Nota di Francesco Carbognin
Si offre una breve anteprima della lunga videointervista inedita Andrea Zanzotto: letture di un poeta, realizzata in occasione del Convegno Internazionale «Andrea Zanzotto: un poeta nel tempo» (Biblioteca del Dipartimento di Italianistica, Università di Bologna, 23 novembre 2006). Il DVD contenente l’intervista è allegato agli Atti del Convegno, in corso di pubblicazione. Ad apertura dell’intervista, abbiamo proposto a Zanzotto di commentare una frase da lui pronunciata riguardo alla propria poesia (1979); una frase che potesse costituire un ‘possibile prefazio’, all’argomento discusso nel convegno («un poeta nel tempo»); una frase, ancora, che si proponesse quale possibile auspicio a ciò che noi crediamo debba costituire il più alto compito da Zanzotto assegnato alla poesia. La frase è la seguente: «La poesia sembra divagare e intorbidare, ma infine dilucida quanto v’è di più aggrumato nella storia» [1].
[…] Penso che forse mai, come in questo inizio di millennio, il tempo abbia cambiato velocità. Quindi, ci si trova in uno snodo importantissimo, che nel giro di poco tempo tenderebbe a cambiarci sotto gli occhi tutto quello che è stato pensato e fatto prima. La poesia diventa, necessariamente, un campo ideale che ha bisogno di una autoreferenzialità, di una autogiustificazione nel tempo, tra le brutture che il tempo arreca.
[…] Sul piano della scrittura, anche fatti profondi e gravi, non possono non avere un loro status di particolare retorica. Il nome di Maria Fresu, per esempio, è particolarmente legato a tremende esperienze del dopoguerra; in questo caso, alla bomba di Bologna.
Quale deve essere, oggi, la suprema proposta qualitativa della poesia, il suo «sì» [2]?
Deve conservare l’idea del sacro: non l’idea di un sacro espressa da una piuttosto che da un’altra particolare religione, ma [l’idea] di una sacralità che è insita nella vita. Oggi, chi pretende di avanzare verso aumenti di produzione senza tener conto che basta un niente per tracollare, va anche contro il sacro, contro la sacralità che da sempre bisogna presupporre nella vita. Non occorre far professione di una qualche fede particolare: il sacro supera la particolare idea di sacro esibita dalla singola religione, proponendo qualche cosa che se la si mette in dubbio, se la si tocca, crolla tutto. E su questa tastiera, sono andato avanti…
[...] Ancora un saluto onnicomprensivo a tutti, con braccia da “Gigante delle sette leghe”…
NOTE
[1]A. Zanzotto, Qualcosa al di fuori e al di là dello scrivere (1979), ora in Id., Le Poesie e Prose scelte, a c. di S. Dal Bianco e G.M. Villalta, con due saggi di S. Agosti e F. Bandini, Milano, Mondadori, 1999, p. 1228. Riportiamo il contesto da cui è stata prelevata questa citazione, particolarmente efficace nel descrivere la concezione zanzottiana sui rapporti tra storia e poesia.
[2]Secondo Zanzotto, «in evasione da qualsiasi premessa quantitativa» rintracciabile nella realtà storica, la poesia si pone come «suprema proposta qualitativa»: come un radicale gesto affermativo (un «sì»), estremo esempio di libertà da ogni forma di coercizione. Questo concetto, espresso dall’Autore in numerose occasioni, trova un’esauriente e suggestiva formulazione in un’intervista rilasciata nel 1965 a F. Camon, intitolata, nell’edizione definitiva del testo (1999), Il mestiere di poeta (titolo cumulativo del libro, pubblicato presso Lerici, in cui Camon ha raccolto colloqui avuti con scrittori di tre generazioni, da Jahier a Sanguineti). Di questa intervista si propone un significativo estratto, illuminante in merito all’estrinsecazione della costellazione tematica ‘poesia-storia-infanzia’ istituita da Zanzotto in ambito strettamente lirico, a partire dai primissimi anni ’60 (e, più precisamente, a partire dalle IX Ecloghe del 1962, di cui si veda, almeno, l’Ecloga IX. Scolastica, soprattutto vv. 65-71). Vi si può rinvenire, inoltre, il tema del ‘sacro’ (su cui si sofferma Zanzotto alla fine della nostra videointervista), riferito, in questo caso, alla «virtù biologale», cioè alla «“buona fede” nei riguardi della vita» rappresentata dalla «poesia» concepita come atto «iniziale», come «infanzia» dell’espressione e del senso). Il tema della vis adfirmativa rappresentata dall’atto poetico e quello, a esso contiguo, dell’‘infanzia’, troveranno sviluppo nel successivo libro di poesia zanzottiano, La Beltà (1968), dando luogo, rispettivamente, ai motivi del «principio resistenza» e dell’infans. Mi permetto di rinviare, a questo proposito, al terzo capitolo del mio L’«altro spazio». Scienza, paesaggio, corpo nella poesia di Andrea Zanzotto, con una poesia inedita e un saggio “disperso” di A. Zanzotto, Varese, Nuova Magenta, 2007.