A cura di Riccardo Necci
Paul Ziche detiene attualmente la cattedra di “History of Modern Philosophy” presso il Dipartimento di Filosofia e Studi Religiosi dell'Università di Utrecht. Dal 2023 è direttore del “Descartes Centre for the History of the Sciences and Humanities” della stessa università. La sua ricerca riguarda la relazione tra filosofia e scienze: si è spesso interessato ai periodi a cavallo tra XIX e XX secolo, analizzando i contesti culturali e istituzionali della filosofia e delle scienze. Ha pubblicato diffusamente anche su temi legati all'idealismo tedesco (con particolare attenzione a F.W.J. Schelling) e sulle questioni metodologiche legate alla storiografia della filosofia. Ultimamente ha studiato, nel contesto del ‘900, l'inserimento di testi e argomenti canonicamente filosofici in prospettive problematiche più vaste (come nei diversi movimenti di visione del mondo, nelle culture della pubblicazione e nei dibattiti in estetica).
Gherardo Ugolini insegna Filologia classica, Storia della tradizione classica e Storia del teatro greco e latino all’Università di Verona. I suoi interessi scientifici riguardano in modo particolare la tragedia greca antica e le sue interpretazioni, il giovane Nietzsche studioso della cultura greca, la fortuna dell’antico nella tradizione letteraria moderna e la storia degli studi classici. È membro della redazione di Skenè. Journal of Theatre and Drama Studies. Nel 2017 ha vinto il Premio Nazionale di Editoria Universitaria con il libro Storia della filologia classica (Carocci, 2016). Come giornalista pubblicista ha collaborato e collabora con varie testate tra cui «Corriere d’Italia», «Diario della Settimana», «L’Unità» e «Il Giornale di Brescia» (di cui è editorialista).
Segnalibri Filosofici – Nel nostro mondo accademico, specialmente nei dipartimenti di filosofia, l’originario giuramento di fedeltà di Friedrich Nietzsche alla filologia è stato spesso dimenticato. Per altro, egli è spesso considerato come un intellettuale segnato da una svolta paradigmatica, con La nascita della tragedia a fare da spartiacque tra le due fasi: un Nietzsche filologo prima e un Nietzsche filosofo poi. Quanta verità storico-filosofica c'è in questa visione – se ce n'è? Si tratta forse di una separazione didattica troppo semplicistica?
Gherardo Ugolini – Io risponderei così: è vero che questa evoluzione c’è stata, ma dare una lettura così meccanica e scolastica della faccenda è assolutamente sbagliato. Nietzsche nasce come filosofo classico, questo direi che è fuori discussione. Ma è pur sempre vero che a un certo punto è diventato anche un filosofo, benché un filosofo particolare, fuori dagli schemi, non legato a nessun ambiente o cordata particolarmente importante. È stato recepito soprattutto come filosofo. Quando avviene la conversione: questo è il nodo concettuale difficile da affrontare. Non c’è un passaggio immediato. Di solito si dice, come si ricordava nella domanda, che la Nascita della tragedia sia il primo libro filosofico di Nietzsche. Trovo che ciò non sia assolutamente vero: quando esce il libro, infatti, Nietzsche ne parla nelle lettere al suo maestro (Friedrich Wilhelm Ritschl, n.d.r.), o anche ai suoi amici, come Erwin Rohde, sempre come di un libro filologico e da difendere su basi filologiche. Non è un caso che volesse farlo uscire per i tipi di Teubner, un editore principe per la filologia classica. Nietzsche era quindi davvero convinto, forse ingenuamente, di pubblicare un’opera filologica che aprisse in qualche modo la strada a un rinnovamento profondo della filologia classica. Allo stesso tempo, ci appare ora chiaro il fatto che egli è sempre stato un filologo – fin dagli anni dell’università e della docenza a Basilea – che si sentiva un po’ prigioniero della sua disciplina e che ambiva a un orizzonte più ampio. D’altronde, a un certo punto della sua permanenza a Basilea chiese anche di essere spostato sulla cattedra di filosofia, ma non per questo perse un certo côté filologico, che si porterà sempre dietro. In tutti i suoi scritti maturi, direi fino alla malattia che lo invalida, tornano i greci e torna anche la filologia, questa volta proprio come un’attitudine di pensiero. Tutta la sua Kulturkritik, il cosiddetto metodo genealogico, trova i suoi presupposti teorici nel metodo che i filologi adoperano quando ricostruiscono un testo in modo genealogico, col metodo di Lachmann.
