Gianfranco Lauretano

Gianfranco Lauretano è nato nel 1962, vive e lavora a Cesena.
Ha pubblicato i volumi di poesia La quarta lettera (Foum, Forlì, 1987), Preghiera nel corpo (NCE, Forlì 1997 – ristampa: Ellerani, Trieste 2011), Occorreva che nascessi (Marietti, Milano 2004), Sonetti a Cesena (Il Vicolo, Cesena, 2007), Racconto della Riviera (Raffaelli, Rimini 2012), Questo spentoevo sta finendo (Alla chiara fonte, Lugano, Svizzera, 2013) e il volume di prose liriche Diario finto (L’Obliquo, Brescia 2001). La raccolta di poesia Di una notte morente uscirà in autunno per Aragno editore, Torino.
Sue traduzioni dal portoghese e dal russo sono pubblicate su antologie e riviste e nel 2003 in volume, presso l'editore Raffaelli di Rimini, è uscito Il cavaliere di bronzo di Aleksandr S.Puskin e la raccolta La pietra di Osip Mandel’stam (Il Saggiatore, Milano 2014).
Svolge attività di critica letteraria su periodici e quotidiani. Ha curato, tra l’altro, il commento ai canti XXIX, XXXII e XXXIII del Purgatorio di Dante (Rizzoli, Milano 2001) e i volumi monografici La traccia di Cesare Pavese, (Rizzoli, Milano 2008), Incontri con Clemente Rebora (Rizzoli, Milano 2013).
Dirige la collana “Poesia contemporanea”, il trimestrale letterario “clanDestino” e l’ “Almanacco dei Poeti e della Poesia Contemporanea” per la casa editrice Raffaelli di Rimini. È fondatore e direttore letterario della rivista di arte e letteratura “Graphie” e fa parte del comitato di redazione della rivista di critica e letteratura dialettale romagnola “Il parlar franco” diretto da Gualtiero De Santi (Pazzini ed. Villa Verucchio RN).

L' ordine


Ma cosa vuoi che non scriva
che pensi al tempo perso, devo
senza pensare, devo una pronuncia
carica, sporca, per tutti questi
fratelli estranei, il mutismo
per loro perché possano
splendere portando il dolore
che si può solo portare
per i padri che sprofondano
i maestri senza giardini nella
testa, per gli ascoltatori
che arrancano e non capiscono più
assolutamente niente.



(da Preghiera nel corpo)

Quindici Dicembre


I
Quando siamo arrivati la nonna
era già addormentata. Già bianca 
come la sposa di un marito
finalmente fedele, già terribile.
Allora l'ospedale è diventato
un grembo e tutti eravamo più terra
più acqua, più pulsazione.

Ma vederla lì... come un muro
non ci avrebbe più parlato più
sorriso col suo splendido sorriso
di madre. Mai più. Un'offesa
un pugno il suo non-sguardo
quell'insopportabile non-saluto.

II
Il nonno morì nel '40 in Albania
e lei che aveva 32 anni
non si è più risposata
rimanendo sola con le tre figlie.
Stasera si rivedono. Dopo 49 anni
si rivedono. Cosa si staranno dicendo?
Riusciranno a parlare? Ci sarà bisogno?
E cosa penserà la nonna, adesso
che vede tutto? Peneranno per noi
per tanta idiozia? Si terranno
abbracciati, per recuperare?

Questa poesia chiede per lei
quella pace. E che la chieda sempre
ogni volta che qualcuno la leggerà
con la stessa origine del mio dolore.



(da Preghiera nel corpo)

(malinconia in città)


Malinconia in città il primo
giorno dalla sua partenza
ogni volta che mi torna in mente
mi sento abbandonato e senza scopo
come fa, come fa così piccola
a riempirla, come facciamo
noi a riempire la terra
tanto da essere bella solo
perché siamo noi a guardarla
- e che sarebbe senza scopo
senza noi, così senza mente
senza centro e poveri alberi
povere montagne, poveri animali
cosa esisterebbero a fare
sarebbero come un campo
di battaglia finita la guerra
come Cesena a quest'ora
senza quella minuscola donna.



(da Preghiera nel corpo)

(vedi, occorreva che nascessi)


Vedi, occorreva che nascessi perché prima
c'era  nel mondo un buco di parole
a chiederti così dolorosamente
da essere senza fiato né voce
da non sapere che eri tu
che giochi e ridi di nascosto
tu così, tu figlia
eri tu che non c'eri
in quel vuoto che non ricordo
tanto era assurdo
che non mi figuro più
come se fossi qui da sempre, tu che ci
sei sempre stata.



(da Occorreva che nascessi)

(sono le undici e undici)


Sono le undici e undici, io ti amo
quasi piangendo di fronte
alla tua luce, così vera
e piena dei nostri dieci anni
ti amo quando compari
dalla porta come hai fatto
nella mia vita
portandomi il tuo viso e il tuo seno
perché potessi nutrirmi
del cielo e della terra.



