Enrico Fraccacreta

Enrico Fraccacreta è nato a San Severo (FG) nel 1955, da padre pugliese e madre emiliana. Negli anni settanta si coagulò tra San Severo ed il Gargano un piccolo cenacolo culturale dove crebbe e maturò l’importante amicizia con il disegnatore Andrea Pazienza. Dopo l’esperienza universitaria a Firenze e Bologna ed il confronto  con il movimento del settantasette, torna a San Severo. Laureato in Agraria è appassionato di botanica.
Nel 1995 pubblica presso Scheiwiller, Milano, “I nostri pomeriggi”, sette poeti del premio Montale. Nel 1996 “Tempo medio”, Bastogi, Foggia, con l’introduzione di Maria Luisa Spaziani. In prosa pubblica nel 2001, Stampa alternativa, Viterbo, la biografia narrativa di Andrea Pazienza: “Il giovane Pazienza”, con l’introduzione di Michele Trecca (cinque edizioni). Nel 2004, è coautore di “Geografia della memoria” (BancApulia, San Severo). Nel 2006 cura con Sergio D’Amaro e Salvatore Ritrovato una raccolta di poeti dauni: “Cartoline dal Gargano” (Levante, Bari). Nel 2006, pubblica la raccolta di poesie “Camera di guardia”, Quaderni del Battello ebbro, Porretta Terme, con uno scritto di Loretto Rafanelli, premio Alpi Apuane, premio Arché. Nel 2012 la raccolta di poesie “Mademoiselle”, Ellerani, San Vito al Tagliamento, con la prefazione di Marina Moretti, finalista premio Lionello Fiumi. Collabora con giornali e riviste culturali. Poesie e recensioni sono apparse in importanti riviste nazionali (Astolfo, Incroci, Poesia, Clandestino, Le voci il coro, Proa Italia, Punto) e straniere (Salina, Gradiva, Calicanto, Ómnibus). È presente in antologie nazionali, argentine (Proa, Poesía De Ida Y Vuelta) e messicane (Poesía italiana contemporánea, a cura di Emilio Coco). Sue poesie sono state tradotte in spagnolo (Emilio Coco) e tedesco (Eva Taylor). È tra i circa sessanta poeti italiani chiamati a leggere nel 2012 in Rai 1. Nel 2015 uscirà la prossima raccolta di poesie: “Tempo ordinario”.
Avverte la necessità della poesia per un confronto con la lezione del tempo, nel paesaggio-passaggio generazionale mutato visibilmente ed invisibilmente nella piana pugliese e nella società.

(rimase con la terra)

 

Rimase con la terra
il totem delle nostre avventure,
il vecchio riflesso del pomeriggio
ci parlava:
via dagli stazzi sicuri
meglio una luce di traverso
appesa sui tratturi.

Qui la bandiera rossa
del fuoco nelle stoppie
sventolò molti anni fa
il suo giudizio morale.

Fummo ragazzi stanchi
le ombre oneste della masseria
furono le nostre fortificazioni.
Si allungarono nel mare dei campi
le nostre potenti debolezze.

Poi passò nel pomeriggio scelto
il faro che va sigilla e torna
guarendo le sue zone d’ombra.

E al filo d’orizzonte ritornammo
sui fianchi dell’attonita campagna
nel giro del vecchio cormorano
che sbaglia il vento del Gargano
e s’apre nel volo più vissuto

le ali rinfrescate dalla sera
un grumo di refolo mancato,
il brivido dove non riuscimmo.


Da Camera di guardia

(quando passerai)

 

Quando passerai il guado della giovinezza
porterai con te promesse ancora da tradire,
diranno i più scaltri: “troverai il bosco
e la campagna
bisbigli soavi tra le fronde
e solchi da rimaneggiare,
i cinguettii ti chiameranno
e i grandi alberi si stringeranno intorno
dandoti i brividi delle visioni
l'assedio delle luci senza contorno”.

Non ascoltare
specchiati nel riflesso dell'aratro
quando esce dalla terra
è terso più di qualsiasi altra cosa,
come il lavoro.
Le impronte silenziose del selvatico
mormoreranno di luoghi misteriosi,
non ascoltare
tendi la schiena verso il cielo
dove s'inarca tutta la campagna.


Da Camera di guardia

(le foglie che cedono)

 

Le foglie che cedono a settembre
la forza dei loro nomi,
cadono sul vecchio calendario
arrossendo al tempo trascorso
delle indecisioni.

Le foglie che cambiano i colori
e lasciano spazi induriti
ai nuovi arrivati,
sono biglietti staccati
per altre visioni.

