Rosita Copioli

Rosita Copioli è nata a Riccione e vive a Rimini. 

Ha scritto libri di prosa e saggi (tra cui I giardini dei popoli sotto le onde, Guanda, 1991, Il fuoco dell’Eden, Tema celeste, 1992, Ildegarda oltre il tempo, Raffaelli 1998; La previsione dei sogni, Medusa, 2002, Il nostro sistema solare, Medusa, 2013 (di prossima pubblicazione due volumi: Acque della magia. «L’inamoramento de Orlando» di Matteo Maria Boiardo; Fellini e i libri); drammi, studi storici, e i seguenti libri di poesia: Splendida lumina solis, Forum, 1979; Furore delle rose, Guanda, 1989; Elena, Guanda, 1996; Odyssée au miroir de Saint-Nazaire, MEET, 1996, Il postino fedele, Mondadori, 2008; Animali e stelle, Stampa, 2010; in uscita nel 2015 un’altra raccolta, per Mondadori.
Ha fondato e diretto la rivista di poesia «L’altro versante» (1979-1989). Ha curato opere di W.B. Yeats, Saffo, J.W. Goethe, G. Flaubert, G. Leopardi. Ha collaborato (e collabora) a quotidiani, tra cui «Repubblica» («Mercurio»), «Il Giornale» (di Montanelli), «Avvenire».

Delle letture ricevute ricorda:
Roberto Carifi, Per Rosita Copioli, «I quaderni del Battello ebbro», 14,15,16, Porretta Terme, 1995, pp. 23-24.
Pietro Citati, L’oscura vita che la poesia esalta, «La Repubblica», 10.12.1996; In quei versi l’Oceano selvaggio, «La Repubblica», 25.6.2008.
Giuseppe Conte, prefazione a Splendida lumina solis, 1979; Filologia della passione, «I quaderni del Battello ebbro», cit., pp. 25-26.
Maurizio Cucchi, recensione a Splendida lumina solis, «Tuttolibri», 21 luglio 1979.
Riccardo Emmolo, Il sacrificio della bellezza, in Memoria e cecità, Moretti & Vitali, 2010.
Enrico Gatta, intervista, «La Nazione», 6.3.1992.
Adriano Napoli, Il sogno dell’“infinito”, in Le api dell’invisibile (Poeti italiani 1968-2008), Milano, Medusa, 2008, pp. 108-116.
Giancarlo Pontiggia, Una lettera sulla pazienza. 3 dicembre 1979, «I quaderni del Battello ebbro», cit., pp. 27/28; Elena, nel nome del fuoco, «Avvenire», 23 novembre 1996; Archetipi e luce ricondotti all’unità divina, «Avvenire», 21 giugno 2008.
Lucia Re, Poetesse italiane contemporanee, «I quaderni del Battello ebbro», cit., pp. 29-32.
Renata Treitel, Introduzione a The Blazing lights of the sun, Sun & Moon press, Los Angeles, 1996.
Stefano Zecchi, «Furore delle rose». Interrogare una foglia, «Il giornale», 12.2.1989, e «I quaderni del Battello ebbro», cit., p. 33; Eterni moti dell’anima, «Il giornale», 30.6.1991.

Beltà

 

Guarda, tutto ritorna, anche i segni nel muro
e dietro le siepi gli occhi dei nostri paradisi
senza ragione d’esserci volgono a tornare,
ritornano per non dimentica, quanto trae
ciascuno il suo piacere - e adspice:
anche se a me tuttavia: perché la sera volge,
e l’anno fermenta nelle case, e si dispongono tutti
ad uscire i ragazzi sulle strade, e scendono tutti
per il loro amore: chi si guarda e chi, fuori
del buio, nella luce si prende e gli occhi
puntati nel cuore della luce: il silenzio
brillante della luce, l’ascolto.
Chi non si è accorto che non c’è tregua,
e che incessante brucia, ciascuno a suo piacere.
Così, dopo che ha visto, ciascuno la sua luce,
brucia la propria insania nell’ombra, e riesce,
nel lucore, come vite frondosa.
Mentre parliamo il silenzio volge nella sera
et sol crescentes descedens duplicat umbras:
e tuttavia brucia, e richiama
una stagione non nata, la stagione che non
volge né ritorna, il passo senza misura,
di anno senz’anni, e semprevivi,
piante perenni, che come succhia il tempo
le sue linfe gonfie si gettino al rigoglio
dell’amore che brucia.

 

da Splendida lumina solis, Forlì, Forum, 1979.

Syringa

 

Guardò per l’ultima volta il selciato
di sotto, i piani alti delle case di fronte,
il campanile, i tetti. E si mosse.
Serrò la porta, desolata, entrò
nell’ascensore, salì sul tassì, prese il treno.

La città focata e smorta la lasciava.
E pareva che la Tacita
avesse sigillato ogni timbro di canto,
nemmeno un rombo, un calpestio.

E lei diceva: «Amore, passavi ovunque
in me, soffiando il brivido delle fiumane,
l’alga di lago, il fogliame rosso
delle foreste cedue, le nevi musicate
d’echi di corpi inseparati.

