Strevens, “La Macchina della Conoscenza. Come l’irrazionalità ha creato la scienza moderna”

Recensione di Flavio Valerio Alessi

In cosa consiste il metodo scientifico? Perché si sviluppò proprio in Europa tra il XVII e il XVIII secolo, e non in altri contesti storici? Michael Strevens, Professore di Filosofia alla New York University, mira a rispondere a queste domande nel saggio La Macchina della Conoscenza. Come l’irrazionalità ha creato la scienza moderna, edito in Italia per Einaudi.

Il testo offre una originale rilettura delle tradizioni kuhniana e popperiana, mostrando a un tempo il debito filosofico che l’autore ha nei confronti delle stesse, così come la necessità di un nuovo sguardo all’annosa questione del metodo. Questa necessità è resa evidente da alcuni limiti e implicazioni delle teorie di Popper e Kuhn che l'autore indaga sin dai primi capitoli del saggio. In una prosa scorrevole e dall’afflato divulgativo, Strevens sostiene le proprie argomentazioni ricorrendo a un’ampia gamma di esempi dalla storia della scienza, utili a mostrare come le profonde differenze tra la mentalità della filosofia naturale pre-moderna e quella scientifica moderna derivino dall’intreccio profondo tra le condizioni socio-culturali di riferimento e le relative posture epistemologiche. Il riferimento a questi casi d’analisi garantisce così al lettore una maggiore comprensione tanto del cuore filosofico del dibattito sul metodo scientifico, quanto della proposta teorica del saggio di Strevens.

Secondo il filosofo, riprendendo il titolo del testo, il metodo scientifico è l’effetto e la causa di quell’immenso dispositivo per spiegare, prevedere e controllare il mondo che è, appunto, la macchina della conoscenza. Ma andiamo con ordine. Anzitutto, non sono affatto immediate le ragioni e condizioni storico-culturali che hanno permesso l’emersione e la stabilizzazione di questa nuova postura epistemologica nei confronti del mondo. Perché, chiede ad esempio il filosofo, non fu la cultura greca a progettare e creare vaccini anti-influenzali? (2021: 5).

Certamente, si dirà, lo sviluppo tecnologico che caratterizza il progresso tecno-scientifico delle culture occidentali dalla modernità in avanti ha definito le basi materiali attraverso cui poter mettere alla prova le ipotesi di ricerca avanzate, rivoluzionando il nostro modo di percepire il mondo e di agire al suo interno. Tuttavia, laddove un’indagine storica di tal sorta può mostrare la forte incidenza del progresso tecnologico per la produzione di ipotesi e spiegazioni rivoluzionarie, dal punto di vista filosofico una risposta del genere non è soddisfacente. Il progresso tecnologico in sé non implica logicamente né causalmente l’avvento della mentalità scientifica moderna.

Se, per dirla con una formula del semiologo Paolo Fabbri (2021), all’interno di un’indagine scientifica ogni domanda è già una risposta, in quanto ne specifica gli orizzonti epistemici di pertinenza, individuando un problema, un’anomalia sorprendente nel comportamento dell’oggetto d’analisi che viola le aspettative poste dal paradigma epistemico di riferimento, allora lo sviluppo tecnologico è un mezzo tramite cui sottoporre a verifiche e confutazioni l’ipotesi di ricerca a partire dalla specifica postura della scienza moderna, e attraverso il quale la relativa mentalità può prendere corpo. Vale a dire: gli strumenti tecnologici non sono la causa ma l’effetto della postura interpretativa caratterizzante la scienza moderna che, quindi, deve essere posta già in essere e operante. Tanto è vero che, come mostra Strevens, le civiltà antiche egizie, babilonesi, cinesi e greche non erano affatto sprovviste di strumenti tecnologici straordinariamente avanzati, ma questi supporti non garantirono né furono accompagnati dallo sviluppo della mentalità scientifica per come noi oggi la conosciamo.

