Quarta edizione del Congresso Dantesco Internazionale, promossa dall’Università di Bologna in collaborazione con il Comune di Ravenna e con il patrocinio delle maggiori società scientifiche, letterarie e linguistiche interessate allo studio e alla divulgazione delle opere di Dante.
Data:
Luogo: Ravenna
Le due sessioni offerte sono dedicate al progetto AlmaIdea 2022 ParNov. Parole nove: indagini sul lessico della Vita nova di Dante Alighieri (PI Nicolò Maldina). La ricchezza dei lemmi analizzati permette di abbracciare numerose aree semantiche che comprendono, per esempio, gli ambiti relativi a immagine, forma, figura, retorica, astronomia, amicizia, dolore, lutto, comunità. A questo proposito, si sottolinea la varietà di discipline e letture del testo messe in gioco dagli studiosi coinvolti: dalla filologia alla storia del cristianesimo e gli studi biblici, dalle storie bizantina e medievale alle scienze cognitive e performative, dalla storia della trasmissione manoscritta e delle biblioteche alla semantica storica. Ognuno, con il suo proprio sguardo, contribuisce ad arricchire la discussione sul prisma lessicale della Vita nova.
In questa relazione saranno presentate alcune riflessioni sulla semantica religiosa che è alla base di alcuni termini utilizzati da Dante nella Vita nova. In particolare, si approfondirà il lessico, che presenta profonde radici bibliche e cristologiche, relativo all’immagine e alla forma. L’analisi sarà effettuata a partire da quella che si reputa una contrapposizione tra la forma vera e la morta imagine che Dante offre al v. 6 del sonetto Piangete, amanti, poi che piange Amore. Si tenterà di sviscerare le radici bibliche e patristiche e, in particolare, il significato cristologico che andrebbe attribuito a questi concetti; si ritiene che questo potrebbe contribuire anche a una più esaustiva comprensione del significato di Beatrice all’interno dell’opera dantesca. Questi termini saranno inoltre utilizzati come esempi per presentare la schedatura preliminare avviata nell’ambito del progetto Parole nove, proprio con il fine di esaminare il valore semantico dei concetti più significativi utilizzati nella Vita nova.
Il contributo intende analizzare il brano della Vita Nova (XL, 1) in cui Dante allude ad una icona miracolosa di Cristo, verosimilmente il cosiddetto Velo della Veronica conservato presso la basilica di San Pietro a Roma, in funzione della tradizione cultuale delle immagini acheropite, ovvero le immagini “non create da mano umana”, originatasi nel contesto romano-orientale a partire dal VI secolo. Il lessico utilizzato da Dante, in particolare i lessemi essemplo e figura, evidenzia la natura ambivalente delle acheropite, reliquia e insieme ritratto, in conformità ai principi fondamentali della teologia cristiana delle immagini, prodotti di un processo storico che ha le sue radici nel mondo tardoantico del Mediterraneo orientale.
Grazie agli studi di Carrai è ormai pacifico ascrivere la Vita nova al genere elegiaco. Non è sempre facile, tuttavia, valutare il rapporto del libello dantesco con alcuni archetipi del genere: discussa è l’effettiva entità dell’influenza boeziana, perlopiù ricondotta al modello formale e ad affinità di livello tonale e retorico-stilistico; risulta sempre più chiaro l’articolato ruolo giocato dalle Lamentazioni dello ps. Geremia, mentre variamente stimato è il contributo offerto dal libro di Giobbe. L’intervento si propone di riesaminare la questione, soprattutto in relazione a quest’ultimo libro biblico, anche alla luce di alcuni testi elegiaco-consolatori circolanti a Firenze in epoca dantesca.
All’impianto bipartito del prosimetro corrisponde una sostanziale dicotomia linguistica: da un lato il volgare ‘lirico’ di matrice galloromanza e siciliana, dall’altro il volgare ‘didascalico’ della prosa. La lingua della prosa, in particolare, si distingue per il realismo, che pertiene alla rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, compensando l’indeterminatezza descrittiva della poesia e colmando la distanza tra la realtà e la sua figurazione attraverso l’impiego di strutture grammaticali proprie di quella letteratura scientifica probabilmente fruita dall’Alighieri alle ‘scuole’ dei laici. L’intervento ambisce a un censimento di quei latinismi lessicali e sintattici che denotano la vocazione compilativo-esegetica della prosa vitanoviana, proiettando il testo dantesco nell’orizzonte culturale della prosa letteraria fiorentina del Duecento e dei coevi volgarizzamenti dei classici, caratterizzati, oltreché dalla trasposizione linguistica, dal supplemento esegetico della sposizione: si pensi alla Rettorica di Brunetto e al Fiore di rettorica di Bono Giamboni, che, secondo Cesare Segre, insieme al più tardo volgarizzamento della Somme le roi di Zucchero Bencivenni, costituiscono il «triumvirato fiorentino predantesco».
