Herem e Spinoza

Con Manuela Filomena Ottaviani, Julia Varley, Eugenio Barba di Paola Favia

Pubblicato il 09 ottobre 2023 | 8-9ottobre

Rientro nei luoghi della memoria. Via Zamboni 38. Volti di studenti in attesa di lezioni. Frettolosi, pensierosi, forse tristi, o forse solo preoccupati. Non so cosa aspettarmi da questa giornata. Rispolvero notizie su Spinoza, ormai un nome legato ai banchi scolastici. Su di lui incombe una maledizione. Maledetto, estromesso da una comunità di suoi stessi fratelli che affidano anche al loro Dio il compito di rendergli penose le notti e i giorni, non più un giorno sereno per questo studioso il cui peccato era quello di leggere e studiare. Formulare pensieri. Ma questi non sono mai piaciuti a chi ci governa. Rileggo le terribili parole con cui, senza nessun ripensamento, ci si rivolge a quello che fu nostro simile che si interrogava sul senso del nostro calpestare questa terra. Ripenso all’ ana al haqq di Al-Allaj, Io sono la verità, io sono Dio, che lo portò al martirio. Ma si sa che da sempre i do$ori della chiesa, qualunque essa sia, non vogliono che si parli d’amore. Tenersi lontano dai troppo appassionati, atei o bigotti, saranno gli artefici di guerre inutili.

Entro nell’aula. C’è Filomena con alcuni suoi studenti seduti di fronte a lei. La saluto a voce alta sapendo che il giorno prima ha specificato che vuole essere chiamata con due nomi. Il secondo l’ho dimenticato. Filomena è un nome troppo bello per essere associato a qualcos’altro. L’usignolo, o colei che ama il canto. Impossibile non pensare a questo. E il canto in questa giornata mi condurrà.

Una giornata che mi attirava perché vi era la storia di una maledizione, la filosofia e il teatro.

Il giorno prima Julia mi aveva presentato Filomena. Volevo conoscere il perché di questa giornata. Chiedo a Filomena di cosa si tratta. “Non so nemmeno io” mi risponde. Attratta sempre da coloro che mi lasciano al buio. Amo saltare nell’oscurità che insegna. Sappiamo esattamente cosa può nascere da un incontro? Per esperienza ho imparato che se vogliamo possiamo sempre trovare qualcosa che ci lascerà stupiti. Qualcuno chiama questi incontri coincidenze magiche. Sorrido mentre salgo le scale e cerco l’aula. Julia e l’Odin mi hanno sempre riservato piacevoli sorprese. Credo di aver capito, senza soffermarmi, che in questa mattinata vi sia anche lo zampino di Ivan Tanteri. Non so come. Non mi dilungo troppo su particolari ininfluenti. Non conosco bene quest’uomo ma sembra che la freschezza del bambino si sia depositata in qualche anfra$o della sua testa e del suo corpo. Quando lo incontro mi fa sorridere. Come quando si incontrano i bambini che amano giocare. A me piacciono i bambini.

L’aula è la solita aula universitaria come se ne vedono da molte parH. Mi chiedo perché le abbiano progettate così austere. Libreria, tavoli lunghi per un sapere che dovrebbe invece essere gioioso. Uno spazio libero tra tre lunghi tavoli disposti a U. Immagino Filomena preparare l’aula prima del nostro arrivo. Il luogo mi fa pensare allo studio di un prete che gentilmente concedeva a me Annapia e Marinella di andare a provare quello che sarebbe stato il nostro ultimo spettacolo insieme. Non è il contenitore ad insegnarci la bellezza del teatro. Mi piace arrangiarmi e oggi mi piace anche questo contenitore.

Iniziamo a parlare. Non ricordo come la discussione verta sul non applaudire dopo uno spettacolo. Ad alcuni crea disagio. Filomena dice che è proprio dell’Odin questo comportamento. Dico di no. Tanti altri sanno che quando uno spettacolo è andato bene non riceveranno subito l’applauso e se va veramente bene non lo riceveranno affatto. Ed è un bene. Vuol dire che lo spettatore non si è annoiato ed ha ancora qualche sprazzo di sé rivolto a ciò che ha visto e ascoltato. Sembrerà strano ma per l’attore è una vittoria. Al contrario dei giapponesi che si spellano le mani per ringraziare per tutta la fatica che l’attore ha fatto per loro. Ci vorrebbe forse la solita via di mezzo. Comunque ho sempre apprezzato il silenzio.