Lo stesso valga per la presenza di un sistema di indagini incrociate tese a convalidare o confutare l’ipotesi occorrente. L’autore spiega come, all’epoca del crollo dell’Impero romano d’Occidente, fossero state proposte, valutate e sottoposte a critica le più svariate e contrastanti ipotesi atte a spiegare le ragioni e i meccanismi regolanti i movimenti della Terra, del Sole e dei pianeti adiacenti (2021: 4). Eppure, non saremmo legittimati a sostenere che i contenuti di questi enunciati, così come le indagini di messa a verifica dell’ipotesi, presentino una forma analoga a quelli della nostra scienza. Per Strevens, quindi, non è neanche lo scetticismo sistematicamente organizzato che caratterizza i protocolli di falsificazione a distinguere la scienza moderna. Come nel caso del progresso tecnologico, questi dispositivi pratici sono l’effetto di una specifica mentalità, relativa a un altrettanto specifico contesto storico-culturale, tramite cui il sapere scientifico si realizza e prende vita.

D’altro canto, prosegue l’autore, potremmo pensare che siano la replicabilità dell’esperimento scientifico, dalla cui iterazione si possono confermare o smentire ipotesi esplicative oppure, in alternativa, l’osservazione del fenomeno, a caratterizzare la configurazione interpretativa della scienza moderna. Risposte di tal sorta risultano però insoddisfacenti dal punto di vista delle condizioni necessarie e sufficienti poste da questi vincoli. Da un lato, branche come la cosmologia o la biologia evolutiva non pongono la replicabilità sperimentale a condizione necessaria per l’acquisizione di risposte soddisfacenti. Dall’altro, se è indubitabile che l’osservazione del fenomeno sia condizione necessaria alla sua comprensione, non è allo stesso modo una condizione sufficiente. Anche i filosofi naturali greci osservavano empiricamente i fenomeni di cui volevano dar ragione ma, sostiene Strevens, “nonostante il loro grande desiderio di capire il mondo osservabile non avevano ancora messo le mani sul segreto della scienza moderna” (2021: 7).

La risposta utile a uscire da questo apparente vicolo cieco è riassumibile nel titolo dell’opera: la macchina della conoscenza. Per comprendere il portato filosofico della proposta di Strevens, è a nostro parere utile analizzare i due termini chiave di questo sintagma.

Anzitutto, la conoscenza. Per Strevens il grande dispositivo che è il metodo scientifico offre una forma di conoscenza ben diversa dalle correnti filosofiche che lo hanno preceduto. Contrariamente all’indagine filosofico-naturale antica, il sapere scientifico moderno agisce attraverso la fredda, distaccata e meticolosa analisi empirica. Lo sguardo empirico non mira a comprendere le cause dei comportamenti degli oggetti analizzati, tantomeno a indagare le ragioni che sorreggono l’impianto teorico-epistemologico delle varie branche dell’episteme scientifica. Al contrario, esso intende spiegare le cause regolanti i comportamenti dei fenomeni analizzati. In modo limitato e limitante, e proprio per questo utile e funzionale, la mentalità scientifica moderna opera un lavoro di compartimentazione tra l’analisi filosofica, teologica, morale, e quella puramente empirica che ne orienta le domande di ricerca. Il metodo scientifico tardò ad arrivare perché fortemente controintuitivo, ai limiti dell’irrazionale: là dove l’essere umano mira a comprendere le ragioni di ciò che vive, con spiegazioni filosofiche o teologiche, la postura scientifica moderna si limita a spiegarne le cause.