Non tacere. Voglio ricordare.
Fammi risuonare, di dolore muta mare e vento.
Il dolore è il più forte, passa in me con lui,
risuona, risuona».

 

da Furore delle rose, Milano-Parma, Guanda, 1989.

Il firmamento

 

Ragazzo,
con il cuore che sgorga lacrime
come il cuore del dolore,
e il to pianto è una cascata
di cristallo senza fine,
ascolta le mie parole di artigiano,
che lavora con la pelle e con il tempo.
Il canto, che è come il tuo pianto,
va puntato, stretto, fissato,
fermamente battuto ai suoi punti celesti:
gli corrisponde un firmamento.
L’arte è inchiodare il firmamento:
non ti è già dato, dev’essere trovato:
sei tu che lo dovrai
rendere reale.

 

da Elena, Milano-Parma, Guanda, 1996.

L'isola di Crono

 

Giacevo addormentata come Crono
davanti al porto di Saint-Nazaire.
Andare da una riva all’altra
controllata da cento braccia
prigioniera dei miei demoni: era
il sogno della vita a continuare
guardandomi con occhi ciechi.
Una telefonata quasi per caso
ha ridestato il tempo.
La vita no, la vita se n’è andata,
era già via, da tanto.



da Odissea allo specchio di Saint-Nazaire, Saint-Nazaire, 1996.

Teti

 

Un’alba nella secca del mare ho inciampato
in un grumo molle scuro, come una medusa.
Si scosse, si levò, ingigantì, piagata. Della sua veste
non c’era vestito più nero.
Teti, solo quella veste ti rivelava.
Eri piagata, informe, morsa dai pesci e dai granchi,
una crosta di madrepore e di sale,
un corpo qualunque di annegata,
rigettato dalle onde.
Ma eri ancora Teti, eri stata padrona del fuoco,
con il battesimo del fuoco rendevi immortale tuo figlio,
se non c’era Peleo, il tuo marito stolto, il mortale.
Anche così piagata più di una morta, informe, scacciata
dall’Olimpo e dal mare, grumo di puro dolore,
fatta di sale come una dea della morte
o della sapienza dicevi:
“Achille, figlio mio, mai abbastanza ti compenserò per averti fatto nascere
per colpa degli dei, contro la mia volontà. Volevo che fossi immortale
come me, tu sei sempre stato il mio specchio,
e tu lo vedi, ora espio questo dolore eterno, mi struggo e mi dissolvo,
madre delle lacrime,
tua madre dalle acque, che non ti ha salvato con il fuoco,
eroe nella morte, che piangi
la luce.”



da Il postino fedele, Milano, Mondadori, 2008.

Come il postino più fedele

 

Tu mi dài delle notizie.
Io le ricevo. Come il postino più fedele
le recapito all'indirizzo giusto.
Qui l'indirizzo è mio,
ma il messaggio è sbagliato.

Il limite non è limite
lo varca di colpo la mente
la mente sale, va sempre più
verso te, che limite non sei,
che sei essenza, e irraggiungibile.

 

da Il postino fedele, Milano, Mondadori, 2008.

Tutto ciò che è più atrocemente stupido ama replicarsi

 

Le ripetizioni
somme ritmiche del tempo,
ci sono note.
Odiose, insopportabili,
le gabbie
che nemmeno Borges avrebbe inventato
ci si ripropongono con gli attentati.

Lo sapevo.
Da tempo, di anno in anno,
di decennio in decennio,
tutto ciò che è
più atrocemente stupido
ama replicarsi.
Né il macabro né l’orrido
si sorvola.
O immaginazione!
Tutto si replica, e qui
si soffoca.

II
La ripetizione è il principio del piacere.
Ma anche quello della noia.
Il principio dell’assuefazione
da cui dipende il mondo.
La ripetizione compulsiva, o compulsione,
è il principio della perversione.
Tra piacere e noia non si sa
da che dipenda il mondo, o la perversione.

III
Saranno le ombre la ripetizione?
Sì sì, lo saranno, una Folie
esplosiva assolutamente frivola
come lo sono i kamikaze.

Fotografati prima di morire
santini osceni perché si mostrano
loro, con l’impudore di chi vuole imporre
una santità impudica, contro l’uomo.

IV
Non sono io che commisero
il sacrificio. No. Lo apprezzo.
È la violenza gratuita, come quella diversa
dell’anarchico, che respingo. Contro l’uomo.

Posso capire tutta la lotta.
Non la viltà. Faccio ancora parte
di chi lottava per l’amore, con onore.
Non sono simboli fatui. Sono noi.

Anche chi fu onore sbagliò.
Ma chi fu vita e onore non sbagliò
sulla croce. Quella fu vita.
Quello fu l’onore.

V
«Vorrei che le nostre piccole nascite e morti
che queste ripetute perdite, consolazioni,
si potessero ripetere in noi, in un amore ibernato
in questo tempo così dolce e freddo».

Che voce è questa che avvalora la perdita?
Che moltiplica le sconfitte
le tue morti ripetute?

Se uno crede che tutto possa ripetersi
sbaglia. Uno è il Tempo. Uno è l’Uno,
Uno è il Passaggio. Uno sei tu, come me,
in Noi.



da Animali e stelle, Varese, Stampa, 2010.