Il XIII e il XIV secolo segnano un deciso approfondimento della scientia de astris e, insieme, un suo allargamento dai circuiti universitari a un pubblico di laici colti interessati alla philosophia naturalis. Il lessico della materia, tuttavia, palesa incertezze terminologiche e nozionistiche derivanti, da un lato, dal conflitto fra le principali tradizioni astronomiche (geometrico-matematica, filosofica e teologica) e, dall’altro, dalle differenze espressive e concettuali accumulatesi nella lunga trafila di fonti tardoantiche, mediolatine e volgari. Il fermento culturale e la relativa instabilità lessicale costituiscono il milieu della Vita nova e della sua rimarchevole “intenzione cosmica”, che emerge in passi di notevole importanza. Sebbene a quest’altezza cronologica Dante non abbia certamente maturato le competenze filosofico-scientifiche che metterà a frutto nel Convivio, il «libello» lascia intravvedere, se non una competenza, almeno una certa dimestichezza con il lessico astronomico. Il Poeta sviluppa verso la scientia de astris un atteggiamento gratuitamente speculativo e innalza una cosmologia per molti versi originale che riconduce il discorso astronomico alla dimensione spirituale che costituisce il proprium del «libello». Scopo di questo intervento è, pertanto, saggiare il lessico astronomico della Vita nova allo scopo di verificarne le fonti, valutarne la stabilità e appurare gli eventuali elementi di originalità.
Obiettivo della relazione proposta è di offrire un’analisi del termine “amico” e dei vari derivati (“amistade”, “amici”, “amica”, “amistà”) nella Vita nova, al fine di valorizzare l’uso dantesco del lemma e di comprendere meglio la nozione di “amicizia” all’altezza della Vita nova. Se possibile, si cercherà, infine, di ricostruire l’evoluzione del concetto nelle opere successive.
Nella prosa che introduce il primo sonetto della Vita nova, «A ciascun’alma presa e gentil core», Dante ripercorre le tappe del proprio processo creativo, sollecitato dal desiderio di fare «sentire» ai famosi poeti del tempo – gesto che avvierà l’amicizia con Guido Cavalcanti – ciò che gli era apparso in sogno dopo il primo saluto di Beatrice, una visione portatrice di un’«angoscia» tale da interromperne bruscamente il sonno (Vn 1.18-20). Prendendo le mosse dal vocabolario dantesco del dolore, e specialmente dalla ricerca di condivisione emotiva che l’Alighieri mette in atto attraverso la scrittura – poetica, narrativa ed esegetica – lungo tutto il corso della Vita nova, il presente contributo approfondirà il ruolo che riveste l’empatia nella trama del libello e nella costruzione delle comunità di lettori e lettrici che esso mette in scena, nel quadro delle riflessioni e pratiche comunicative tardo medievali incentrate sul tema dell’amicizia. Proprio nel Laelius de amicitia di Cicerone, che Dante afferma di aver letto per trovare consolazione in seguito alla morte della gentilissima (Conv. II.xii, 1-7), l’amicizia è concepita come consensio su tutte le cose, divine e umane, accompagnata da amore e benevolenza (DA VI.20): si tratta dunque di un’unione nel sentire, dal carattere profondamente affettivo, che trascende la mera condivisione di opinioni per aprirsi alla dimensione della caritas e della compassio. In quest’ottica, si cercherà di comprendere se l’operazione letteraria che la Vita nova incarna possa essere letta anche come il tentativo, da parte di Dante, di educare il proprio pubblico all’empatia, inscenando il coinvolgimento di diversi gruppi in un “sentire insieme” teso all’istituzione di una comunità emotiva fondata sul miracolo di Beatrice.
Il contributo si propone di ricostruire i rituali funebri all’epoca di Dante, un periodo nel quale i governi comunali si impegnarono a disciplinare antiche usanze facendole confluire in un codificato sistema di norme che intesero arginare, se non cancellare, esternazioni violente di dolore e limitare le diversità di classe di fronte alla morte. L’esame sarà svolto a partire dalla narrazione del lutto contenuto nella Vita nova al fine di individuare i rituali così come si svolgevano nelle pratiche quotidiane e proseguirà con il confronto delle leggi comunali fiorentine e toscane che disciplinavano in materia di cerimonie funebri. Ciò per comprendere in quale misura, in un’epoca cruciale per la formazione della civiltà urbana e comunale, le norme riuscirono a controllare rituali che segnavano profondamente la vita quotidiana delle persone di tutti i ceti sociali.