L’approccio empirico che sottende lo sguardo scientifico moderno è il frutto di quella che Strevens chiama regola ferrea della spiegazione scientifica, che orienta e disciplina le ipotesi e procedure di ricerca. Per chiarire la funzione della regola ferrea, nel quarto capitolo del saggio Strevens ricorre a un esempio illuminante: la contesa sulla natura del calore, che caratterizza il dibattito scientifico del XIX secolo. Da una parte, mostra il filosofo, troviamo i sostenitori della teoria del calorico, per cui il calore è una sostanza che, scorrendo dagli oggetti più caldi a quelli più freddi, fa sì che questi ultimi aumentino la propria temperatura. Dall’altro lato troviamo la teoria cinetica del calore, secondo cui il calore è “il movimento frenetico e disordinato delle piccole particelle di cui sono fatte le cose” (Ivi: 100). Se la teoria del calorico era sostenuta da un apparato matematico, utile a fornire spiegazioni tramite previsioni esatte, la teoria cinetica forniva meccanismi generalizzabili e, per questo, esplicativamente attraenti.

Ad oggi possiamo con certezza sostenere che, nonostante l’assenza di un impianto formale forte, l’ipotesi cinetica fornisse la spiegazione esatta del fenomeno. Sappiamo ormai come la ragione scatenante il fenomeno del calore sia relativa all’azione di concatenamento tra processi causali e trasformazioni delle proprietà materiali dei corpi coinvolti. Il calore del Sole arriva sui corpi grazie alla mediazione delle radiazioni elettromagnetiche (per lo più infrarosse): ciò significa che il calore non è una sostanza ma l’effetto dell’azione dei raggi elettromagnetici, che trasformano il calore in energia elettromagnetica e che, una volta entrato in contatto con i corpi, viene riconvertito in calore.

Questo potrebbe spingere il lettore a sostenere, alla luce delle conoscenze a nostra disposizione oggi, che l’ipotesi del calorico fosse non-scientifica o, alternativamente, che l’ipotesi cinetica fosse per gli uomini di scienza del XIX secolo non-scientifica. Un'interpretazione del genere, tuttavia, risulterebbe fondata sull’idea per cui si possa distinguere un enunciato scientifico da un enunciato non-scientifico a partire dalla validità del contenuto in senso verocondizionale. Se una teoria spiegasse in modo esatto sarebbe scientifica. Viceversa, sarebbe declassabile a teoria non scientifica. Una risposta del genere, sostiene Strevens, non è affatto soddisfacente, in quanto presuppone la possibilità di determinare delle condizioni necessarie e sufficienti o dei criteri teorico-metodologici tramite cui distinguere la scientificità del contenuto occorrente. Operazione, questa, destinata alla circolarità esplicativa – l’enunciato è scientifico perché è vero – o al dogmatismo più efferato – l’enunciato è vero in quanto scientifico.

La soluzione fornita da Strevens per uscire da questa impasse è tanto semplice, tanto illuminante, quanto stringente, ed è relativa alla natura della regola ferrea. La regola ferrea non fornisce un decalogo di condizioni necessarie e sufficienti per far sì che una spiegazione scientifica sia riconosciuta come corretta. Per dirla meglio, la regola ferrea non entra nel merito del contenuto degli enunciati scientifici, ma determina le condizioni del metodo e, di conseguenza, le condizioni di possibilità per la produzione, falsificazione e/o validazione degli stessi. La regola ferrea impone alle donne e agli uomini di scienza di limitarsi all’analisi empirica degli oggetti di riferimento, e sottoporla a test empirici per valutarne la tenuta. La regola ferrea, in breve, non pone fine ai dibattiti scientifici, ma li irreggimenta in un orizzonte di restrittive pertinenze epistemologiche e pragmatiche. Vale a dire: la regola ferrea costituisce il ground per la produzione e valutazione di ipotesi scientifiche, ed è proprio a partire dalla regola ferrea che i dibattiti possono protrarsi, offrendo lo sfondo attraverso cui l’essere umano raggiunge sempre nuove scoperte:

Per risolvere le differenze di opinione, anziché gridare, litigare, filosofeggiare, moraleggiare, sposarsi o fare appello a un potere superiore, gli scienziati devono condurre test empirici. Questo è tutto; la regola non cerca in alcun modo di interpretare le prove, di stabilire vincitori e vinti. In realtà, la sua funzione non è tanto risolvere la disputa quanto prolungarla. La perpetuazione fine a sé stessa del conflitto drammatico è l’essenza del metodo scientifico e, in quanto principale perpetuatrice, la regola ferrea si afferma come cuore, anima e forza vitale dell’indagine scientifica. (Strevens 2021: 103)

L’apparente semplicità della proposta di Strevens mostra in realtà la sua profondità in termini di spiegazione e comprensione della logica della mentalità scientifica moderna se confrontata con i due pilastri filosofici a cui l’autore attinge per orientare la propria proposta: la teoria falsificazionista di Popper (1934/1974) e la teoria dei paradigmi di Kuhn (1964/2009). 