Filomena non indugia, chiama a raccolta nel piccolo spazio tra i tavoli questi giovani appassionati. Chiedo se devo partecipare anch’io. No, devo osservare. Chiedo il permesso anche a loro se non disturbi questa mia presenza indagatrice. Confermano. Ora mi sento più tranquilla. Mi perdo anch’io nell’immaginarsi albero con le radici nell’acqua. Immagino le radici e il benessere di me gigante, come un albero, il benessere, la forza, il respiro, la calma, la stabilità. Gli alberi semplicemente esistono. Si allungano verso il cielo, lo stesso cielo che per noi umani rappresenta ascesi, misticismo, nostalgia, per loro è una necessità che ci parla, forse. Immagino la loro esistenza che passa attraverso quei canali linfatici invisibili. I pensieri vanno e vengono, acqua, tronco, sole, linfa, profumo, vento tra le fronde, spinta verso il cielo. La natura di un albero si sviluppa, sembra, senza sforzi a differenza di noi umani dalle nature molteplici. Mi piace che Spinoza non creda al libero arbitrio. Al faticoso libero arbitrio. Troppe influenze esterne ci strattonano e ci creano dipendenze. L’albero invece deve solo crescere verso l’alto.

Messa in moto del corpo. Non so perché. Inizio a scrivere meticolosamente quei gesti che da più di 40 anni mi accompagnano. Provo grande rispetto per questi giovani. Filomena nomina la “presenza” del corpo. Avrei molto da dire, ma so che ci sto ancora lavorando dopo tanti anni. Presenza vorrei fosse quell’attenzione che mi consente di essere qui e ora per un tempo abbastanza lungo per poter esistere. Da giovane dissi a Yoshi Oida, allora mio regista, che volevo recitare come una pietra totalmente immobile, senza muovere nemmeno un sopracciglio. Ricordo il suo sorridermi. Ancora oggi ne riparliamo. Adesso a questa pietra almeno ho saputo dare un nome: essenza. Ma ancora non la comprendo. Continuerò a cercare attraverso errori, esperienze, conHnuando un cammino di cui forse, se sarò fortunata, intuirò qualcosa nell’ultimo respiro. Aveva ragione Spinoza. Dio ci ha condannati alla fatica del nostro essere. Ma forse non è poi così brutto se si ha sempre la possibilità di imparare da questo ammasso di vulnerabilità che è il corpo e la mente.

Poi arrivano le parole della scomunica “ Con la sentenza degli angeli, con l’ordine dei Santi, noi bandiamo, allontaniamo e malediciamo e auguriamo ogni male a Baruch De Espinoza”. Filomena invita gli studenti a “scomporre” la parola “maledetto”. Cercare l’anagramma, il contrasto, il ritmo. Dissolvere il significato, interpretarla musicalmente.....tentativi deboli, imprecisi nel loro cercare un senso a quello che stanno facendo. Ma cercano, Questo è il meccanismo più bello che posso osservare. Sempre. Non arrendersi. Continuare. Se non va bene oggi andrà bene domani. Giovani guerrieri. Quando da piccoli si tenta di montare un gioco di cui non si conosce la forma e l’utilità. Ma si è molto curiosi. Questi sono i momenti più belli da osservare nei giovani allievi. Se ci ostina a provarci qualcosa nascerà.

Filomena si appella ai risuonatori. Mi domando se ne abbiano conoscenza. Eppure si bloccano. Ci sono pause. Penso che sia il termine “maledetto” che provochi un blocco. Li hanno mai sperimentati, anche inconsapevolmente? Solo più tardi avrò una bellissima sorpresa. Filomena non inizia a spiegare, che bello, lascia che le loro voci scorrano. E’ già un gran bel passo per dei giovani allievi. La voce è la cosa più delicata da trattare e se si fanno troppe chiacchiere ci si ingarbuglia. Ci vuole tempo e pazienza. Ma lei non è solo una filosofa e questi giovani la seguono con molta attenzione. Io continuo ad avere sollecitazioni dal diaframma pelvico come se la mia voce volesse gridare “maledetto” dalle profondità di una zona sconosciuta e profonda. Poi da grido diventa sussurro.

Continuano a cercare ritmi e movimenti o gesti con le parole della maledizione. Filomena ogni tanto li esorta allo stop. Deboli tentativi degli occhi che continuano a muoversi, piedi, muscoli, cercano la posizione nel momento successivo. E’ così difficile all’inizio fermare il flusso dei pensieri e dei muscoli. Necessita tempo per l’osservazione di sé.

