Giuseppe Condorelli insegna Lettere nella scuola superiore. Si occupa attivamente di poesia, critica letteraria e teatrale su quotidiani, settimanali e riviste specializzate. Scritti, racconti e recensioni, sono apparsi anche su “Storie”; “L’immaginazione”; “Capoverso” e, per Marco Nereo Rotelli, ne “L’Isola della Poesia” (Convegno Edizioni Quaderni dell'Isola, Cremona 2003).
E’ l’ideatore e il curatore una rassegna di incontri mensili con l’autore presso la Biblioteca comunale di Misterbianco (Catania) e di kermesse d'arte (2003 “Interlinea Doppia”, Galleria Civica d’Arte “Pippo Giuffrida” a Misterbianco; 2004 “Ethos Etna” a cura di Giuseppe Frazzetto; 2005 “P.O.”, in collaborazione con la cattedra di Plastica Ornamentale dell’Accademia di BB. AA. di Catania; 2005 con Natale Platania “Cieli domestici” a cura di Paolo Aita, Galleria L’Arte Club , Catania). Ha curato la sezione poesia per il progetto “Castelmola Città degli Artisti”. E’ l’ideatore e il curatore con Paolo Lisi - con il quale ha costituito l’Associazione culturale “Interminati Spazi” - della rassegna con l’autore “L’Isola delle Scritture” (Fondazione Mazzullo di Taormina, 2007-08). Nel 2008 ha pubblicato “Criterio del tempo” per i tipi de I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme (Bologna). Dal 2006 con l’associazione Interminati Spazi organizza e dirige insieme a Paolo Lisi il Festival IsolaPoesia e dal 2009 con lo Sheraton Catania l’happening gastronomico-letterario “L’Autore per Cena”. Due sue liriche sono state messe in musica da Mariano Deidda nel cd “Deidda canta Pavese” uscito nell’aprile del 2011. Ha curato nell'Almanacco Internazionale di Poesia edito nel marzo 2013 da Raffaelli la sezione dedicata alla poesia oggi in Sicilia. Vive a Misterbianco, in provincia di Catania.
Dicevunu: to matri
è sutta a terra
e ju che jnocchia minnicati
no' puteva sapiri
da musura rutta da vita.
N'to culleggiu c'era ciauru
d'aranci munnati
e di scocci di mennula.
Dicevunu: ora scattii
ju non m'arraggiava
non chianceva
taliava i 'ggnuni do cuttigghiu.
Do finistruni videva
macari i sbalinchi
unni anniava u ciumi.
Dicevunu: to patri
è sutta a terra.
E ju m'urriuddai a iddu
ma addoppu,
quannu a sira allincheva a casa
e a litturina da circum
pareva abbarsamata
arredi 'e sbarri.
Me patri quannu mossi
non m'arrivau a diri
nenti.
Da: N'zuppilu n'nzuppilu (goccia a goccia) inedita
Dicevano: tua madre/ è già sotterrata./ Ed io con le ginocchia scorticate/ non potevo conoscere/ la misura rotta della vita./ In collegio c''era odore/ di arance sbucciate/ e di gusci di mandorle./ Dicevano:/ ora diventi pazzo./ Io non mi arrabbiavo/ non piangevo/ guardavo gli angoli del cortile./ Dalla grande finestra scorgevo anche i dirupi dentro i quali annegava il fiume.// Dicevano: tuo padre/ è già sotterrato.// Ed io me lo sono ricordato/ ma dopo,/ quando la sera riempiva la casa/ e il trenino della Circum/ sembrava imbalsamato/ dietro il passaggio a livello.// Mio padre quando è morto/ non ha potuto dirmi/ nemmeno una parola.
D'istati a me casa
u ciauru di zammù
cattigghiava i mura.
U sciroccu s'allampava
'nta tenna ranni
unni n'ariddu rossu
saliava i so schigghi.
Non dummeva mai.
Da: N'zuppilu n'nzuppilu (goccia a goccia) inedita
D''estate a casa/ mia l''odore di anice/ solleticava i muri./ Lo scirocco moriva/ sulla tenda grande/ dove una grossa cavalletta/ spargeva le sue urla./ Io non dormivo mai.
Su chini di petri
i me casciola
supra ci scurrunu ciumi d'avvuli
ca fanu simenza di paroli.
No casciolu ci su l'occhi
di me patri e di me matri.
Tuttu chiddu ca m'arresta:
u tettu mottu do me armu.
Da: N'zuppilu n'nzuppilu (goccia a goccia) inedita
Sono pieni di pietre/ i miei cassetti/ sopra vi scorrono fiumi di alberi/. Nel cassetto ci sono gli occhi/ di mio padre e di mia madre. Tutto quello che mi resta: lo sgabuzzino della mia anima.
