Vaccaro, “Antropologia e utopia: Saggio su Marcuse”

Recensione di Antonio Marsicano

La nuova edizione di Antropologia e utopia, saggio su Marcuse di Giovanbattista Vaccaro, uscita per i tipi di Mimesis nel 2022, è un’ottima notizia nel campo degli studi sulla teoria critica della società. Il saggio del 2010, ormai introvabile, è stato riproposto alla platea degli studiosi dell’autore francofortese composto da due parti principali che provano, con un ottimo risultato, ad inquadrare la problematica propria del pensiero marcusiano a partire dalle prime proposte teoriche del giovane Marcuse, fino agli “orizzonti della liberazione”. Questi ultimi sono sviluppati da Vaccaro nella seconda parte inedita tramite il dialogo tra la prospettiva matura dell’autore e la ricezione dei suoi testi nella seconda metà del Novecento. La spinta teorica del lavoro di Vaccaro sta nell’affrontare il percorso marcusiano a partire dall’analisi della sua antropologia, dell’analisi che parte dall’umano come soggetto del lavoro alienante all’interno della società del capitalismo avanzato, fino alla prospettiva positiva di superamento di questa forma-uomo nella proposta pratico-teorica dell’utopia.

Questo percorso analitico parte appunto dallo studio del primo Marcuse: cosciente della lezione heideggeriana sull’antinomia tra autenticità ed inautenticità, l’autore francofortese prova a fondare i suoi studi proprio con l’analisi della forma del lavoro intesa come dimensione centrale dell’esistenza umana. Come notato dallo stesso Vaccaro in sede di prefazione, l’originalità marcusiana sta nello spingere l’analisi marxista «oltre i limiti di un discorso strettamente economico per investire l’intera esistenza umana in quanto sottoposta alle leggi dell’economia» (p. 16): la riflessione dell’autore francofortese non sarà dunque limitata allo studio dei rapporti economici, ma affronterà la totalità della dimensione umana all’interno della società capitalistica come «orizzonte di questa alienazione» (ibidem), per poter poi prospettare la possibilità dell’utopia come superamento. In sede introduttiva possiamo notare come il duo analitico alienazione-utopia venga evidenziato in tutto il testo dall’A. come centrale per un’antropologia, per una filosofia materialistica dell’esistenza nel senso marxiano in cui «la condizione dell’uomo è definita dai rapporti di produzione che determinano le modalità della sua attività» (p. 27). 

Con questa coscienza del materialismo storico marcusiano si può tornare ad affrontare la presenza di Heidegger nel suo pensiero giovanile: tutto il lavoro del giovane Marcuse può essere inteso come una sorta di correzione dell’analitica esistenziale, che pur riesce ad intendere questioni centrali come la temporalità o – appunto – l’autenticità, dall’ontologico all’ontico, dalla sfera di una temporalità che tende all’astrazione, fino alla concretezza dell’accadere storico dei rapporti di forza. Prendiamo proprio il caso dell’autenticità: con il necessario correttivo marxiano, il giovane Marcuse mostra come la condizione esistenziale dell’umano è legata sì al contesto in cui l’uomo è gettato, ma considerando quest’ultimo come contesto, come totalità, dove è possibile costruire l’utopia, la liberazione. Con le parole di Vaccaro «l’autenticità appare quindi come qualcosa di immanente e non di destinale, non un essere per la morte che si apre con una decisione anticipante all’unica possibilità sempre mia, ma piuttosto un essere per la vita come apertura alle infinite possibilità concrete dell’esistenza con una scelta orientata all’azione di volta in volta rinnovata» (p. 39). Il lavoro di Marcuse sulle categorie heideggeriane è dunque un lavoro di storicizzazione e di politicizzazione di quelle stesse categorie, che gli permette in questo senso di andare ad analizzare la condizione della categoria del lavoro come momento fondamentale dell’esistenza umana non solo tramite analisi economica ma a partire da una vera e propria analisi antropologica.

