Guido Monti (San Benedetto del Tronto, 1971) si è laureato all’Università degli studi di Bologna. Sue poesie sono presenti in Almanacco dello Specchio 2009 (Mondadori), «Italian Poetry Review», «Paragone», «Nuovi Argomenti». Ha pubblicato Millenario inverno (Book editore, 2007, premio Contini Bonaccossi) con postfazione di Alberto Bertoni, la plaquette fuori commercio Eri Bartali nel gioco (Grafiche Fioroni, 2008) a cura di Eugenio De Signoribus, Accademico di nessuna accademia. Conversazioni con Gianni Scalia (Marietti, 2010), Fa freddo nella storia (Stampa, 2014). Già redattore della rivista «In forma di parole», collabora alle pagine culturali della Gazzetta di Parma e di vari periodici letterari. Ha la curatela dal 2013 di importanti eventi poetici per il comune di Reggio Emilia e il Teatro Sociale di Gualtieri.
Mare grande questo Ligure e a largo
l’oro scintilla coi gozzi le cime, le vele
era al mare quando sfinito d’amore ti leggevo
il Caproni più essenziale e la fitta dicevi essere
la mia fina liberazione
nei natali poi eccoti ricurvo sui tavoli con le carte
e le mani che in cerchio s’aprivano in ventaglio
di semi e colori
mi ritorni a volte anche nelle piazze bolognesi
col lambrusco e i nostri contorni controtempo
come quelli di Morandi il pittore sul passeggio
furioso di Rizzoli la via
di solito andavamo raso raso la strada provinciale
sino al bar del porto vecchio a mischiarci con le facce
abbandonate di pescatori e marinai scamiciati
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
La mattina raccontavi storie tra stradine
e torri del paesino, nella stanza poi muovevi
il burattino con l’aereo di carta a piroettar dal soffitto
ma la tua voce aveva (lo sentivo) quel tono
delle cose tristi e finali, un pozzo nero
che bussava e ribussava sul mio udito
distratto però dalla grazia della fantasia iniziale
una sera me ne andai lontano senza te saltavo
come il drago tra viuzze ed erbine, sviavo il tempo
(che bello) di questo paese al margine di un paese
chiamato Italia invaso dalle cose materiate in vendita
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Ti vedo ancora a Bologna in quel sorriso impazzito
nel rincorrersi del portico, col corpo intaccato vai
a scatti, stretto a me, su verso la stradina ingoiata
dalla festa di San Luca hai la voce che varia
come il saliscendi dei tuoi appennini
andiamo e per via chiamata Senzanome
ti si apre una pace che va col tuo silenzio
sin sotto le mura di porta Castiglione
ma la fine di ogni strada avanzava e noi
nel sentirla come tesi a ricacciarla
ora, anche ora, che cammino dopo tanto
coi tuoi Canti sottobraccio nella via de’ Carracci
i pittori, sventrata dall’alta velocità
tu diresti per la fetente umanità
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Vanno i rumori tra le stanze si accendono
in duetto d’ombra e luce, col mattino poi
il rivenir delle voci
e la tua mano che esce da tutto questo cozzare
di materia su materia per poggiarsi come a scudo
di Dite sul mio corpo attorcigliato in gironi e gironi
di lenzòla ora aeree con te di sopra lo Stige
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
(Sta tra versi d’animali alla finestra
e burattini di bacucca alla soffitta
cresce con l’angolo di spazio
sopra il cerchio d’oblò)
D’inverno l’uomo dalla mano fredda entra
e mi coglie la fantasia che è attorno
calza il diavolotto e la testa cornuta a rosso
si rigira col corpo tozzo e coda topesca
lo sfila e il luciferino va a terra
agita poi il cherubino che và a danza nell’alto
e melodioso viene il paradiso lo depone
e s’affloscia con l’inchino e dopo il teatrino
la mano mi prende voliamo nelle stanze scorticate
dai camini e la cacciagione e le storie attorno
delle lingue
poi nei vuoti serali come velluto sfila anche
dal tessuto finale del reale, paonazza dondola
tra fuoco e stipite… mano manina tu notturna
a girarmi e rigirarmi sul capo
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Ti chiedo, Giorgio, i crescenti anni
d’alta meccatronica sono sempre
ad un punto iniziale o finale?