Paul Ziche – I would like to add something. I frequently also argue on this topic as a historian of science: with this premise made, then you could have a slightly different perspective and you would have to ask about disciplinary identity. There clearly is a disciplinary identity of the philologist, which is just also described in terms of styles of thinking, but there's also a very broad scope to be a philologist. That is the reason why I also have been asking about archaeological sources. Do they belong to the identity of the philologist or not? That is, to some extent, always under negotiation and things are far more difficult if you turn to philosophy. At this point, one could ask in which sense was Nietzsche a philosopher? Of course, he was not an academic philosopher as he was arguing strongly against those forms of philosophy, the more academic ones. At the same time, he was also creating a new form of philosophy. All of this already makes it difficult to talk in terms of a clear switch from A to B. I am in complete agreement with the argument that this story is far too simple. There are also many other identities that Nietzsche has: the writer, the poet, the psychologist – which in hindsight is very important for him.
GU – Noi abbiamo un attitudine, oggi, a voler incasellare le figure intellettuali in steccati disciplinari molto stretti. Questa tassonomia è assurda oggi, ancora più assurda allora e sicuramente impraticabile per un autore come Nietzsche, per fortuna.
SF - Il valore epistemologico che la grecità ha per Nietzsche è chiaro. Dalla Nascita della tragedia a Su verità e menzogna in senso extramorale o addirittura al Crepuscolo degli idoli, la grecità diventa una sorta di lente attraverso la quale comprendere il mondo e la condizione dell’uomo nello stesso. Perché proprio la grecità? La ragione è da ricercare nel contesto storico e socioculturale in cui Nietzsche nasce? O c’è dell’originalità relativa a questo contesto?
GU – Nietzsche è decisamente figlio del suo tempo e la grecità come paradigma non se la inventa certo lui. Per altro la grecità intesa in questo senso è qualcosa di squisitamente tedesco. In Germania, da Winkelmann in poi e in particolare con Friedrich August Wolf – il primo a fondare una cattedra di filologia classica o, meglio, di Altertumswissenschaft –, si fissano i confini dell’antichità in senso greco e latino. Si escludono altre civiltà parimenti antiche, come quella egizia o ebraica, che vengono quindi confinate in un altro ambito, quale quello dell’orientalistica. Tra fine ‘700 e inizio ‘800 si sviluppa quindi questo paradigma che fa di greci e latini due popoli che hanno dato vita a una civiltà superiore; per questa ragione vanno prediletti e studiati e le loro lingue vanno insegnate e imparate già a scuola. Anzi, devo dire, tra i due c’è anche una certa preminenza dei greci sui latini – spesso ammessa, altre volte taciuta. A questo, per altro, si associa un ideale di affinità tra popolo tedesco e popolo greco antico. Nietzsche s’inserisce, da questo punto di vista, in un orizzonte di classicismo già assolutamente formato. La sua novità è che dà una lettura molto diversa di questo paradigma greco, o quantomeno molto diversa dal solito. La grecità oscura, il mondo dionisiaco fatto di violenza spesso anche barbarica, che veniva solitamente negata o ignorata, diviene infatti, per lui, la vera Grecia, quella arcaica.
PZ – It is interesting, because I have got a similar kind of reaction now as I have also had with the first question. Yes, I absolutely agree, and I think that there are some further aspects to add: one is the enormous importance of high school education in Germany in the 19th century. There was a type of, indeed, all-Greek generation or generations, that were educated starting with Latin, but only in anticipation for going into Greek language, literature and culture. The background idea is that there is a special affinity between the German nation/culture and the Greek one eventually led to a certain form of elitism in the educated crowd – the kind of development of what has been typically called Kulturburgertum. We have this idea of climbing the social ladder by being educated in the right way: that, in particular, meant having studied Greek at high school, with a very standard as curriculum, all of the students reading the same text and so on. In a way, I've also been subjected to this, translating the entire Antigone in high school and the entire first part of the Iliad. This has clearly been a very long-standing tradition, which has been important for defining social order in Germany in the 19th century. There also is this moment of practical political intervention of German powers in Greece in the 19th century, with Otto of Bavaria being king of Greece for an interesting moment in history. Then, you have these important figures such as Hölderlin, who emphasized this myth of a certain affinity, interestingly, with a very non-standard image of Greek culture. This is a part of what cannot really explain but rather institutionalizes this image of Greek culture. Again, it is interesting to also take the archaeological activities along: I find it peculiar to have all these expeditions internationally, but again, with a strong involvement of German teams excavating the Greece that we now know of. In the end, there are all sorts of arguments made possible if you enrich the story by the educative institutions and the archaeological traditions: you get a rich background, explaining in which sense Nietzsche was indeed a son of his times. Of course, again, he also changed, as you also emphasize, the kind of Greece that people were relating to.
