Loretto Rafanelli, è nato a Porretta Terme (BO), ha pubblicato libri di poesia: I confini del Viso, Forum, 1987, Il silenzio dei nomi, Jaca Book, 2002 (Premi: Gozzano, Metauro, Aleramo, Caput Gauri, Ministero dei Beni Culturali), Il tempo dell'attesa, Jaca Book, 2007 (Premi: Cassola Ultima frontiera Volterra, Foligno, Fabriano, Morosini), L'indice delle distanze (Jaca Book, 2013); di teatro (Artemisia, I ciclamini di Bosnia, Nelle buie stanze, Le voci del Filadelfia-Il Grande Torino); di saggistica (Il sangue della ricordanza). Dirige la casa editrice I Quaderni del Battello Ebbro di cui ha curato numerosi volumi. Ha partecipato con M.N.Rotelli alla Biennale di Venezia (2001, 2005, 2007, 2011). Tradotto in varie lingue e traduttore a sua volta dallo spagnolo, in uscita La nuova poesia dell'America Latina. Collabora con giornali, riviste e blog, relativamente a questa attività, di prossima pubblicazione una raccolta di saggi e recensioni.
Dirige il festival dell’Utopia a Biancavilla di Sicila e il Festival nazionale dell’acqua a Porretta Terme, ha ideato e segue la rete scolastica "Scrittori nelle scuole".
È stato invitato da vari Istituti di Cultura italiani nel mondo (Londra, New York, Pechino, Belgrado, Lubiana, Zagabria, Rabat), ha rappresentato l'Italia, nel febbraio 2012, al Festival mondiale di poesia in Nicaragua, nell'ottobre 2012 all'Encuentro de los poetas latinos, in varie città del Messico, nel luglio 2013 al Festival internazionale di poesia di Lima in Perù.
Le voci, padre, le senti nella notte,
o in questa ora della veglia,
quando guardi e là oltre il mare
le donne attendono il tuo
amore. E’ una sera in cui le madri
sciolgono i capelli e nei letti
stringono i bianchi vestiti
delle nozze, sole nelle sponde larghe
dove i figli sono passati
e vanno ora coi loro figli a cercare
sulle rive dei fiumi il sangue
dei padri, poveri, sempre
più poveri, con questi pani neri,
insaziabili, in quell’odore forte
di quell’estate. Tu la ricordi,
padre, era mattina presto
e la meno era vicina.
Da Il silenzio dei nomi (2002)
Nelle notti i figli vestiti
di bianco pettinati dai morti,
noi tremanti a cercare un amore
in un silenzio che mura
le vesti di nomi. Il tuo viso
pesante di fronte all’argine
alto che l’acqua
cancella ad ogni stagione.
E vivi muto come l’esiliato
nella città deserta, nel solco
di carni, e mi dici di te,
della tua fine e mi guardi.
Da Il silenzio dei nomi (2002)
Esiste un silenzio muto di occhi
e una voce consegnata al figlio,
è difficile pensare al tempo
che rade la luce pesante
di una neve che poi scompare.
E il salmo serale sgomenta
e fa tremare sulle bocche sperdute.
Ma il padre che può più dire
se non indurre nel buio di una notte.
“Dove sei?”, mi dice il piccolo,
e il mutismo si fa prezioso come
l’olio santo per il moribondo.
Da Il silenzio dei nomi (2002)
Si spengono in un orizzonte di neve
i canti delle donne che invocano
con occhi di sale.
E il pane delle notti, degli uomini,
delle voci vicine, a vigilare
in una carne abbandonata,
tra le campagne sacre e solitarie,
nel vento che porta i nomi
di un tempo in un buio amico.
Nel silenzio che s’incela tra le curve
rosate di fine estate, nei fiumi
lontani che le sere riversano
nelle ampie pianure. Nel canto
bianco della vita. Nei ricordi
che lasciano la soglia priva di luci.
Da Il silenzio dei nomi (2002)
Lo scialle ravviva le tue labbra
e ti vedo là nella lunga strada
che va ad Andorra poi
nella campagna di Lérida nel rosso
fuoco della sera, avvolta
in uno sconfinato manto di grano.