Le foglie sprecate dal vento
che atterrano in campagna,
non sono come te se non hai appuntamento
con la terra
ma con quel che c’è dentro di te

prima di spiccare il saluto
danzante, di foglia appassita.


Da Camera di guardia

(hanno parlato a lungo)

 

Hanno parlato a lungo
la terra e le stagioni,
hanno vagliato la pioggia, le malattie
spiato il lavoro, l’accestimento

sono semplici viandanti
che stanno riflettendo
nell’aia delle risoluzioni,
con le braccia inerti stanno aspettando

giugno, il tempo ci ha avvertiti
i campi sono pronti,
sorveglia l’aria attonita
afferrala, col pugno di chi semina

sarai nel culmo solido
scampato dal dovere,
il grano che sussurra ai trebbiatori
il suo biondo dispiacere

sarai la morte piena, col capo reclinato
non la spiga bianca
che torreggia al vento
la sua vuota vanità

sarà il discernimento
la tara e il peso netto,
se quel ch’ebbe da dire
al seme è stato detto.


Da Camera di guardia

(tu stai inquadrato)

 

Tu stai inquadrato
nell'ultimo giro di periscopio
nonno.
Ho creduto a grandi visioni
alzando lo strumento
nel fuoco della vista.

La pulizia del vetro ogni mattino,
l'ansiosa visuale di tutti i gradi
gli angoli e gli scalini
sulla distesa d'acqua nella cantina.

Promontori del primo piano
arcipelaghi di parenti vicini
chissà quanto lontani,
penisole inabitate di figli
golfi di genitori agitati

piccole tempeste tra le pareti
e velo d'acqua che sale,
naufragi alle isole dei capelli
che lei ha saputo lanciare,
sbarchi vissuti dietro le tende
che lei ha saputo scostare.

Le aspidistrie del portone
hanno perso il loro smalto,
al piano di sotto tua nipote
parla una lingua muta.
La progenie ha il capo chino
dei gerani al primo inverno.

Pilota nonno
nonno ufficiale del sommergibile,
cosi lontano da quegli anni,
ora t'avvicini ad incrociare
i vasi allagati del ballatoio,
danzano sulle ragnatele
per galleggiare.


Da Camera di guardia

divisioni

 

Adesso che ognuno a proprio modo aspetta
e un’istantanea o la semplice scritta
t’avrebbe troppo imprigionato
quel cespuglio lì sulla destra innamorato
è tuo padre, lo vedi dal periscopio della croce
sopra la coperta di trifoglio
lo stampo di un lieto ciclamino

atterra tutti i giorni con le gazze
per schiodarti alla terra o per guarire in alto
tra i riverberi e le penne bianche e nere
fermo sotto l’angolo del vetro
dove i morti si specchiano voltati

trasmette da una casa esterrefatta
screpolata dalla tua mancanza
la carta da parati che si stacca
sul filo delle viole sorridenti

attende le avanguardie del mattino
quei cani smagliati nelle fosse
dal manto pezzato di vaghezza
per darti le ultime notizie:

“hanno scrollato tutti i ricordi
i destrieri delle solite omissioni
calando a pelo di boscaglia
dalla scala della nostra appartenenza
hanno chiamato da tutti i rimpianti
i compagni della tua assenza
hanno aspettato tutte le piazze
bagliori di strade interrotte

è piovuto tutta la notte
il rimorso delle nuvole in alto

ha oscurato tutte le volte
il buio del tempo ordinario
il freddo passaggio di coscienza

di una luce remota nella camera
che una sera lontana sulla riva
punteggiava di lumini l’altra sponda
e tu eri un ragazzo che chiedeva
se un sogno può rubare l’altra parte”

ora un concerto di preghiera
spinge la vela che riparte
innalza una scaglia di pianoro
cattura il primo raggio e lo nasconde
tutte le volte creduto l’orizzonte

quando al buio risplende
questo silenzio della terra
degli incroci dei sussurri dei bisbigli
della bestia che morde sul pendio
e beffarda si volta, scampanella:
non hai trovato nulla ancora
il vento s’attarda nella nebbia…

oggi lo stormire dei lecci fuori dalla vetrata
è il soffio dell’album di tua madre
viaggia nelle foglie stagionali
nelle foto del tuo compleanno
dal flash sorridente ‘56
alla visita curiosa di un signore
che ancora non ricordo o non conosco…

si è sfilata tutta sul cuore
la collana delle perle smarrite
adesso è tempo di partenza
di mesti cherubini raccoglitori,
arrivano al discorso della sera
un angelo ha corretto le parole
la voce rintocca nell’affanno