(da Occorreva che nascessi)

Dicembre finalmente freddo


Dicembre finalmente freddo
l'Adriatica addobbata di luci
svogliate e natalizie
la strada svolta e si estingue in pianura
verso Cesena.
Ogni ritorno è diverso
come le case
che scorrono nel finestrino
e le prostitute
bellissime viste da qui, da dove
non si capisce la tristezza

ma come sarà
il ritorno oggi, chi sarà
il ritorno, chi
davanti alla casa aperta o
chiusa
come sarà il viso
di chi mi aspetta, di chi
benedetto mi aspetta

mare Adriatico
cielo nero di Romagna, San Marino
che devi essere quelle luci
arancioni a cucuzzolo verso sinistra
anche voi pregherei
per essere sicuro di un'attesa
pregherei i sassi
le zolle ghiacciate dei campi
anche ciò che non ascolta
perché ci fosse mio padre
sulla porta

se come un regalo
senza ricorrenza lo vedessi
sulla porta dove non è mai stato
distratto dal vento ma attratto
da un figlio vagabondo
e felice di scorgerlo
come una sentinella

padre che tutto mi ha separato
io, e una troppo lunga adolescenza
un ritorno mai venuto
una casa ininfluente e prigione
la frenesia di cancellare
il campo seminato della tradizione
lui stesso che ha portato sé
al bordo di troppi
irrealizzati desideri
e tutta una vita e tante

ma so cosa davvero
ci ha tenuto lontano
il non destino che scegliamo
con malata insistenza
assenza che scoordina i fiati

pensa se fosse sulla mia porta
pensa come verrebbero le stelle
per fargli una corona
a lui che comunque
è sempre un re
con la sua faccia così vera
con le rughe che hanno
ognuna cent'anni
il suo volto grande
la cosa più simile a Dio
che io abbia visto.



(da Occorreva che nascessi)

Sonetto XI


Osservo come per la prima volta
i frutteti perfetti, le verdure
la nostra collina aspra e avvolta
di luce, le macchie e le arature;

lassù una casa antica e sontuosa
un'altra persa come sentinella
nell'aria che si tocca, luminosa
come Leonardo, quando la pennella.

In certi giorni chiari o quando piove
io spero che assomigli a questa terra
il Paradiso con tutti i suoi dintorni.

Come giocando affronterei le prove
perché l'andarvi, passata questa guerra,
sarebbe il meglio di tutti i ritorni.



(da Sonetti a Cesena)

(ho risalito il fiume fino alla casa)


Ho risalito il fiume fino alla casa
dell’infanzia, alla ghiaia nel cortile
alle valli profumate di terra e frutta
ho camminato a lungo sostando poco
e quasi a caso nei giardini sulle rive
verdi e stretti tra la strada e il fiume.

Arrivato ho aperto le mani, rilasciato
le storie, le opere dei miei giorni
e avrei voluto farti un rapporto dettagliato
ma un nodo mi serrava la gola.

Perché tutto ciò che ho fatto e volevo dire
aspettava la tua approvazione
padre, tutto consisteva in quella
ma ho sbagliato, il figlio che vive
glorifica il padre. Così la smetto
di aspettare e torno nel presente
dove l’acqua del fiume scende pigra o svelta
l’erba rinverdisce e secca nei giardini
i fiori spuntano brevemente sulla riva.



(da Di una notte morente)

(quando sei assente anch’io lo sono)


Quando sei assente anch’io lo sono
i rumori della casa si moltiplicano
nel buio diventando nuovi e ignoti 

quando manchi dal letto accendo la luce
dalla tua parte mi risponde un vuoto
solo un immenso smarrimento 

anche i nostri mille libri rivelano
la loro solitudine, pochi ne reggono
l’urto, quelli prossimi al Vangelo 

quando sei lontana tornano i brusii
si spalancano le bocche del nonsenso
perché l’amore sta lontano con te. 



(da Di una notte morente)

Dio non c’è


Dio non c’è, sta lavorando
se n’è andato dove
per crederlo non chiedono
le prove. Dio non c’è
perché non è richiesto
si è spostato, non è
maleducato e non risponde
per forza, non impone
il suo stato a chi non fa un gesto
che non sia domandato.

Dio non c’è, sta costruendo
con quelli che hanno sete e fame 
di giustizia e pane
si rimbocca le maniche
e sporca le mani
con immane tenerezza
li mette insieme e li ama.
Dio è là da quelli
che sanno l’unità
li raduna e se li fa
rassomigliare, tutte
quelle piccole trinità.

Dio non c’è in Europa
ha obbedito, si è staccato
dai muri e dalle leggi
da uomini che aborriscono
le greggi, ci ha lasciato
coi parlamenti e le televisioni
i centri commerciali
e le costituzioni, i nostri
aggeggi deficienti.

Dio è altrove, segreto
lungo un greto di risaia
in un deserto, una palafitta
un quartiere di lamiere
una fogna a cielo aperto
e lì lavora. Sta facendosi
un popolo, perdona
compatisce. Sta creando
come sempre e dividendo
i seduti dai seguaci
fertili da sterili di figli
e di peccati, neppure di quelli
sono più capaci.



(da Questo spentoevo sta finendo)