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Mare grande questo Ligure e a largo 
l’oro scintilla coi gozzi le cime, le vele
era al mare quando sfinito d’amore ti leggevo 
il Caproni più essenziale e la fitta dicevi essere 
la mia fina liberazione 
nei natali poi eccoti ricurvo sui tavoli con le carte 
e le mani che in cerchio s’aprivano in ventaglio 
di semi e colori
mi ritorni a volte anche nelle piazze bolognesi 
col lambrusco e i nostri contorni controtempo 
come quelli di Morandi il pittore sul passeggio 
furioso di Rizzoli la via
di solito andavamo raso raso la strada provinciale 
sino al bar del porto vecchio a mischiarci con le facce 
abbandonate di pescatori e marinai scamiciati
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
La mattina raccontavi storie tra stradine 
e torri del paesino, nella stanza poi muovevi 
il burattino con l’aereo di carta a piroettar dal soffitto
ma la tua voce aveva (lo sentivo) quel tono 
delle cose tristi e finali, un pozzo nero 
che bussava e ribussava sul mio udito 
distratto però dalla grazia della fantasia iniziale 
una sera me ne andai lontano senza te saltavo 
come il drago tra viuzze ed erbine, sviavo il tempo 
(che bello) di questo paese al margine di un paese 
chiamato Italia invaso dalle cose materiate in vendita
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Ti vedo ancora a Bologna in quel sorriso impazzito 
nel rincorrersi del portico, col corpo intaccato vai 
a scatti, stretto a me, su verso la stradina ingoiata 
dalla festa di San Luca hai la voce che varia 
come il saliscendi dei tuoi appennini
andiamo e per via chiamata Senzanome 
ti si apre una pace che va col tuo silenzio 
sin sotto le mura di porta Castiglione 
ma la fine di ogni strada avanzava e noi 
nel sentirla come tesi a ricacciarla
ora, anche ora, che cammino dopo tanto 
coi tuoi Canti sottobraccio nella via de’ Carracci 
i pittori, sventrata dall’alta velocità 
tu diresti per la fetente umanità
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Vanno i rumori tra le stanze si accendono 
in duetto d’ombra e luce, col mattino poi 
il rivenir delle voci
e la tua mano che esce da tutto questo cozzare 
di materia su materia per poggiarsi come a scudo 
di Dite sul mio corpo attorcigliato in gironi e gironi
di lenzòla ora aeree con te di sopra lo Stige
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
(Sta tra versi d’animali alla finestra 
e burattini di bacucca alla soffitta 
cresce con l’angolo di spazio 
sopra il cerchio d’oblò)
D’inverno l’uomo dalla mano fredda entra 
e mi coglie la fantasia che è attorno 
calza il diavolotto e la testa cornuta a rosso 
si rigira col corpo tozzo e coda topesca
lo sfila e il luciferino va a terra 
agita poi il cherubino che và a danza nell’alto 
e melodioso viene il paradiso lo depone 
e s’affloscia con l’inchino e dopo il teatrino 
la mano mi prende voliamo nelle stanze scorticate 
dai camini e la cacciagione e le storie attorno 
delle lingue 
poi nei vuoti serali come velluto sfila anche 
dal tessuto finale del reale, paonazza dondola 
tra fuoco e stipite… mano manina tu notturna 
a girarmi e rigirarmi sul capo
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Ti chiedo, Giorgio, i crescenti anni 
d’alta meccatronica sono sempre 
ad un punto iniziale o finale? 
lo sguardo, vedo, schiacciato sul grand’angolo 
d’altro e altro cemento armato, non cerca più 
affamato lo sfondo che a volte arrancando 
di gamba nell’oltre pedemontano mi spunta 
sui giochi d’ala stretti tra la fine del giorno 
e le colline dorsute
intanto, dicono le cronache, i soliti cortei 
dei poveri anno domini 1900, 2000 sfilano 
in festoni sfioriti, carte dell’ultimo giro 
nel crescente secolo consumino 
sai nel tempo ultra-positivo il salario si fa 
cifra residuale sui diritti quesiti novecenteschi
tutto non dice solo esiste e finisce 
mi ribatte la voce che toccando va 
pietre, alberi, una lama sento, il suo tono 
sulle acque (acciarine) dell’espansa modernità 
come è nudo il tuo principio che porta vocetta 
dato per segni tanti nel fu tempo progressivo 
nostro, venivi da te a me con quei sorrisi 
intermittenti sulla notte pesta del sentiero 
brecciato dei limoni
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
A notte seduto sul muretto bucato a glicini 
Brunetto a bocca aperta ascolta la vecchia in nero 
(è il momento sulla terra scura 
del soffio del barbagianni)
m’inizia la storia e l’occhietto bianco le scatta a salti 
di rosse volpi e sento che tutto vicino a quella testa 
d’ebano rattrappisce nel brivido
mira con l’insecchito dito i cipressi 
sull’orlo del cimitero e urla col dialetto 
alle voci ammucchiate dentro quel fitto 
muove poi la testa a bruco su di me 
col labbro di fuoco e il fiato pesto dice 
di essere richiamata dal quel tramestare 
d’essere strega e sputare dai rami 
all’innocenza dei passanti 
le guardo la pupilla rigirarsi a perdizione 
tra terra e cielo e il respiro le soffia sul circolino 
dei glicini alitandomi dietro a risate sghembe 
unghia appuntite
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Il ruscello del paese, il pian di granito, il batti 
e ribatti dei panni 
il sole è uno spillo sulla sua schiena tutta ossa 
per poco l’alza e il dolore vertebrale 
le mangia disco e attesa
mentre passo col saltello, mira seria il mio battere 
le ginocchia in movimento e ritornello di filastrocca
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
Eh caro Pino
questi anni, passati così, a grattare quel vuoto 
oramai dilagato sui di te che a volte però mi torni  
a far capolino tra il secco delle crepe del tempo
e ora in questa via chiamata Pietralata, coi bar 
pieni di jack pot e giovani prostitute, mi ribattono 
le tue mani sul banco dei bevitori battono 
con la mia bocca appena aperta a seguirti 
sul filo fermo di un sorriso
ora che la languida rumena, cattura l’omone 
con lo sguardo del ventre e lo ributta nel laccio 
delle stanze della Cerere perduta, anch’io mi butto 
ma per strada, tra le voci, ecco la tua, giochicchia 
sulla svolta di ogni mio bivio
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)
La vecchia seduta è una graticola di rughe 
capello cenerino, talco anni trenta 
quasi ad esumare un novecento iniziale
apre bocca, la pelle tira, le parole son storie
l’occhio riprende lo scatto del tempo, le dita
pennelli torsuti, segnano vie, castelli e nel giro 
d’aria ecco il viandante, la sua traccia d’amor perduto
mi dice poi qualcosa di ultimo e per l’omino 
di storia è notte più fonda, un perdersi di tutto 
nel buio del possibile finale 
e la bocca torna una morsa, le braccia una croce
Elda quante lacrime hai dato alla vita, te ne andavi 
sempre dietro il racconto col civettare tra i rami
Elda, mia Elda perduta, infiabata
da Fa freddo nella storia (Stampa 2009, 2014)