Con la maledizione e la voce mi colpiscono i volumi, soprattutto i bassi. Giochi di voce” come se” foste bambini che ripetono la poesia alla maestra. Ma quella che mi fa tremare di più è mandare la maledizione al proprio compagno di banco o dover tradire un amico davanti a tutti. Immagino dolori e sofferenze.

Filomena li invita a lavorare sugli animali. Mi torna il sorriso. Ognuno di noi ha il suo proprio modo di immaginare gli animali. Prestiamo poca osservazione alla natura e a tutto ciò che ci circonda. Ma questo “gioco” consente tante scoperte corporee e vocali.

Ore 10,15 Arriva Julia.

Come possiamo cercare materiali per il lavoro?

Partire da tre verbi da associare al verbo maledire. Poi lo stesso con l’opposto, benedire. Sulla prima associazione scrivere tre animali da associare a ciascun verbo. E il lavoro continua intersecando voci, verbi, movimenti e personaggi storici o onirici, qualcuno che ci viene in mente. Questa è la fase che mi ipnoHzza e affascina. Ma è anche la fase in cui rischio di perdermi grazie alla mia discalculia. Mi si aggroviglia il cervello e vado in una specie di panico. Tengo le cose molto più semplici quando devo lavorarci con gli allievi perché spesso rischio di dimenHcare ciò che deve avvenire in progressione. Ma aver scoperto che il teatro è un po’ come un compito di matematica, specie quando si dirige, non mi ha frenato dal cercare sempre attraverso nuove strategie. Ma trovo che questo processo sia utilissimo e non abbisogna di tanto tempo come nelle improvvisazioni. E’ una sorta di improvvisazione “guidata” in cui posso rendermi conto sul momento degli errori che sto commettendo e cerco di aggiustarmi.

Ma arriviamo al canto. Julia chiede se qualcuno conosce un canto Yiddish. Una mia passione. Uno studente inizia a cantare Gam Gam con una voce bellissima. Gli altri lo seguono. Tutto il mio corpo reagisce con gioia. Oggi non è la giornata adatta per una memoria così. Vittime e morti nella striscia di Gaza. Ma penso che questa canzone fu scritta per lenire le sofferenze e i dolori dei bambini. Inizio a cantarla silenziosamente anche io , un canto che amo molto ,

Gam Gam Gam

Be Be ge Tzalmavet

Lo lo lo ira ira

Ki a$a imadi

“Anche se andassi nella valle oscura non avrei paura di nulla perché Tu sei sempre con me”

Ed ecco poi comparire i quadri di Bosch ! I corpi degli studenti si modellano su figure e personaggi sacri. Il tutto verrà montato poi insieme.

Julia finisce con le parole che sin da giovane ho ascoltato e amato. Non chiedetevi cosa state facendo, attraverso il corpo lo scoprirete.

In teatro bisogna avere pazienza. Aspettare. Non si può avere tutto e subito.

Arrivo di Eugenio Barba:

Non conoscevo cosa volesse dire marrano. Eugenio ci spiega che viene da maiale perché nel 1549, con la conversione forzata al cattolicesimo si costringevano gli ebrei e i musulmani a mangiare un pezzo di carne di maiale. Non esiste cosa peggiore dei pregiudizi e delle religioni. Crudeltà infinita e mancanza di rispetto. Deliri umani. Poi dopo averci parlato del maestro di Spinoza, più che di Spinoza, ci porta verso altre riflessioni. I maestri, penso, ci insegnano e lasciano il loro alone nelle nostre anime.

L’imitazione di Cristo. Gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. Ancora memorie di giovinezza. Grotowski aveva parlato di Loyola. Lessi e seguì quanto scritto. Stavo di nuovo cadendo in un flusso abbondante di memorie intime. A volte coglievo nomi, a volte solo il mio pensiero prepotentemente si appropriava di ricordi. Nell’incontro di mani potevo sentirmi sprofondare in una calma che mi riportò ad un ricordo dimenticato chissà in quale anfratto. Un giorno durante un incontro sufi con la mia regista e maestra di teatro Shahroo Kheradmand riuscivo a stento a trattenermi dall’addormentarmi. Lei mi si avvicinò e mi disse “ Non ti preoccupare, dormi pure, avrai bellissimi sogni”. Avevo 19 anni.

Ieri 9 ottobre ho compiuto 63 anni. Per regalo ho avuto una bellissima mattinata e ancora continuo a fare bei sogni.

Grazie Filomena.

Con affetto

Paola