Per Marcuse, infatti, il lavoro alienato «mette in questione non solo fatti economici, ma la stessa esistenza dell’uomo, e ciò accade attraverso il fatto economico dell’alienazione» (p.  47). La questione posta è semplice se la leggiamo attraverso gli occhi dell’antropologia politica marcusiana: l’umano gestito dalle leggi dell’economia vede fondata anche la sua stessa esistenza in senso ampio, abbandonata ad una forma inautentica, ma con la possibilità dell’autenticità sempre latente. A questo punto Vaccaro mostra l’altro lato della medaglia, l’aspetto positivo dell’antropologia marcusiana, il lato di superamento dell’alienazione che punta all’«emancipazione dell’uomo nella sua libera attività» (p. 55), dimensione raggiungibile solo nella prassi, ma da accompagnare a quella che sarà una facoltà centrale per tutta la produzione dell’autore francofortese: l’immaginazione, facoltà in grado di rinnovare la filosofia in quanto in grado di tendere verso il futuro facendo ritrovare alla filosofia stessa «quel carattere di utopia che è stato a lungo l’unico elemento progressivo della filosofia e le ha conferito quell’ostinatezza che deriva dal rimaner fedeli alla verità contro tutte le apparenze» (p. 56). Superare il lavoro alienato significa dunque immaginare, e poi praticare, una dimensione in cui l’umano possa ricercare il piacere e la felicità all’interno della vita, superando lo spazio di lavoro in cui il fine è solo «il profitto e il salario, la possibilità cioè di continuare a lavorare» (p. 58).

Lo studio di Vaccaro prosegue analizzando i testi che ruotano intorno a una delle opere mature più note del pensatore francofortese: Eros e Civiltà. Nel capitolo intitolato “La costruzione della personalità” l’attenzione è posta proprio sullo sviluppo delle facoltà psicologiche dell’umano nell’epoca del capitalismo totalitario: «quando l’individuo non ha più la possibilità di vivere spazi autonomi entro cui contrapporsi al potere pubblico […] “i termini della psicologia diventano i termini delle forze della società che determinano la psiche”, e quindi le categorie psicologiche “sono diventate categorie politiche” ed aspettano di vedere sviluppata la loro stessa sostanza politica» (pp. 61-62). Il lavoro marcusiano sui testi freudiani avviene tramite l’analisi di tutti i concetti più estremi del padre della psicanalisi, dallo studio del principio di morte, fino al dualismo fondamentale tra principio di piacere e principio di realtà, tutto ciò con una svolta fondamentale: applicando lo stesso discorso storicizzante già visto con Heidegger nei confronti di Freud, Marcuse opera un raddoppiamento concettuale, «in modo da abbinare ai termini freudiani altri termini che ne designino la componente storico-sociale specifica» (p. 65). L’azione teorica del pensatore francofortese prosegue sul solco della ricerca antropologica: cercando di individuare la natura storica dell’uomo, riesce a trovare il calco sociale del concetto biologico freudiano in un contesto in cui «la generalità storica della repressione consente la rappresentazione di essa come fatto biologico» (ibidem). In questo senso Vaccaro analizza punto per punto i nodi fondamentali del testo marcusiano, evidenzia le connessioni tra Freud e la sua lettura politica, indica la figura della psicologia umana del tardo capitalismo descritta da Marcuse, sempre orientata in direzione dell’utopia.