SF – Questo discorso sull’educazione al classico mi offre l’opportunità di fare una domanda fuori programma: Italia e Germania, cultura italiana e cultura tedesca, nel XIX come nel XX secolo sembrano avvicinate proprio nell’interesse per la Grecia. Caso interessante è che il corpus di un tedesco, Nietzsche per l’appunto, è stato sistematizzato per la prima volta da due italiani, Colli e Montinari. Quanto la Grecia quindi diventa non un collante, ma il collante, tra queste due culture nazionali?
GU – Sicuramente il modello del ginnasio umanistico, che in Germania nasce con Humboldt nel 1810, diventa un paradigma copiato da moltissimi altri paesi. In Italia la buona borghesia, come quella tedesca di cui parlavamo poco fa, si forma facendo il liceo classico. Questo mito ormai caduto, forse più presente in Germania che da noi, rimane in auge davvero per secoli. Per Colli e Montinari il discorso è un po’ diverso: non è tanto il legame tra i due paesi a far nascere questo lavoro, ma una semplice contingenza storica. Quando, dopo la guerra, si inizia a lavorare su Nietzsche, gli archivi sono a Weimar, nella D.D.R., luogo in cui Nietzsche è visto con gran sospetto. Montinari dal canto suo era comunista, con ottimi contatti, e arriva a Weimar con una lettera di presentazione del P.C.I, quindi godendo di enorme fiducia. Difficilmente un tedesco occidentale avrebbe avuto accesso a quegli archivi. Assieme a Colli, suo maestro, a dirigerlo dall’Italia, avviano questo lavoro per un presupposto, non voglio dire casuale, ma sicuramente legato a un accidente della storia.
PZ – I find this a really interesting question and, for me at least, still open. Both these national frameworks have of course a common moment of education; they also both have a national birth that comes about more or less at the same time – the 1860s and 1870s respectively. Clearly, until that unity arrived, you needed a foundational story to bring people together. We know how references to old times have always been crucial for older nation states. In Italy it is the Roman empire being perhaps even more important than Greece: I’ve just passed through Milan’s central station and it is full of explicit references to the Roman empire… But of course that is a fascist building! And here things get very complicately entangled for me: you do have figures with very similar intellectual profiles in both contexts, that are extremely hard to connotate. You (Gherardo Ugolini, n.d.r.) are somewhat of an expert, or at least more than me, on D’Annunzio, who’s precisely one of these odd intermediate characters, reactionary but also modernist. In national-socialism there is also this sort of nordic/germanicist fascination that complicates things even more…
GU – Effettivamente l’antichità di cui il fascismo si appropria è soprattutto l’antichità romana, mentre nel nazismo tedesco la civiltà greca viene forse utilizzata più spesso…
PZ – Maybe, in a certain sense… I mean, just look at Leni Riefensthal’s movies!
GU – O addirittura durante le Olimpiadi del ’36 a Berlino. Poco prima dell’inzio dei giochi a teatro danno un’Orestea per esaltare il Führerprinzip di Atena che decide le sorti di Oreste e l’avvento di un’era nuova di ordine e giustizia.
SF – Ricerca di un'origine, ma in qualche modo anche relativista; faccia a faccia con Dio, ma anche «rimanere fedeli alla terra!». Tutti questi interessi così sfaccettati potrebbero essere collegati all’interesse nietzschiano originario, la tragedia?
