Pastore, "Le regole dei corpi: medicina e disciplina nell'Italia moderna"

Recensione di Attilia Di Corato

Copertina Pastore

Alessandro Pastore, Le regole dei corpi: medicina e disciplina nell'Italia moderna, Bologna: Il Mulino, 2006, pp. 246. 

Partendo dalla considerazione che fino agli ultimi decenni del Novecento il corpo è stato un terreno di ricerca poco frequentato dagli storici e studiosi delle scienze sociali, il libro di Alessandro Pastore dal titolo Le regole dei corpi: medicina e disciplina nell'Italia moderna si propone di mostrare come nell’Italia della prima età moderna il controllo dei corpi attraverso la pratica medica e giuridica si conformi a una certa idea di ordine sociale e, al tempo stesso, informi la struttura sociale stessa. Si nota difatti che il corpo non si esaurisce nella sua realtà fisica, ma è anche caratterizzato da una dimensione simbolica che lo lega direttamente alla sfera politica. L’autore mostra, a questo proposito, come varie figure rispondenti a profili professionali diversi – vengono menzionati medici, funzionari, storici e filosofi che mirano a svolgere delle analisi politiche sui meccanismi di governo – utilizzano il corpo anatomico come metafora del corpo politico e viceversa, nell’intento di mettere in luce le funzioni delle loro componenti e le gerarchie vigenti tra le parti all’interno di essi. È opportuno considerare il fatto che queste metafore spesso non rimangono semplicemente tali, ma anzi si traducono in scelte e consigli che danno luogo a effettivi processi materiali di organizzazione del corpo sociale, che infatti si presenta come una reale «proiezione del corpo umano» (p. 40). 

Secondo questo schema, viene quindi a crearsi un legame stretto tra medicina e potere politico, per cui il governante, nell’esercitare il suo controllo e la sua azione contro le patologie che colpiscono lo stato e nel disporre soluzioni che portino a un suo risanamento, viene paragonato a un medico impegnato nella cura dei suoi pazienti. Su questa stessa traccia, il sapere medico e, in un certo senso, la sua possibilità di controllo sul corpo fisico, dovuta alla conoscenza sempre più approfondita di quest’ultimo, si rivela uno strumento utile, a fianco del sapere giuridico e dell’esercizio del diritto, per una forma di disciplinamento della società. D’altronde, in svariati campi di applicazione, come nel caso dell’esplosione di epidemie di peste che caratterizzano questi secoli, le valutazioni dei periti medici spesso consultati risultano essere particolarmente adeguate e congeniali alle scelte delle autorità politiche in materia di gestione dell’ordine pubblico. Scelte che vedono come necessario il ricorso a delle vere e proprie amputazioni delle parti malate del corpo sociale (p. 47), secondo il nesso che lega insieme infezione, povertà e pericolosità quali possibili fattori di alterazione della stabilità ordinaria.

Pastore pone dunque molta attenzione al ruolo che la figura professionale del medico viene ad assumere sia nei momenti di congiunture particolarmente negative, come in periodi di carestia accompagnata dalla diffusione di malattie epidemiche ad alto rischio di contagio, sia nei procedimenti giudiziari accanto ai professionisti del diritto. Non è un caso che in questi anni, ovvero tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, si collochi la nascita e fondazione, a opera di Paolo Zacchia, della medicina legale moderna, disciplina che rispondeva a una crescente e reciproca esigenza di collaborazione tra medicina e diritto, esigenza che a sua volta traeva alimento dagli avanzamenti ottenuti in questo nuovo ambito. Anche qui, vi è l’esercizio di un controllo del corpo su più fronti che «consentiva una più efficace disciplina dell’organizzazione sociale» (p. 99). Viene detto, però, esplicitamente che, per quanto il medico acquisti un ruolo sempre più determinante nei procedimenti giudiziari, uno sguardo che tenga conto della «realtà sociale» e della «permanenza di quadri teorici» di riferimento non può non costatare che la scienza del diritto sia percepita in ogni caso come più onorabile di quella medica, anche per il semplice fatto che il giurista mantiene una distanza maggiore dal corpo e da quei materiali ritenuti ignobili (p.98). 

L’indagine condotta dall’autore ricopre un arco temporale che si estende dal Rinascimento fino al Seicento, con qualche rapida incursione nel Settecento, e procede attraverso l’illustrazione di un ricco numero di esempi e dati derivanti da testi di medicina, diritto e da vari resoconti di bilanci e patrimoni degli istituti assistenziali. Queste fonti sono documenti per lo più compilati da personaggi colti ed eruditi, con cui si cerca di mostrare come le scelte e le considerazioni dei rappresentanti del potere politico-giuridico vadano di pari passo con quelle degli esponenti della corporazione medica, proponendo soluzioni che soddisfano una generale esigenza di regolamentazione e controllo dei corpi, la quale si esplica poi in diverse forme che questo libro cerca appunto di illustrare. Attraverso una lettura tra le righe di questi testi di autori della prima età moderna, vi è però anche il tentativo di mettere in luce la presenza di quei «corpi ignoti, silenziosi, che non hanno lasciato una traccia forte, significativa, personale di sé» su cui il controllo si esercitava (p. 10). Si tratta dei corpi dei mendicanti, dei vagabondi, dei simulatori di malattie, di coloro che erano sottoposti alla tortura, ma anche di coloro che erano esclusi dalle strutture di assistenza ed espulsi dalle città, e dei corpi dei poveri, la cui massiccia presenza, a meno che essi non manifestassero condizioni di infermità, non era considerata, neanche dalle figure ecclesiastiche stesse, un sintomo di problemi sociali più generali di cui lo stato dovesse in qualche modo farsi carico.

