Recensione a cura di Alessia Veca e Chiara Fiorentino
Ripensare l’Antropocene è un’opera orientata verso un nuovo modo di concepire il mondo e noi stessi in esso, in grado di superare le concezioni stantie e tradizionali che ci escludono da una comprensione più profonda e complessa. Molto importante, in questo senso, è il sottotitolo Oltre natura e cultura, dicotomia che il volume intende scardinare. Il testo è stato scritto a otto mani, ed è nato dalla collaborazione di quattro colleghe ed amiche: Paola Govoni, Maria Giovanna Belcastro, Alessandra Bonoli e Giovanna Guerzoni. Unendo le loro competenze e conoscenze di ambiti differenti, le autrici guidano il lettore in un percorso variegato e stimolante, che mette in discussione molte delle categorie ‘non problematizzate’ che comunemente usiamo, confrontandosi con problemi pragmatici e teorici al tempo stesso. Affrontano il tema del rapporto tra l’uomo e l’ambiente, trattando di politica, epistemologia, scienza, educazione e molto altro. Il volume, inoltre, si sviluppa con la collaborazione degli studenti che hanno partecipato al progetto Terra Franca. Le autrici riportano costantemente le loro posizioni e opinioni, che permettono di ampliare la visuale, osservando gli argomenti dal punto di vista di giovani studenti.
Il primo capitolo, scritto da Paola Govoni, riflette sull’importanza dell’educazione e su come essa oggi sia stata ridotta a un continuo classificare e diversificare le branche del sapere. Il capitolo insiste sull’importanza di un approccio interdisciplinare nell’educazione, sicché possa essere ridotto lo scarto venutosi a creare soprattutto tra scienze naturali e scienze sociali. Garantendo un’educazione che oltre a discriminare voglia anche coniugare i saperi, si può inaugurare uno spazio dialogico in cui, finalmente, la scienza non occupa più un posto privilegiato ma viene concepita nella sua fallibilità e nel suo essere esposta costantemente all’incertezza. Facendo decadere l’ideale di esattezza attribuito alla scienza, sostenuto da uno studio manualistico e preconfezionato, si riscopre l’importanza dell’errore, che viene riconosciuto nella sua propedeuticità, ossia come elemento indispensabile alla teorizzazione di saperi scientifici mai permanenti. La scienza, dunque, liberata dalla sua immagine idealizzata che la erge come infallibile, dimostra di navigare nel dominio dell’incertezza.
Sulla scia del primo, il secondo capitolo, attraverso la fluente scrittura di Maria Giovanna Belcastro, ci mostra come la scienza sia spesso influenzata dalle convinzioni sociali e culturali con cui è associata. Vengono descritte le continue revisioni delle teorie evolutive, che seguono, più che dimostrazioni empiricamente verificate, sistemi di valori e credenze del periodo in cui vengono formulate. Dalla teoria maschilista di Sergi che esclude la possibilità dell’esistenza di una donna-genio, alla teoria di Gimbutas che ipotizza l’esistenza di società matriarcali del neolitico, soppiantate in seguito dal patriarcato. Queste concezioni riflettono, dunque, dei sistemi di pensiero prima di seguire delle evidenze scientifiche. Lo stesso avviene nel caso della teoria delle razze di Carl Von Linné, così come in quella del cranio di Piltdown, ritenuto il più antico ritrovamento di Homo Sapiens fino a quando dichiarato falso e costruito ad hoc. Belcastro ci accompagna, così, in situazioni in cui l’autorevolezza sembra vincere sull’evidenza, situazioni in cui i nostri desideri e i nostri sentimenti identitari si mescolano in maniera indissolubile con i fatti e i reperti. L’autrice propone, dunque, di sostituire a una visione antropocentrica, una “ecocentrica”, che possa onestamente rendere conto del nostro profondo legame con l’intorno e farci finalmente scendere dal piedistallo.
Nel terzo capitolo è Alessandra Bonoli, ingegnera delle materie prime, a offrirci il suo punto di vista: critica, in particolare, il “crescitismo”, quella convinzione secondo cui il benessere può svilupparsi solamente in concomitanza alla crescita economica, tecnologica, scientifica verso l’infinito. È evidente, argomenta Bonoli, che questa concezione stia portando all’inospitalità del pianeta. Per questo motivo riprende la teoria di Kate Raworth, secondo cui la sfida del ventunesimo secolo sarebbe di trovare la dimensione interna alla “ciambella”, rispettando così due confini: quello del benessere sociale, e quello del rispetto ambientale. Propone, in seguito, la critica al concetto di PIL, riprendendo il famoso discorso di Kennedy, e la critica al concetto di efficienza. Conclude il suo capitolo sottolineando, così, l’importanza dell’utilizzo delle energie rinnovabili e della ricerca di tecnologie sostenibili; la tecnologia, afferma infatti, non è buona o cattiva, è solo uno strumento che noi possiamo indirizzare verso determinati fini.