A differenza di Popper, Strevens sostiene la necessità di un superamento dell’approccio logico stringente della teoria falsificazionista. Strevens mostra bene come la rappresentazione fornita da Popper dei processi di ricerca, valutazione e confutazione scientifica facciano riferimento a un paradigma normativo di natura etica, più che descrittivo. Lo spirito critico era per Popper la bussola utile a orientare l’essere umano: al fine di limitare l’avvento di dogmatismi, la ricerca scientifica doveva limitarsi a sottoporre a spietate analisi critiche le tesi portate avanti dai partecipanti a questa forma sociale. Qualunque ipotesi che non fosse falsificabile, non sarebbe scientificamente fondata. Di più: poiché il pensiero induttivo rischia di spingere donne e uomini di scienza a fornire spiegazioni generalizzanti, dunque infalsificabili, per Popper “nessuna quantità di prove può offrire più ragioni per credere a una teoria di quante se ne avessero al momento della sua formulazione, prima di qualsiasi verifica” (Strevens 2021: 22, 23).

È chiaro, sostiene Strevens, che un modello del genere abbia un portato prescrittivo: Popper rappresenta l’idealtipo dello scienziato e dei protocolli d’azione che questi dovrebbe esercitare per espungere qualsiasi traccia di soggettività, dogmatismo e parzialità. A ben vedere, tuttavia, un tale modello non garantisce la reale comprensione delle logiche pragmatiche che regolano l’esercizio d’indagine degli uomini di scienza. Per quanto la logica falsificazionista regoli le pratiche di accertamento, accettazione e/o confutazione delle ipotesi, l’eliminazione delle componenti soggettive e arbitrarie dalla ricerca scientifica è una tesi insostenibile.

Il secondo e terzo capitolo del saggio sono interamente dedicati alla inevitabile e necessaria componente umana che orienta le spiegazioni scientifiche. La novità della proposta di Strevens consiste nel porre la soggettività non a vincolo, ma a componente strutturale e perfino positiva per la produzione delle spiegazioni della scienza moderna. A valle, la falsificazione di una teoria non coincide sempre con l’abbandono della stessa, laddove, a monte, la configurazione dell’ipotesi stessa dipende da quelle che Strevens definisce graduatorie di plausibilità (2021: 90), che determinano una gerarchia di motivazioni che giustificano la falsificazione o la verifica dell’ipotesi.

Ogni scienziato potrà sostenere, ad esempio, che la causa dell’errore predittivo della propria ipotesi derivi da una serie di errori di misurazione compiuti in fase sperimentale, o da un insieme di condizioni ambientali che hanno alterato la capacità di rilevamento dell’apparato tecnologico tramite cui viene verificata l’ipotesi. Allo stesso modo, questi potrà argomentare il comportamento dell’oggetto d’analisi attraverso una spiegazione scientificamente fondata, tuttavia escludendo altre spiegazioni egualmente predicabili, che lo scienziato stesso mira a squalificare, al fine di dotare il proprio discorso di un effetto di oggettività. 