lo sguardo, vedo, schiacciato sul grand’angolo
d’altro e altro cemento armato, non cerca più
affamato lo sfondo che a volte arrancando
di gamba nell’oltre pedemontano mi spunta
sui giochi d’ala stretti tra la fine del giorno
e le colline dorsute
intanto, dicono le cronache, i soliti cortei
dei poveri anno domini 1900, 2000 sfilano
in festoni sfioriti, carte dell’ultimo giro
nel crescente secolo consumino
sai nel tempo ultra-positivo il salario si fa
cifra residuale sui diritti quesiti novecenteschi
tutto non dice solo esiste e finisce
mi ribatte la voce che toccando va
pietre, alberi, una lama sento, il suo tono
sulle acque (acciarine) dell’espansa modernità
come è nudo il tuo principio che porta vocetta
dato per segni tanti nel fu tempo progressivo
nostro, venivi da te a me con quei sorrisi
intermittenti sulla notte pesta del sentiero
brecciato dei limoni
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
A notte seduto sul muretto bucato a glicini
Brunetto a bocca aperta ascolta la vecchia in nero
(è il momento sulla terra scura
del soffio del barbagianni)
m’inizia la storia e l’occhietto bianco le scatta a salti
di rosse volpi e sento che tutto vicino a quella testa
d’ebano rattrappisce nel brivido
mira con l’insecchito dito i cipressi
sull’orlo del cimitero e urla col dialetto
alle voci ammucchiate dentro quel fitto
muove poi la testa a bruco su di me
col labbro di fuoco e il fiato pesto dice
di essere richiamata dal quel tramestare
d’essere strega e sputare dai rami
all’innocenza dei passanti
le guardo la pupilla rigirarsi a perdizione
tra terra e cielo e il respiro le soffia sul circolino
dei glicini alitandomi dietro a risate sghembe
unghia appuntite
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Il ruscello del paese, il pian di granito, il batti
e ribatti dei panni
il sole è uno spillo sulla sua schiena tutta ossa
per poco l’alza e il dolore vertebrale
le mangia disco e attesa
mentre passo col saltello, mira seria il mio battere
le ginocchia in movimento e ritornello di filastrocca
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Eh caro Pino
questi anni, passati così, a grattare quel vuoto
oramai dilagato sui di te che a volte però mi torni
a far capolino tra il secco delle crepe del tempo
e ora in questa via chiamata Pietralata, coi bar
pieni di jack pot e giovani prostitute, mi ribattono
le tue mani sul banco dei bevitori battono
con la mia bocca appena aperta a seguirti
sul filo fermo di un sorriso
ora che la languida rumena, cattura l’omone
con lo sguardo del ventre e lo ributta nel laccio
delle stanze della Cerere perduta, anch’io mi butto
ma per strada, tra le voci, ecco la tua, giochicchia
sulla svolta di ogni mio bivio
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
La vecchia seduta è una graticola di rughe
capello cenerino, talco anni trenta
quasi ad esumare un novecento iniziale
apre bocca, la pelle tira, le parole son storie
l’occhio riprende lo scatto del tempo, le dita
pennelli torsuti, segnano vie, castelli e nel giro
d’aria ecco il viandante, la sua traccia d’amor perduto
mi dice poi qualcosa di ultimo e per l’omino
di storia è notte più fonda, un perdersi di tutto
nel buio del possibile finale
e la bocca torna una morsa, le braccia una croce
Elda quante lacrime hai dato alla vita, te ne andavi
sempre dietro il racconto col civettare tra i rami
Elda, mia Elda perduta, infiabata
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)