Recensione a cura di Alessandro Balbo
Il libro Immaginazione e invenzione (IMI) di Gilbert Simondon, edito da Mimesis nel 2023 e curato e tradotto in italiano per la prima volta da Roberto Revello sull’edizione critica PUF Imagination et invention 2014, è il frutto di un corso che il filosofo tenne alla Sorbona nell’anno accademico 1965-1966 nel contesto del certificat de psychologie générale per un pubblico misto di studenti di filosofia e psicologia. Il tema principale del corso è quello dell’immagine mentale, della sua creazione e del suo funzionamento, ricercandone le varie applicazioni: il ciclo dell’immagine-motoria, dell’immagine-percettiva e della sua produzione simbolica. In tal modo Simondon vuole rintracciare il rapporto uomo-ambiente, ossia il mondo, come relazione tra immagini che si modifica attraverso i vari processi cognitivi e immaginativi, i quali fondano la società. In tal modo il lavoro di Simondon appare come una sorta di “metafisica” su domande biologiche, sociali e cognitive. Il filosofo francese raggiunge in questo testo un punto apicale della sua produzione teorica, riprendendo ed estendendo il concetto d’individuazione in quanto processo inserito all’interno di una rete causale di un divenire relazionale e immanente.
Tale presupposto immanentistico della realtà permette a Simondon di pensare i problemi filosofici all’interno di un sistema peculiare di soluzioni possibili. Da qui l’avvicinamento del filosofo alle “scienze dure”, o meglio scienze della vita, ricondotte però nell’alveo di una filosofia dell’immanenza. Questo serrato confronto portato avanti dal filosofo francese insiste sul fatto che la creazione di formalizzazioni logiche-scientifiche sia il frutto dell’apparato simbolico-immaginativo dell’uomo e della società, dell’episteme e dell’innovazione tecnica, entrando così in polemica con i pensatori riduzionisti di una “scienza ideologica e neutra”, i quali astraggono le loro ricerche dai molteplici aspetti del reale. Simondon porta avanti così una lettura “ontogenetica” del reale in quanto relazione di immagini, concependo in tal senso la scienza come un sistema aperto, dinamico e collettivo. Il filosofo francese si serve in questo modo da un lato della teoria ontogenetica per trovare le condizioni biologiche dell’individuazione, dall’altro di alcuni aspetti fenomenologici per ricercarne la temporalità in cui si sviluppa.
Nella premessa il testo pone subito il tema d’indagine: l’immagine mentale come un unico processo di sviluppo. Le tappe di tale processo si articolano nelle quattro parti del libro: 1) il contenuto motorio dell’immagine come fascio d’esperienza dell’interazione tra l’organismo e l’ambiente 2) il contenuto cognitivo delle immagini arricchito dalla risonanza affettivo-emotiva 3) la produzione simbolica che deriva da questa relazione e la creazione dell’immaginario 4) l’invenzione come nuovo inizio del ciclo delle immagini, gravide però dei nuovi simboli e relazioni di cui essa è composta. All’interno di tale ciclo l’immaginazione detiene il ruolo di riproduzione e differenziazione delle immagini come modo di conoscere proprio e autentico del reale. Si esemplifica così un unico processo di ontogenesi dell’immagine che porta alla conoscenza del mondo. Lo stesso termine immagine si presenta applicato a differenti campi cognitivi: l’anticipare, il percepire e il ricordarsi. In questo senso l’autore afferma che: «Ciò che caratterizza l’immagine è il suo essere un’attività locale, endogena, che esiste tanto prima dell’esperienza, come anticipazione, o dopo, come simbolo-ricordo» (IMI p. 10). Questa è dunque un contenuto mentale di cui si ha coscienza, ossia è inserita all’interno di una trama di continuità mentale. Simondon ricerca così quel milieu di immagini entro e sul quale si afferma il reale, concepito non come un campo inerte ma come una relazione trasversale tra più livelli che produce il senso degli oggetti e dei soggetti.