Dimmilla/ na parola
ca mi chiovi u munnu
su non parri.
Aoggi è bbonu:
agghiorna prestu
intra
i to razza.
Da: N'zuppilu n'nzuppilu (goccia a goccia) inedita
Dimmela una parola/ che mi piove addosso il mondo/ se non parli./ Oggi è bello:/ fa subito giorno dentro/ le tue braccia.
I gesti di mio padre
cucivano la notte.
Le aste dei miei occhiali
a braccia conserte
dormivano altrove.
E il mondo era sospeso
tra i miei piedi nudi
e le sue mani
tra l'occhio e la tempia
nel suo bacio muto
che non dura
ancora.
Da: Desinenza in nero (inedita)
Postilla ad una lettera ad un amante morta
La bocca declina
senza nessuna verità
la parola addio.
Si disgrega il cielo
in un frastuono di polmoni.
La carne è ormai preda
dell’umiltà dell’argilla.
Per sorte non ci tocca più
salvezza, nessuna parola
griderebbe la nostra non-figlia
assediata dal silenzio.
Da: Desinenza in nero (inedita)
Stormiscono le nostre voci
lungo i cavi. Ma nella notte
c’è una sfasatura
una piega del tempo
che le propaga oltre
le sequenze degli occhi
ed è per questo che il loro
calore rauco fugge
il rancore cablato del silenzio
e il sonno picchettato
delle luci gialle, in attesa
ai bordi del mattino.
Da: Desinenza in nero (inedita)
Bisogna lavare i morti.
Sigillare con gesti esatti
e teneri il silenzio.
Le mura che hanno eretto
screpolano il tempio
delle loro mani, luce
implacata del tempo.
Bisogna vestire i morti
coprire le grate delle vene
dove il sangue è l’asfalto oscurato
del buio, non lasciarsi distrarre
dalle domande degli specchi e
dal rumore degli spiccioli nelle tasche.
Bisogna vegliare i morti
le vaste zone d’azzurro
nell’acqua chiusa dei loro occhi
lo stormo sbiadito delle ultime parole.
E’ necessario.
Sia così.
Da: Desinenza in nero (inedita)
Perché l’infinito arriva tardi
nel delta delle strade,
sulla parola che divampa.
Il sangue risorto del mondo
coagula la sua
desinenza in nero
nella bocca dei cortili
dove fioriscono le storie
e la luna segna
il costato del sonno.
Ma le notti non finiscono
e il giorno non è mai
completamente nostro.
Da: Desinenza in nero (inedita)
La sera sono le molecole
della tua voce nel giro
del mio sangue.
La sera è questo passo
dentro la mia carne.
La sera è questo grumo
di luci alle finestre,
il momento sui marciapiedi,
- l'abat jour di mia madre
dolce scheggia nel petto.
La sera è questo tramonto
che dissangua la strade
è il mio passo fermo,
i tendini rilassati, gentili.
La sera è questo martello
nei miei polmoni
che è
il tuo respiro
quando
mi manca.
Da: Desinenza in nero (inedita)
Il freddo arrotola la sera.
E' l'erosione del giorno
compiuta nella tua voce:
la città silenziosa come
un fossile antichissimo
un coagulo orizzontale
di luci e silenzio.
Fuori infuria il buio.
Lo tengo nelle mie pupille
cosicché i tuoi occhi
non soffrano la notte
e il tuo sonno
non si spezzi.
Da: Desinenza in nero (inedita)
La città ha una luce affilata,
i suoi rami sono i capillari
del cielo. Gli incroci
hanno nostalgia
della neve e i cortili d’estate
inseguono le divinità
dello scirocco oltre i palazzi
e le edicole notturne.
I morti chiamano invano
dalle tombe d’arenaria,
gettano una pietra
all’ombra del primo passante
smaniano per un gesto
per la voce che li restituisca
all’odore del pesce
e al rumore delle tazzine nei bar.
Dalle lave dove scorre
il sangue della ginestra,
dal verde estremo dei giardini
la città si apre sui muri
che estinguono il mare.
All’alba, quando conta
lo schianto dei cavalli lanciati
sui controviali, la città sogna
finalmente il fiume, traccia
sul cemento dei moli i nomi
di chi resta, le latitudini e il vento
di ogni viaggio e supplica
per tutte le partenze
mentre sulle panchine
le sillabe dei baci
sbiadiscono
in un filo di mani.
Da: Desinenza in nero (inedita)
Forse una foresta nel sangue
incisa nella corteccia
coi nomi di tutti
- spore di ossa dilagate
sulla bianca pietra
della curva delle maree.
E la fine sarà indivisibile
per queste cellule
metà parola l’altra freddo
perché non c’è tregua nella morte.
Pulsano intanto i quasar
miliardi di anni fa.
Da: Desinenza in nero (inedita)