è passato un anno


Da Geografia della memoria: poesie per Andrea Pazienza

(attraversi la strada del teatro)

 

Attraversi la strada del teatro
l’incontro reclama un palcoscenico
i libri che stringi sotto il braccio
il tuo foulard quasi nascosto
il taglio dei capelli inquadrano nel volto
le prime cose belle da non far vedere troppo
nell’aria che condensa qualcosa di importante

ma tu non sei altezzosa non siedi
sui denti delle stelle
il tuo sorriso è solo ironico
sventaglia l’aria intorno con le ciglia
la felce sui lamponi ti somiglia
se allunga lentamente le sue foglie
si muove e profuma il sottobosco

per le talpe e i passeri dei greti
che annusano nel soffio del mattino
la prima sbornia di segreti


Da Mademoiselle

(mademoiselle)

 

Mademoiselle
quando arriverai alla tua destinazione
sarò già fuori dal mio piccolo vissuto
dalla cella del tempo imprigionato
partirà il saluto degli uccelli migratori

se le visioni fossero fedeli
salirei dagli inferi pur di accompagnarti
sotto le stelle dal battito automatico
come nel sogno dei nostri padri

non voltarti per vedere se ci sono
il tempo dei miracoli è concluso
ho rubato un po’ di gioie per trent’anni
piccoli brillanti del tuo viso
riportando alla finestra le parole

non aspettarmi alla svolta celestiale
informati più in alto per sapere
di gazze travestite
che vanno in paradiso


da Mademoiselle

(alle ore diciotto)

 

Alle ore diciotto qui il vento finisce
di gonfiare le vele sempre più confuse del giorno,
ma dev’essere il tempo giusto per uscire fuori
e sorprendere le prime bacche, delicatamente,
come se cercassimo l’amore degli altri.
Con le mani piene di terra già calda
si resta ad attendere, lontano da quella confusione,
l’attesa d’amore è questione di tempo
se il tempo è l’amore
è qui che restiamo.
Fossi stato più giovane sarei venuto a cercarti
avvicinandomi al recinto duro che chiude la terra
duro come la sclerosi dei nostri peccati.
Avrei dato un significato a questo pomeriggio,
poter stare a vedere il giorno terminare
e sentirlo parlare: vedi resta solo il dieci per cento
dell’amore che avresti potuto dare oggi.
Sarei venuto a cercarti, dove tutto inizia
e tutto è solitudine, e ti senti infinitamente abbandonato
con i morti che neanche ti salutano
e pure il tempo vuole dirti addio,
ed hai paura d’uscire da lì perché sta scendendo il buio
come se il tempo stesso dicesse: io non ti ho mai conosciuto.
E tutti gli anni passati all’improvviso li vedi nel cumulo
di foglie secche pronte per la decomposizione
al cimitero dietro i cedri e i cipressi alti,
ogni coppia di rami secondari al vento finito
negli ulivi della Daunia è il sorriso di mio padre
che dice di camminare ancora
e vivere, scrollandosi maledettamente tutto ancora
e uscire nuovamente al sole con l’occhio delle gemme
tagliato sulla fronte quando un altro maggio le sdogana.
Un’altra volta tra i profili delle piante
quando il primo soffio del mattino
ne sa dirne il nome.
Sempre, anche se c’è confusione
senza il bisogno d’interrare i bulbi nuovi
perché qui da noi un papavero bastardo
è il sangue buttato dalla terra ferita,
che ancora si rinnova.


(inedito)

(vedi come muta la scena)

 

Vedi come muta la scena
le acque stanno cambiando il colore
scende come una piccola oscurità, l’autunno.
Così la bellezza ci è passata accanto
ora dobbiamo solo uscire con i segreti
e andare nel posto che sappiamo,
resteremo un po’ calmi ad aspettare.
Tu non ti agitare se prima della sera
l’aria diventerà immobile,
è sempre così dalle nostre parti
non ci sarà nessun vento ad accompagnarci
nessun fruscio, la verità arriva nel silenzio

non trasalire se passeranno piccole luci
nell’imbrunire, saranno lucciole,
è sempre così dalle nostre parti
in questa stagione volano un po’ e poi si spengono
come le povere idee che ci sono restate.
Nessun rumore, ce ne accorgeremo solo dalle impronte
fresche sulle prime foglie cadute che loro, piano
si stanno radunando attorno a noi
e solo dentro noi sentiremo le loro voci.
Se poi noterai qualche goccia di rugiada sulle foglie
allora forse verrà anche Andrea
e tu cerca di tenere a bada la commozione
quando chiederà perché l’abbiamo lasciato solo.


(inedito)