Poi Siviglia, nella casa Murillo,
e a Pontevedra, tra i bassi portici
invasi dal vento dell’Oceano.
E negli occhi dal colore dell’oro le ore
erano la terra infinita di Castiglia,
il biancastro sfuocato mare di Algeciras.
Ora ti cinge il girotondo febbrile
delle estati, la scavata collina
bagnata dal sole e il tuffo
che l’eterno fa amore.
Da Il tempo dell’attesa (2007)
Se amore è il soffio di vento
nel lungomare lontano e il volto
è il pane dolce dell’offerta,
ricorda la mattina dei canti
nuziali, il saluto nei capelli
raccolti di quell’estate.
E tu chiedi chi ancora verrà
nella nostra terra, dove scenderà
lo sguardo, dove sarà l’acqua
della fonte. E amore ancora
si dirà nella sera dei falò
della calda stagione
che sfuma. Quando il lume si perde,
e quiete si chiede allo smarrito
passaggio che è muta falce.
Da Il tempo dell’attesa (2007)
Ecco la tagliata luce. Il battito
nel bianco di quell’alba
nella smorta stazione costiera.
E nell’umile tempo
la strada del ricordo divenne
un velo rotto dal lampo. Ma pure
il mattino di un fiore di mare.
Da Il tempo dell’attesa (2007)
E ti seguirò così nella pietà di una notte,
nelle prosciugate brocche
che scagliano il respiro come il colpo
di un’arma. Poi il riflesso del mattino
è in questa torma di brunite
scaglie di mare, l’inverno che giungeva
nella riviera, con quel battito
che è una sbiadita bandiera.
Da Il tempo dell’attesa (2007)
Prendiamo quella linea
che congiunge il tanto e il nulla,
il solco della sera e la linfa
del mattino. La strada che compi figlio,
sarà la lunghezza del tuo sguardo
o il vestito nero del lutto per il padre.
Ma se nella mente si affollano
le secche ombre, dobbiamo vivere
la pace che abbiamo tracciato
con fatica. Poi quando sarò
nelle tue terre ti consegnerò
il diario dei miei anni, i colori
pastello del ricordo
e quelli forti della fine
dei sogni, ma anche la luce incantata
che ci ha segnati. E forse saprai
che tutto è nel mare che sciama
da questo finestrino e che il treno
schiaccia nell’infinita corsa.
Da Il tempo dell’attesa (2007)
La stanza sette è una cinta di freddo
che penetra la carne ed è stinta
come il cielo di questa valle,
e ci condanna alla smorta veglia
in questa corsia d’ospedale
dove ti aggiri tra i vecchi
che bussano alla porta della speranza,
madri annientate dalle sirene
delle ambulanze che giungono
nelle vuote brocche del tempo,
coi destini scritti nella geometria
degli occhi impassibili dei giovani
medici della sfinita corsia.
Così non rimane che porre i secondi
nell’orlo che appena copre, madre.
Nota. La cronaca di sofferenze nelle camerate dove il lamento, la ferocia delle condanne, il disarmato cammino dei parenti, accompagnano le giornate dei vecchi malati nell’ospedale di Porretta, reparto di medicina, divenuto in verità un cronicario.
Da Il tempo dell’attesa (2007)
I volti, i luoghi, le ripide
vie, che passano nel cerchio
di un rigo, nella fissità di una soglia,
nel chiuso cortile della vita. Che tornano,
e si spengono, o vivono. Sono
tracce che sgrondano e stringo
nello schianto deciso degli anni.
Il passo che invoco è la goccia
del mare, il volo che sgrana
l’occhio, le voci nutrite dal segreto,
la luce solitaria di un altro giorno.
Osservare, intatti. Ancora, sempre.
Non chiudere all’invocazione, alle parole,
al decoro del mondo, alla balbuziente
visione. E non consumarsi nel buio
del grido.
Da L’indice delle distanze (2014)
Devi pensare all’acqua che turbina
precisa nel suo corso, che raccoglie
la brina, il fuoco, il cuore, che lava
le radure e il fogliame. Devi pensare
alle cose nel solco del loro solco,
agli orti delle stagioni morte,
ai palpiti sfioriti nelle carezze,
ai giorni che battono i rintocchi.