Perché la coppia fondamentale del testo resta sempre questa: antropologia e utopia, chi è l’uomo nella totalità antagonista, chi può diventare nello spettro della sua liberazione. Alla repressione della società opulenta, che costruisce bisogni su misura per cancellare l’individuo in una massa uniforme, Marcuse oppone la possibilità di un’esistenza autentica, di un nuovo tipo di uomo che «rifiuti il principio di prestazione e tutto quanto vi è connesso e lavori invece per la creazione di un ambiente che renda possibile un’esistenza priva di sofferenza e regolata dalla gioia e dal piacere» (p. 88). In questo contesto Vaccaro mostra un aspetto centrale: intendere l’utopia come un presupposto antropologico ha un significato specifico nel contesto di liberazione che supera ogni concetto precedente di rivoluzione. L’utopia intesa come mutamento antropologico, come superamento della personalità umana controllata dalla totalità opulenta, non può essere un cambiamento quantitativo, un prolungamento della vecchia società che avviene modificando l’intensità della repressione, ma deve essere necessariamente un «salto qualitativo che segna una differenza irriducibile tra la società libera di domani e quelle non libere che l’hanno preceduta» (p.89). E tutto ciò è possibile, secondo Marcuse, a partire dallo sviluppo della tecnica presente, in grado di «suggeri[re] possibilità di libertà umana assai diverse e assai più vaste di quelle che si potevano concepire in una fase precedente» (p. 92): cambiare gli scopi e le necessità del sistema presente della tecnica, agire su un’organizzazione del lavoro che superi la forma alienata per liberare le possibilità della vita umana, per liberare l’energia sociale dalla sua deviazione verso il circolo vizioso della produzione di bisogni e verso le forme di repressione addizionale che limitano l’esistenza umana e dal punto di vista sociale e dal punto di vista psichico.

Se nella prima parte il testo di Vaccaro riesce dunque a tracciare il filo rosso del pensiero marcusiano, mostrando il tipo umano che fuoriesce dall’analisi e sfocia nella rappresentazione utopica, nella seconda parte sono gli effetti reali dei suoi scritti ad essere affrontati. I “50 anni di L’uomo a una dimensione” mostrano che, nonostante l’iniziale reticenza nei confronti degli scritti dell’autore francofortese da parte degli autori marxisti “ortodossi”, l’evolversi della struttura del capitalismo occidentale, tendente a quella massificazione unidimensionale che bene Marcuse ha mostrato nel suo scritto, ha dato ragione all’analisi lì proposta: l’assolutizzazione del modello americano del capitale, pervasivo in ogni aspetto – materiale ed ideologico – della vita quotidiana, ha costruito sì a livello globale una realtà di «pervasività della logica della merce a cui l’uomo, in quanto consumatore di merci e dell’ideologia che esse incorporano, è subordinato come cellula terminale del ciclo di valorizzazione del capitale» (pp.130-131). In questo senso Vaccaro fa notare come le critiche che i marxisti, soprattutto italiani, muovevano a Marcuse, fossero legate non ad una diversa prospettiva di analisi della realtà sociale, quanto ad una diversa realtà della struttura stessa del capitalismo: le analisi marcusiane erano sostanzialmente anticipatrici di un essere sociale che ancora aveva da venire in Italia, e che, alla fine degli anni ‘60, era più legato alla dimensione della grande fabbrica e della massiccia organizzazione partitico-sindacale che al superamento unidimensionale della classe in direzione della massa.   

In conclusione, il lavoro di Vaccaro è un’ottima sintesi del pensiero marcusiano, ed ha il merito di costruire tra le sue pagine un’intensa panoramica dell’opera dell’autore francofortese, riuscendo a mostrare la continuità dello sforzo teorico di Marcuse attraverso la sua antropologia storica mirata alla liberazione. Se testi come Eros e Civiltà e L’uomo a una dimensione hanno dimostrato di essere – tristemente – invecchiati bene, Antropologia e utopia si pone come ottimo alfiere teorico della loro causa, in quanto riesce a riportarne le tesi principali senza sterili esaltazioni movimentistiche, ma giungendo al centro della problematica dell’autore: com’è possibile costruire una vita in grado di superare le molteplici forme dell’alienazione senza gettare via lo sviluppo tecnico che il capitalismo ha costruito? L’indicazione marcusiana dell’utopia è chiara, la teoria può indicare il modello umano che operi questo superamento, ma la prassi, solo la prassi, può realizzarlo.  

Antonio Marsicano è studente di filosofia all'università di Bologna. Tra i suoi campi di interesse vi sono la filosofia marxista, la teoria critica della società e lo studio del concetto di immaginazione. Fa parte della redazione di Oasi Rivista, spazio orizzontale di analisi sul presente e di immaginazione sul futuro artistico e politico del nostro mondo.