Il lettore potrà allora credere di trovarsi davanti a una rilettura della teoria dei paradigmi di Kuhn. Ora, secondo Kuhn, lo scienziato pone le proprie domande attraverso le lenti dei paradigmi, insiemi di teorie all’infuori delle quali non si può né si vuole comprendere l’oggetto d’analisi. Poiché gli oggetti sono compresi sempre attraverso l’apparato teorico-concettuale dei paradigmi di ricerca, lo scienziato è motivato a portare avanti la propria indagine mediata dal paradigma in quanto mosso dalla credenza che questo fornisca l’unico orizzonte epistemico tramite cui dar risposta ai fenomeni esaminati. Se in Popper era la metodologica confutazione a valle a caratterizzare l’episteme scientifica, in Kuhn è invece la fiducia rivolta ai contenuti del paradigma a determinarla, a monte di ogni pratica di ricerca. Dalla falsificazione critica, si passa alla fiducia cieca.

Proprio al fine di superare l’impostazione kuhniana, Strevens mostra svariati esempi a sostegno dell’evidenza per cui molto spesso gli scienziati lavorano tra differenti paradigmi, mirando a selezionare l’ipotesi esplicativa a sostegno di uno di essi piuttosto che degli altri. Allo stesso tempo, l’autore sottolinea come spesso gli stessi agiscano in vista non della preservazione della purezza epistemica del paradigma ma, al contrario, per ragioni del tutto personali – siano esse economiche, di reputazione sociale e così via.

Incontriamo allora un'ulteriore prova dell’originalità della proposta di Strevens: la dimensione patemico-cognitiva della fiducia orienta sì ogni domanda di ricerca, ma solo a partire dalla struttura della regola ferrea che, di nuovo, non elimina ma disciplina l’azione umana nella ricerca scientifica. Gli uomini e le donne di scienza oscillano tra paradigmi, ed è proprio questa commensurabilità e possibilità di traduzione a garantire il progresso scientifico e l’acquisizione di nuove spiegazioni. Ciò che garantisce il concatenamento tra paradigmi eterogenei è proprio la regola ferrea: agire sempre e solo tramite lo sguardo empirico, tramite ipotesi e esperimenti replicabili intersoggettivamente.

Arriviamo così, in modo naturale, al secondo termine del sintagma “macchina della conoscenza”. La conoscenza disciplinata dall’empirismo della regola ferrea si realizza nei protocolli e nei codici di comunicazione della grande macchina tecnologica che è il metodo scientifico. Utilizzando la meravigliosa terminologia di Carlo Sini (2021), la scienza è l’ennesima espressione di quell’automa che è la cultura umana, la quale trova nel metodo scientifico moderno un sistema di disposizioni tramite cui porre in confronto, scontro e dialogo donne e uomini, producendo conoscenze vere perché intersoggettivamente validate, ma sempre aperte a confutazione.

La regola ferrea orienta le procedure di configurazione dell’ipotesi, di testing sperimentale e di valutazione intersoggettiva, ponendosi come “un tipo di accordo procedurale, un accordo su come continuare a discutere: per mezzo di osservazioni e esperimenti e non altrimenti” (Strevens 2021: 106). Così come un’ipotesi è ritenuta scientifica perché empiricamente fondata, riproducibile sperimentalmente e sostenibile tramite osservazioni, allo stesso modo un testo è ritenuto scientifico perché disinfettato, nei termini di Strevens (2021: 182), ossia, depurato a livello discorsivo di qualsiasi componente soggettiva, ideologica e non empiricamente fondata, e proprio per questo intersoggettivamente valutabile nell’arena epistemica della comunità scientifica. Ciò non significa che la soggettività scompaia: semplicemente, viene disciplinata dalla regola del gioco scientifico. Al contrario, qualsiasi forma del contenuto che si mostri prescindere dalle fondamenta empiriche della regola ferrea, non potrà partecipare alle contese della comunità.