Ciò che deriva da questo processo è la creazione di un simbolo, ovvero una relazione analitica di riavvicinamento tra un tutto primordiale materiale e una linea accidentale conoscitiva: «Il termine simbolo significa criterio di unificazione» (IMI p. 11). Con questa formula Simondon propone una continuità tra gli stati mentali della coscienza, e gli stati empirici della percezione, riuniti sotto il simbolo: in questo schema la realtà è una continuità di immagini. Qui il pensatore francese si riavvicina alla tradizione antica dei materialisti, in particolare a Lucrezio e alla teoria dei simulacri e alla loro generazione materiale (La Natura, Libro IV, 129-42), poiché le immagini mentali sono i simulacri della realtà «il simbolo non è mai un flatus vocis, presuppone un realismo empirico» (IMI p.12). L’immagine è un campione parziale della vita, ma resta astratta proprio a causa della sua parzialità. Tale duplicità permette a essa di essere «[…] abbastanza astratta per liberare il soggetto, e abbastanza concreta per fornire un campione […]» (IMI p. 18). Un ciclo che va dall’immagine al reale e viceversa, stabilizzando la conoscenza in quanto approccio pratico che si trasforma in un’istituzione, impregnando le società di una forza data da quella interpretazione del mondo. L’immagine diviene così il germe dello sviluppo e dell’innovazione individuale e sociale. Si tratta perciò di studiare il ciclo dell’innovazione come modello universale di un processo di organizzazione del sociale e del culturale, sondando le diverse fasi che vanno dal soggetto, all’oggetto e al mondo.
Su questi presupposti si pone l’indagine dell’immagine come realtà intermediaria tra soggetto e oggetto, ossia come astrazione mentale di un dato concreto materiale. L’interesse per l’immaginazione risiede nel concepirla in quanto modo del conoscere le immagini come dotate di un proprio potere. Sebbene rimandi all’errore, Simondon vuole distaccarsi da una concezione dell’immaginazione come sola facoltà psichica. In questo punto si nota la vicinanza del pensatore francese a Spinoza e alla sua teoria della conoscenza (Etica II Prop. 40 Scol. 2), ma anche la polemica con Sartre secondo cui il mondo dell’immaginazione è solo un mondo sterile (Immagine e Coscienza, pp. 230-48), poiché così si nega la distinzione tra la funzione simbolica e l’immaginario. Per l’autore l’immaginazione non è una mera “coscienza immaginante” delle immagini mentali, ma ogni immagine è dotata di un potere fantomatico, “numinoso”, che trova la sua esplicazione in riti e atti collettivi. La vicinanza dell’immaginazione e delle immagini ad aspetti psichici, come quello del sogno, denota la centralità di questa nella costruzione di una realtà mentale che non trascende, ma è implicita, nel mondo. Per mezzo delle immagini l’attività mentale mostra il suo carattere sociale, poiché essa è un insieme di immagini implicate in un’unica attività cosciente.
Lo studio dell’immaginazione consiste nella ricerca di un senso, di una interpretazione degli oggetti-immagine dallo stato neotenico a quello immaginale. Simondon si rifà alla fenomenologia con l’intento però di salvare i fenomeni reinnestandoli nel divenire, attraverso l’arricchimento dell’immagine che essi racchiudono e dischiudono, leggendo così i fenomeni in quanto plurifunzionali. Ciò è reso possibile poiché essa è legata e assimilabile alla percezione e prefigura la previsione, una praxis tendente allo sviluppo dell’atto già cominciato. L’immaginazione si mostra così come un atto conoscitivo e pratico del reale.
Con questa lettura si prefigura un’ontogenesi dell’immagine a più livelli e fasi attive funzionali, dal materiale al simbolico, che si conclude con l’innovazione e la produzione di nuove immagini. Dapprima essa si forma spontaneamente, ossia come antecedente dell’esperienza. Questo è il livello biologico o vitale, ossia concepire tutto un organismo come mezzo d’attuazione dell’immagine. Tale è il caso delle cellule embrionali o della crescita organica di alcuni licheni. Secondariamente, l’immagine diviene il mezzo di ricezione delle informazioni provenienti dall’ambiente e una fonte di schemi e prefigurazioni. A livello psicologico, essa è dunque uno strumento di adattamento e rappresentazione dell’oggetto. Simondon esemplifica tale teoria attraverso lo studio condotto da alcuni biologi (IMI cfr. pp. 85-90) sul volo degli uccelli in cattività, i quali riproducono i movimenti della caccia seppur mai avendola praticata prima. Infine, essa si connota secondo un carattere affettivo-immaginativo, un modello sistematico di legami e di forme di comunicazione, un modello simbolico prodotto dalla relazione tra il soggetto e l’ambiente che norma il reale con simboli collettivi. L’immagine è qui anticipazione, memoria e ricordo che ha le sue origini nelle situazioni storiche. L’invenzione è la risultante ultima di questo processo, un cambiamento di organizzazione del sistema d’immagine che permette di reiniziare la genesi immaginativa. Tale ciclo non è propriamente dialettico, ma stadiale, e i suoi risultati sono nuove logiche da cui sviluppare un pensiero riflessivo e sistematico che permette di analizzare molteplici contenuti (culturali, sociali, tecnici etc). Ricollegandosi al pensiero di Bergson (Materia e Memoria, pp. 113-51) l’immagine difatti non si può scindere dal suo contenuto affettivo e psicologico, i simboli che ne derivano trovano il loro senso all’interno di questa rete che scandisce la vita dell’umano.