Allora dici: persone. E puoi dire
ancora: persone. E le ombre
che gravano, le togli
dal fondo che confonde
il mare. Un crocevia di sguardi,
un fragile sentiero ventoso. Indizi.
Ma sui pozzi limacciosi il malfermo
pane devi conservare.
Da L’indice delle distanze (2014)
A Marco N. Rotelli
È come riconoscere i volti e le case
della vita, o frammenti oscuri
di ferite e gioie, o le stelle
sazie della notte, perché è
vero che ad Aguascalientes,
la città messicana che accoglie
i versi, il corso Francisco Madero
pare la strada conosciuta
dell’esistenza, e così i giovani
avvolti di pura acqua,
o la bella donna dal sole in fronte,
e il mercato con frutta e pesce,
e i sombreri dal bianco colore antico,
e le granaglie dall’odore di terra.
E la cattedrale illuminata che scende
intatta fino all’occhio e batte
le ore una a una del mio cuore.
Ma se tutto è nel nostro passaggio,
se ancora vogliamo restare in ogni
luogo, se ogni scorcio si dice infinitamente
doloroso lasciare, allora, Marco,
vuol dire che desideriamo svanire
il partire, e non da questo luogo,
da Aguascalientes bella
e lucente di pietra chiara avvolta,
non dai luoghi del mondo transitati,
ma dalla disabitata ombra che è accanto
sospesa, bianca come il vento che va veloce
tanto veloce nella sua stagione infinita.
Nota. Ad Aguascalientes, bella città messicana, si è tenuta una delle manifestazioni poetiche del XIV Encuentro de Poetas del Mundo Latino. Marco Nereo Rotelli è il noto artista con cui ho collaborato per la realizzazioni di eventi, in particolare in 4 edizioni della Biennale di Venezia.
Da L’indice delle distanze (2014)
Nel ghetto asfaltato dalle grida
nella giornata dispersa sul candelabro
di ottobre, un fiocco azzurro disegnò
il cielo. Appena nato, 1, 2, 3 giorni forse,
il 16, lo presero alla culla e conficcato
sulla barra estrema del freddo.
La madre ormai accecata sui marmi
di deportata, non seppe che convennero
di non sciupare il piombo fuso su un corpo
immaturo. Bastava destinare a un muro
il compito innocente di salvare una razza.
Chissà se rimase traccia della genetica
salvezza nella sbreccata calce romana.
Non so se ora si possa dargli un nome.
O dire solo di un cero. Di una preghiera.
Di un’onda dolce del mare che non vide.
Nota. Il 16 ottobre 1943 a Roma, ci fu l’arresto e la deportazione nei campi di concentramento di migliaia di ebrei, in quella occasione le SS uccisero un neonato sbattendolo contro un muro. Di quel bimbo non si conoscono neppure le generalità.
Da L’indice delle distanze (2014)
Mentre il mare si raggruma negli occhi,
cerco nel soffio dei giorni la consistenza
del cielo, e quando la sabbia
ci circonda del suo velo,
siamo come nascosti dalla luce. Così
viviamo la pausa dell’autunno,
nel raggio che ci dona il ponente marino,
poi nel molo c’è chi getta
l’amo e lacrima davanti alla lenta
nave che fa lontano la terra. Nella corsa
degli sguardi, nell’aria marina, c’è un punto
che raggiunge l’unità della gioia.
Ritornare nella sequela esatta
della vita pare il vortice di un geometrico
precipitare. Si spazia dall’immobile
cieco giro al dunque di un secondo,
quello lasciato.
Da L’indice delle distanze (2014)
Racchiudo il tuo corpo
consumato nella corteccia del sole
tiepido, autunnale. Nella tua brezza
madre. Nelle trame che ci fecero
gocce di una stessa umana riva.
Il seme dolce della tua pace.
Nel colore disteso del mare
di Versilia.
Da L’indice delle distanze (2014)
Dire di questa attesa. Della madre
composta tra i ceri nel suo umile
bianco vestito da sposa. Dire di una luce
improvvisa che non cogliamo.
Di un fiato che spande il suo ordine.
Una misura della vita che non sappiamo,
una dolcezza che giunge.
Da L’indice delle distanze (2014)