Nel quarto capitolo del volume, Paola Govoni, riprendendo il discorso impostato in precedenza, evidenzia nuovamente l’importanza dell’educazione. A tal proposito, viene riportato il caso del Great Stink, che costituisce un’evidenza storica di una mancata consapevolezza delle conseguenze dei disastri ambientali, e dunque di un’educazione inadeguata. Michael Faraday, comprendendo la pericolosità degli olezzi provenienti dal Tamigi, il quale si era trasformato in una cloaca a cielo aperto nel corso del XIX secolo, denunciò il fenomeno. Egli, tuttavia, venne ignorato dalla popolazione, troppo poco interessata all’ambiente e poco informata sul fenomeno in atto. Le conseguenze di questa scelta portarono al Great Stink: i miasmi divennero così pestilenziali da causare malattie epidemiche mortali. Oggi, secondo Govoni, ci troviamo in una situazione affine: sappiamo che l’attività umana ha un impatto ambientale catastrofico, eppure non siamo in grado di intervenire attivamente per arginare i danni o ridurli drasticamente. Il problema è da imputare a un’educazione che fallisce nella realizzazione del suo intento, ossia permettere all’umanità di convivere con le altre specie senza deturpare il pianeta. Che il processo tecnologico sia stato accompagnato da un disinteresse rispetto alla tutela ambientale, tuttavia, fu già identificato da Marsh nell’opera Man and Nature, in cui l’autore insiste sulla necessità di un dialogo tra tecnologie, società e natura. Solo su un terreno dialogico si può ripristinare l’equilibrio tra le parti, senza fare dell’attività umana un convoglio di energie predatorie e noncuranti degli effetti ambientali a breve e a lungo termine.
Il quinto ed ultimo capitolo, ad opera di Giovanna Guerzoni, riprende quanto detto in precedenza rispetto all’educazione e al suo ruolo indispensabile per l’impostazione di una politica più consapevole della catastrofe climatica attuale. In questo contesto, Guerzoni sottolinea come il mondo contemporaneo sia attraversato da processi di natura globale, che rendono i contesti locali punti di scambio di una rete complessa di interazioni. La globalizzazione fa emergere un insieme di narrazioni difficilmente districabili che avvengono in contemporanea in punti distanti del pianeta. Esse rendono manifesta l’interdipendenza globale sul piano economico, mediatico e ambientale. Infatti, ogni intervento umano, seppur radicato in un contesto locale, si dispiega lateralmente con effetti che si ripercuotono sull’intero pianeta. Dunque, bisogna promuovere un’educazione incentrata sui temi della responsabilità, del rispetto e della cura, e che superi la dicotomia natura e cultura, entrando in un campo trasversale ove possano collaborare le scienze sociali e quelle naturali. Nella chiusura del testo, si fa riferimento a come sia necessario, per far fronte alla crisi climatica, sia cambiare modelli educativi, sia imporre nuovi approcci teorico-metodologici di analisi dei fenomeni ambientali e socioculturali.
È chiaro, dunque, che Ripensare l’antropocene supera le logiche convenzionali: è osservabile nella scelta dei temi, contemporanei ma spesso scomodi, nel modo, diversificato e profondo, in cui essi vengono sviluppati e nella struttura stessa del libro. Lo schema del libro si articola diversamente da quello classico: non sono riservati capitoli interi all’introduzione e alla conclusione. Le argomentazioni si articolano nei cinque capitoli, quando una parte del primo è riservata ad una presentazione dell’opera e del progetto, ed una parte dell’ultimo all’esplicazione degli obiettivi raggiunti. Trasgredisce lo schema più tradizionale anche la parte del Glossario, una piccola parentesi finale, che elenca i termini utilizzati e debitamente segnalati durante il libro che potrebbero essere sconosciuti al lettore. Le autrici si dimostrano, grazie a questa sezione, inclusive e attente nei confronti dei loro destinatari, ma anche consapevoli della vastità dei temi trattati.