Si è spesso notato (Rossi 1997) come la nascita del pensiero scientifico moderno derivi dall’insieme di condizioni storico-culturali dell’Europa del XVII e XVIII secolo. L’indagine filosofica di Strevens si conclude mostrando come la logica della compartimentazione che caratterizza il metodo scientifico moderno derivi proprio dalle condizioni storico-culturali della modernità occidentale. Sappiamo bene come il padre della scienza moderna, Isaac Newton, orientasse le proprie ricerche sotto la forte influenza delle prospettive alchemiche (Ibid.). Strevens (2021) mostra con attente analisi come ciò che distingue lo sguardo di Newton da quello dei suoi predecessori, anch’essi direzionati dallo sguardo del pensiero magico-alchemico e mistico-teologico, è che il primo mise in atto una procedura di distinzione forte tra tradizioni epistemiche e relative metodologie. Se nella ricerca alchemica Newton utilizzava un approccio ermetico-filosofico, nella ricerca scientifica lavorava attraverso la sola analisi empirica. Niente comprensione, solo spiegazione, niente trascendenza teologica, solo immanenza delle leggi che regolavano i meccanismi motivanti il comportamento dei fenomeni.

Secondo Strevens questo processo di compartimentazione del sapere è il frutto della temperie culturale dell’Europa seicentesca. In questa fase, infatti, la rivoluzione luterana comportò un progressivo distacco dei domini civico e religioso, garantito e motivato dallo sviluppo degli stati-nazione. La fede, pur restando sistema modellizzante delle coscienze, della morale e dei valori pubblici, diventa sempre più affare privato, mentre il dominio pubblico è soltanto relativo alla condotta civica nello stato-nazione. Con una formula efficace di Strevens: “Ai fini civici, ora ciò che contava era essere inglesi o francesi. Essere anglicani o cattolici era una questione privata” (2021: 267). La stabilizzazione di questa compartimentazione dei saperi e delle condotte ha plasmato in modo progressivamente definitivo la mentalità scientifica nascente, che ha visto nei precetti rivolti all’indagine empirica il luogo tramite cui dare ragione dei meccanismi naturali, prescindendo da spiegazioni filosofico-teologiche – almeno nell’arena pubblica della comunità scientifica, unico luogo in cui si decreta l’emersione di nuove verità collettivamente riconosciute.

Mostrando il fil rouge che lega sguardo epistemologico della scienza moderna e contesto socio-culturale di riferimento, la tesi di Strevens riesce a fornire un'ulteriore prova di come una soluzione come quella proposta ne La Macchina della Conoscenza non faccia affidamento a un principio interamente logico (come in Popper) o interamente sociale (come in Kuhn), individuando al contrario la regola ferrea come principio normativo e descrittivo allo stesso tempo, in grado di rendere conto tanto delle forme pratiche tramite cui gli esseri umani prendono parte alle contese scientifiche, quanto dei principi logico-filosofici che sostengono la stessa regola ferrea e, quindi, la postura epistemica della scienza moderna.

Da un puntio di vista semiotico una tale impostazione è pienamente condivisibile. Il pregio della proposta di Strevens è di individuare nella mentalità scientifica moderna un sistema di condotta sociale, un “codice di comunicazione, un insieme di norme fondamentali per dibattere, che obbliga gli scienziati a condurre tutte le dispute facendo riferimento soltanto alle prove empiriche” (2021: 8-9). Rispetto al metodismo logico di Popper, la teoria della regola ferrea non elimina la soggettività, ma la ingloba nei sistemi di pratiche irregimentati dalla postura empirica, incoraggiando l’azione di confutazione reciproca che garantisce la stabilità delle spiegazioni scientifiche e motiva, seguendo Oreskes (2019/2021), la fiducia verso questa forma del sapere. Come Oreskes, anche Strevens non riduce la soggettività scientifica all’interno di una cornice mitologizzante: la sociologia della scienza ha mostrato come gli esperti possano operare frodi in ambito scientifico, e come i risultati prodotti dalle indagini scientifiche dipendano spesso dalla natura politica, sociale ed economica dell’istanza che ha motivato la ricerca stessa (stato, aziende private, cooperative, ecc.) (cfr. Collins et al. 2020). Ciò non fa altro che mostrare come, in linea con Oreskes (2019/2021), se la fiducia verso gli esperti può essere motivata facendo riferimento allo scetticismo regolamentato che orienta le pratiche di falsificazione e peer reviewing, d’altro canto, dal punto di vista di Strevens (2022), la produzione di spiegazioni scientifiche dipende dall’azione del tutto soggettiva dell’essere umano che, per quanto scienziato, non può non esser mosso da desideri, ambizioni, stereotipi e credenze. 