GU – Certamente sì. Già nella Nascita della tragedia, nelle primissime pagine, il discorso si allarga per dare un fondamento metafisico all’arte. Un discorso di amplissimo respiro che rimane un punto fondamentale per tutta la vita di Nietzsche: attraverso l’arte si può trovare la verità sull’esistenza, su di un uno originario che è portatore di sofferenza estrema. L’uno, in quest’ottica, si può arrivare a vedere solamente attraverso la tragedia, quando allegoricamente riflette l’esperienza del culto misterico-dionisiaco. In due parole mi sentirei di dire questo.
PZ – Scholars will never agree whether it's possible to capture all of Nietzsche. Yet, there are some hugely important intriguing motives in the Birth of Tragedy. One is surely what we have also been referring to earlier, the phrase that goes: «only as an aesthetic phenomenon as the world justified». That, clearly, is a very important motive for Nietzsche in general, but, of course, it gives art a very metaphysical dimension. This said, what I find even more interesting, and also what we are going to talk about that tomorrow, is this idea of what Nietzsche calls an intermediary sphere. In tragedy we need to combine the Apollinian and the Dyonisian aspects. But what does combine mean? Nietzsche is reflecting a lot on this combination. Indeed, using this idea of an intermediary sphere, it must be more than just mixing up things or having the one control the other. All of this is present, but he is then explaining it precisely in these terms of aesthetic phenomena. The only thing we can do is aim at a translation, which will never be perfect. The aesthetics of Nietzsche here get even more interesting, because it's not just the power of beauty, the power of plastic imagination or the presentation of the sublime. There is also, not to be forgotten, a moment of inadequacy that always requires us to strive for something else, while being conscious of our inadequacy.
SF – In conclusione: com'è per voi lavorare su un autore che, a volte, sembra quasi abusato? Nietzsche è ancora in qualche modo fonte attiva di ispirazione per voi?
GU – Questa è forse la domanda più importante. È abbastanza strano che uno studioso come me si occupi di Nietzsche. Spesso mi sono chiesto se non ci fosse qualche tipo di auto-rispecchiamento. Come molte volte accade, il caso la fa da padrone: ero a Monaco a fare il dottorato, c’erano dei seminari su Nietzsche, Wagner e la tragedia, e i miei professori mi hanno molto stimolato a lavorare su questi temi. La querelle tra Wilamowitz e Nietzsche rimane per me, tutt’ora, uno dei momenti più importanti della cultura e non solo della cultura degli studi classici: due poli che non comunicano tra di loro, inconciliabili, che hanno ragion su molte cose, ma che non arrivano mai a chiudere la discussione. È una vera e propria tragedia, se vogliamo! Questo credo sia estremamente affascinante. Se c’è qualcosa che mi ha veramente ispirato nello studiare il Nietzsche antichista, è esattamente questa idea di non avere dogmatismi e di essere spiccatamente interdisciplinare.
PZ – Well, I am not a real Nietzsche researcher myself either, but that makes it even more interesting to answer your question, because yes, I am fascinated by Nietzsche, a lot! If I try to analyze that, I guess an answer could lie in the history of his reception. Not asking what's the authentic Nietzsche, but studying the ways how Nietzsche has been used. And the other thing which is very interesting, at least for me, is reading him carefully and in detail. So, because he's such a great writer, whenever you read him in detail, you immediately get rid of all the layers that have been piled upon him and he is still fresh.
Ringraziamenti
Si ringrazia il professor Mauro Bonazzi per l’opportunità accordataci e per aver organizzato un incontro così interessante e stimolante con i due intervistati, ospiti della giornata di studio “Nietzsche e gli antichi”, tenutasi l’11/03/2025 presso gli ambienti del Dipartimenti di Filosofia dell’Università di Bologna. Ringraziamo inoltre la dottoressa Francesca Carbone per il prezioso aiuto fornitoci nello stilare le domande.
Riccardo Necci (Roma, 2001) è studente all’ultimo anno del corso di laurea magistrale in Scienze Filosofiche. Si laurea dalla triennale in Filosofia nel 2023 con una tesi in “Antropologia Filosofica”, sotto la guida del professor Roberto Brigati. Si interessa di epistemologia, filosofia morale e politica e di studi postcoloniali. Da marzo 2025 è tutor per l'ammissione ai corsi e l’orientamento presso il CESIA.