercizio perverso e da questo teatro, il pensiero attende l’uscita: la brusca differenza del caleidoscopio, i segni che si illuminano per un istante, la faccia dei dadi gettati, la sorte di un altro gioco. Pensare non consola né rende felici. Pensare si trascina languidamente come una perversione; pensare si ripete con applicazione su un teatro; pensare si getta di colpo fuori dal bussolotto dei dadi. E quando il caso, il teatro e la perversione entrano in risonanza, allora il pensiero è un «trance», e vale la pena di pensare».

 

(Foucault, Introduzione a Deleuze, Differenza e ripetizione)

 

Immaginiamo una freccia librarsi nell’aria. Non sappiamo chi sia stato a scagliarla, né quale sarà il bersaglio dove essa andrà a posare l’esito del suo folle volo. Sappiamo solo che la freccia doveva essere scagliata e che ora fende l’aria imparando ad ogni istante un nuovo modo di resistere alla gravità. Col suo corpo longilineo sembra indicare qualche cosa di importante: una direzione, un obiettivo, un punto. E invece nulla sa la freccia di bersagli. Per nulla si preoccupa della caduta. Una freccia che si scaglia pensa solo ad imparare, da tutti i bivi che rifiuta, la consistenza esile dell’aria. 

Capita molto spesso, nel cominciare un progetto (così come un corso di studi, una lezione, un’opera d’arte), di pensare a quale dovrà essere l’obiettivo, il risultato, la reazione del pubblico, il target. Si immagina un arciere che tenda il proprio arco verso un bersaglio a cento piedi dai suoi piedi, che miri verso un centro e scocchi, per poi colpire. Da un lato, un palco-cattedra; dall’altro, i cerchi concentrici di un uditorio. Come reagiranno? Cosa si aspettano? Riuscirà a colpirli al centro esatto? Possibile che nessuno si preoccupi di quella freccia e del suo volo necessario? Possibile che non si immagini quell’altro lancio, in cui la freccia vola perché non può non farlo, e in cui è il bersaglio a porsi al centro esatto della corsa? 

Se il filosofo Baruch Spinoza ha difeso questa idea con il suo ordine geometrico, Eugenio Barba, Julia Varley e l’Odin Teatret hanno mostrato, in altre forme, la stessa possibilità. Una volta bruciata la casa o l’arco, la freccia, l’opera e l’intenzione sono consegnata all’aria, al dover andare. In questo orizzonte di senso, tanto l’imparare, quanto l’insegnare assumono un significato differente. Rovesciando l’idea dell’intenzione, l’apprendimento ed il bersaglio arrivano solo a conti fatti, quando il processo di scambio tra corpi è già avvenuto. A teatro, come nelle aule di un’università, ci sono corpi che si incontrano e che imparano, prima e dopo le parole.

Il 17 giugno 2023, a Ferrara, presso il Teatro Comunale e il Teatro Cortazar, avrà luogo il secondo appuntamento del progetto “Verso una nuova didattica nelle scienze umane: per un contributo pratico-teorico delle arti teatrali”. Nell’avvicinarci a questo giorno, nel quale si susseguiranno momenti di confronto, una masterclass, un training e lo spettacolo finale “La Casa del Sordo” (Odin Teatret), alcune domande da portare con sé potrebbero essere: come impara un corpo? Come si scaglia una freccia? Che peso ha l’aria?