L’oggettività non è soltanto, latourianamente (Latour 1987), l’effetto di senso generato dalla messa in forma di una ipotesi attraverso le superfici d’iscrizione che sono prima i macchinari e poi gli articoli scientifici. Di più, seguendo Strevens, a essere oggettivo è il protocollo d’azione della macchina della conoscenza che mira a espungere qualsiasi traccia di soggettività e ragionamento non scientifico dalla pura indagine empirica. Oggettivo è solo ciò che è replicabile, riosservabile, rimisurabile attraverso ipotesi e analisi empiriche.

In una fase come quella odierna, in cui il rapporto tra la postverità e la pandemia ha destabilizzato e alterato il ruolo e l’immagine pubblica degli esperti, La Macchina della Conoscenza è strumento utile a comprendere la natura sociale, umana e allo stesso tempo disciplinata, limitante e limitata dello sguardo scientifico moderno. La scienza non offre l’unico sapere possibile. Ha i propri parametri di valutazione, tramite cui determinare la verità di un enunciato e la scientificità che lo caratterizza. Parametri che, se nei contenuti possono mutare (e, anzi, il loro mutamento è condizione necessaria per il progresso scientifico), a monte risultano stabili in quanto fondati sul riferimento alla regola ferrea, che limita l’azione persuasiva e pervasiva della soggettività, parallelamente disciplinandone desideri e ambizioni nel perimetro restrittivo dell’indagine e falsificazione empirica.

Comprendendo la parzialità e forza restrittiva della regola del gioco della scienza moderna, il lettore potrà scoprire tanto la vibrante umanità che la anima, nel bene e nel male, quanto i limiti imposti agli stessi dalla regola ferrea, che impone uno specifico sguardo nei confronti delle esperienze e del mondo tutt’altro che naturale. Una regola tutt’altro che immediata o naturale, tutta costruita socialmente da quella svolta epocale della tradizione culturale occidentale che è la Rivoluzione Scientifica.

Riferimenti Bibliografici

Collins, H., Evans, R., Durant, D., Weinel, M. (2020), Experts and the will of the people. Society, populism and science, Cham, Palgrave Macmillian.

Fabbri, P. (2021), Rigore e immaginazione. Percorsi semiotici sulle scienze, Milano, Mimesis.

Kuhn, T. (1964), La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi (ed. it. 2009).

Latour, B. (1987), Science in action. How to follow scientists and engineers through society, Cambridge, Harvard University Press.

Oreskes, N. (2019), Perché fidarsi della scienza?, Torino, Bollati Boringhieri (ed. it 2021).

Popper, K. (1934), La logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza, Torino, Einaudi (ed. it. 1974).

Rossi, P. (1997), La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari, Laterza.

Sini, C. (2021), Dalla semiotica alla tecnica. In cammino verso l’evento, Milano, Jaca Book.

Strevens, M. (2021), La Macchina della Conoscenza. Come l’irrazionalità ha creato la scienza moderna, Torino, Einaudi.

Flavio Valerio Alessi, dottorando presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna del corso Philosophy, Science, Cognition, and Semiotics (PSCS). Ho conseguito la laurea magistrale in Semiotica presso la stessa università, con una tesi in semiotica cognitiva sul ruolo delle emozioni per lo sviluppo del bambino all’interno delle interazioni preverbali. Il progetto di ricerca dottorale che sto portando avanti si focalizza invece sulla comunicazione pubblica degli esperti scientifici nel corso della pandemia da Sars-CoV-2. Nello specifico, le mie attuali ricerche prendono in esame il rapporto tra fiducia e sfiducia verso l’autorità epistemica, discorso pubblico della scienza e rapporti tra scienza, pseudo-scienza e complottismo.