Il volume, promuovendo un approccio interdisciplinare, crea uno spazio dialogico in cui finalmente i saperi hanno una posizione mobile: non sono più gerarchizzati in base a un criterio di esattezza o di utilità, ma si articolano di volta in volta tra di loro sostenendosi a vicenda. Da ciò risulta che la ragion d’essere di un sapere è visceralmente annessa a quella di tutti gli altri. D'altro canto, pensare che i saperi siano indipendenti e bastevoli a loro stessi significa non comprendere l’intima rete connettiva che li unisce, erigendo barriere invisibili e invalicabili tra di essi. Il libro, allora, mira ad abbattere questi muri, costruiti non tanto per delimitare i saperi, quanto piuttosto per isolarli e classificarli. Allora, seppur velatamente, il testo vuole ricordare al lettore che ogni sapere, per quanto singolare, non può prescindere dalla dimensione collettiva.
Particolare attenzione viene data alla letteratura che, tramite opere di diversi autori (tra i quali ricordiamo: Mary Shelley con Frankenstein, e T. S. Eliot con The Waste Land), accompagna le argomentazioni scientifiche e filosofiche. Le opere letterarie, in questo contesto, diventano un mezzo di comunicazione in grado di muovere la sensibilità altrui, e di indirizzare verso un agire più consapevole della catastrofe ambientale oggi in corso.
Inoltre, le autrici provengono da precorsi formativi differenti e rivolgono la loro attenzione ad aspetti a volte distanti tra loro. Questo, però, non è considerato come un ostacolo, ma come un vantaggio, che permette di dialogare con una visuale più ampia, di intersecare i saperi dove non era previsto, di coinvolgere prospettive tra loro diverse. Tra queste ritroviamo anche quella degli studenti, che con la loro voce arricchiscono le riflessioni durante l’intero volume, riportando delle testimonianze più personali e meno teoriche, che offrono la possibilità al lettore di avvicinarsi alle vicende raccontate, diminuendo il grado di astrazione.
Dando voce ai giovani, le autrici non fanno solo emergere le loro considerazioni, ma rendono anche onore a quel monito che si avverte insistentemente nella lettura del volume: ossia, incentivare un’educazione consapevole che non sia mero studio mnemonico e manualistico, ma che possa fungere da catalizzatore per un agire meno superficiale e più coerente. Educare, allora, è il primo passo non solo per coltivare le menti delle nuove generazioni, ma anche per promuovere manovre d’intervento più efficaci ad affrontare le problematiche ambientali, che ancora fanno fatica a imporsi sulla scena politico-sociale. La difficoltà è da imputare agli aspri toni di ammonimento dinanzi alle negligenze ambientali che continuano ad essere perpetuate. Questi rimproveri, poiché estremamente severi e accusatori, sono accompagnati da una sorta di disfattismo che non permette di agire prontamente sul piano della realtà. Perciò, solo un’educazione che istruisca su come agire per evitare una condotta disinteressata, e che cerchi di convertire il biasimo in un invito all’automiglioramento, è in grado di fornire una soluzione almeno parziale alla crisi climatica odierna.
In conclusione, Ripensare l’antropocene stupisce e fa riflettere, è un libro, oltre che interessante, utile e importante soprattutto nell’attuale periodo storico. Il volume, non focalizzandosi su argomentazioni scientifiche di natura tecnica che ostacolano la comprensione dei meno esperti del settore, consente un approccio da parte di un pubblico vasto e variegato. Poiché il linguaggio è chiaro e accessibile, la lettura è consigliata a chiunque sia pronto ad intendere il mondo in senso più ampio, a chiunque abbia il coraggio di “scendere dal piedistallo” e confrontarsi con la complessità.
BIBLIOGRAFIA
Belcastro, Maria Giovanna; Bonoli Alessandra; Govoni, Paola; Guerzoni, Giovanna. 2024. Ripensare l’antropocene, Oltre natura e cultura. Roma: Carocci editore.
Chiara Fiorentino (Napoli, 1998) è una studentessa del Corso Magistrale in Scienze Filosofiche dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Si è laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli Federico II, con una tesi in Storia delle Dottrine Politiche dal titolo L’emergenza sanitaria come biopolitica, in cui si analizzano gli sviluppi e le conseguenze della Pandemia di COVID-19. Ad oggi, studia e vive a Bologna.
Alessia Veca, laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Milano, è attualmente studentessa di Scienze Filosofiche presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. I suoi interessi investono diversi ambiti, dall’antropologia alla filosofia morale, dalla pop-filosofia alla poetica. Durante il suo percorso di studi, ha vissuto per due periodi all’estero, a Oviedo (Spagna) e a Hobart (Australia).