Dunque, le prime tre parti del testo indagano la genesi dell’immagine, il suo ciclo di crescita, sviluppo e affermazione come elemento pre-individuale dell’attività mentale umana. L’immagine diviene un organo, nel senso stretto della biologia, facente parte di un organismo più grande e complesso: in questo senso essa è un’entità relazionale. La parte conclusiva del testo si sofferma sull’ultimo stadio dell’immagine, ossia quando essa si “satura” e raggiunge un punto in cui muta la sua relazione e, di conseguenza, muta l’organizzazione del rapporto ambientale tra soggetto e oggetto. Tale punto di saturazione fa emergere le linee direttrici della totalità delle immagini, mutando da fatto particolare a fatto collettivo. Un passaggio questo che trasforma l’immagine-simbolo all’interno dell’immaginario in cui è inserita. Tale è il momento dell’invenzione che «[…] si esprime nella posizione di un sistema organizzato che include come sottoinsieme l’essere vivente attraverso il quale avviene» (IMI p. 224). Il paradigma che ne emerge ha una doppia prospettiva relazionale, da una parte come sottoinsieme stesso del paradigma proprio dell’individuo, dall’altra come sovrainsieme di funzioni che organizzano il sociale. Una doppia prospettiva dell’invenzione che trae la sua forza dalla dualità, dall’implicazione di una prospettiva nell’altra.
Si esplica così una compatibilità tra l’individuo e il suo ambiente, tra l’interno e l’esterno di un organismo, i quali sono, in definitiva, il medesimo risultato raggiunto da due prospettive diverse ma complementari. Come affermato dallo stesso Simondon, «Non è ogni oggetto creato che deve essere considerato separatamente dagli altri, ma l’universo di mediazione che essi formano e nel quale ognuno serve parzialmente come mezzo agli altri» (IMI p. 226). Difatti, l’oggetto creato è il risultato del mondo organizzato tramite quell’oggetto stesso, “l’involucro” di singole esistenze concrete. In questa proposta l’ambiente diviene il reticolo degli oggetti prodotti dalle immagini degli organismi: tra soggetto e oggetto vi può essere solo continuità e una mera distinzione di grado. L’invenzione come fase finale del ciclo delle immagini fa sì che le immagini appartengano di diritto, e di fatto, ai processi generali dell’organizzazione delle attività umane. L’immagine mentale, quando si satura di contenuti, si formalizza in un simbolo che innesta il processo dell’innovazione e riorganizza l’intero schema delle attività umane. Il ciclo dell’immagine che culmina con l’invenzione diviene un sistema “autocinetico” di interazione e approccio all’ambiente, il quale viene studiato tramite l’immaginazione.
In conclusione, il testo nella sua edizione italiana rende disponibile al pubblico italiano un testo di un autore chiave del ‘900 francese. In particolare, in Immaginazione e invenzione si trova compiuto quel processo della filosofia simondoniana che parte dall’atto motorio iniziale, al sistema nervoso complesso, raggiungendo la produzione di oggetti, trovando nell’invenzione l’atto pratico par excellence per comprendere i molteplici milieu che compongono il mondo.
BIBLIOGRAFIA
Simondon G., Immaginazione e invenzione (1965-1966), Milano, Mimesis, 2023.
Bardin A., Epistemologia e politica in Gilbert Simondon. Individuazione, tecnica e sistemi sociali, Vicenza, FuoriRegistro, 2010.
Bergson H., Materia e memoria, Bari, Laterza, 2021.
Lucrezio, La natura, Milano, Garzanti, 1975.
Sartre J. P., Immagine e coscienza, Torino, Einaudi, 1960.
Alessandro Balbo è studente magistrale presso l'Università degli di studi Bologna "Alma Mater Studiorum". Si è laureato all'Università degli studi di Torino nell'aprile 2021, con una tesi intitolata: Nietzsche Anarchico: Un confronto tra Emma Goldman e Gianni Vattimo. Collabora al centro di ricerca Sive Natura. Ha scritto una serie di recensioni per la rivista Philosophy Kitchen. I suoi interessi si focalizzano sulla filosofia teoretica, politica, e morale, in particolare sul rapporto tra collettività e individualità e sulla gestione e formulazione del potere. I principali autori di riferimento sono Nietzsche, Spinoza e Deleuze.