Il libro si compone di nove capitoli, tutti estremamente densi, i quali in realtà traggono la loro origine da precedenti saggi o discorsi tenuti in occasione di seminari e conferenze, messi a punto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila. Nel primo capitolo viene chiarita la metafora tra corpo fisico e corpo sociale e politico. Si tratta di una premessa necessaria allo scopo di rendere più chiari i nessi che vengono a configurarsi tra la capacità di controllo esercitata dai medici sul corpo fisico e il suo riflesso nel campo del diritto e dell’ordine pubblico. Pastore fa notare come da alcuni autori moderni venga messo in evidenza l’aspetto conservativo della funzione che spetta al medico e al sovrano nei riguardi della salute del corpo, rispettivamente, dell’individuo e dello stato (p.23). Il secondo capitolo si concentra sul caso delle epidemie di peste e sulla gestione dei problemi che ne derivano o si ritiene possano derivarne in termini di contagio e disordini sociali. Si considerano soprattutto i trattati di quei giuristi che vogliono far fronte a problemi pratici e che individuano la necessità di competenze mediche anche per i magistrati. In questo ambito, i legami tra sapere medico, giuridico e potere politico appaiono particolarmente intrecciati, e tendono a convergere su soluzioni di pulizia sociale, che garantiscano la conservazione della gerarchia sociale e rispondano anche a esigenze di igiene morale. Nel terzo capitolo l’attenzione si sposta su quei medici chiamati a esprimere il loro parere professionale nei casi di smascheramento dei falsi malati, dimostrandosi nuovamente un valido supporto al funzionamento di una macchina giudiziaria che opera nell’ottica di estirpare quella che è considerata non solo una minaccia all’ordine sociale, ma anche una grave infrazione spirituale, da punire in modo severo. Nel quarto capitolo si osserva, attraverso un confronto con alcuni testi di pratica giudiziaria e criminalistica del tempo, che gli esperti dell’arte medica cominciano a essere ritenuti una presenza necessaria e imprescindibile per la risoluzione di casi criminali e vengono perciò trattati come teste privilegiati capaci di esercitare un notevole peso nel procedimento probatorio. Il quinto capitolo affronta un ulteriore caso in cui il ricorso alla collaborazione sanitaria si rende indispensabile, ovvero la pratica della tortura. In questo ambito, la medicina legale viene ad assumere addirittura una funzione di legittimazione di tale pratica contro un eventuale eccessivo arbitrio dei giudici. L’autore rileva acutamente come è proprio attraverso un controllo sull’esercizio della violenza sui corpi che il medico, in qualità di depositario di un preciso sapere tecnico e specialistico, si garantisce un percorso di affermazione professionale autonomo, senza che a questa rivendicazione si accompagni però una riflessione etica e deontologica e rimanendo perciò in realtà dipendente da quelli che sono gli obbiettivi della giustizia criminale. 

Nei capitoli successivi, che vanno dal sesto al nono, Pastore si sofferma sulle forme di organizzazione assistenziale e corporativa: i Monti di Pietà cittadini, gli ospedali e i collegi medici. Queste ultime due strutture in particolare sono caratterizzate da forme di disciplinamento, esclusione e controllo che riguardano l’ambito medico prima ancora che l’ordine sociale, anche se questi, nei fatti, paiono il riflesso l’uno dell’altro rispetto alle loro dinamiche di funzionamento, senza che si possa stabilire una reale priorità cronologica. Se nel caso degli ospedali appare più immediato il collegamento con una funzione segregativa di parti della popolazione marginali, considerate potenzialmente pericolose, e con una dimensione di rigida disciplina – un profilo più spiccatamente terapeutico e sanitario di queste strutture emergerà in effetti molto lentamente nel corso del Cinquecento e nei secoli a seguire – si nota come anche i collegi medici attuino misure di prevenzione e repressione che si inscrivono in un quadro di controllo sociale. L’intento qui è ovviamente diverso e consiste nel voler circoscrivere gli ambiti della professione e garantire il suo esercizio ai membri della corporazione medica. Le regole degli statuti e i criteri selettivi di accesso, peraltro sempre più rigidi a partire dalla metà del Quattrocento, portano a definire un territorio esterno popolato da altre figure sanitarie su cui si deve esercitare una stretta sorveglianza, e, al contempo, alla delineazione di una gerarchia interna verso la quale si richiede rispetto e obbedienza. È facile dunque a questo punto, dopo aver illustrato dettagliatamente il funzionamento di alcuni di questi collegi, mostrare come non solo in essi si replichino meccanismi volti a disciplinare gli individui, ma come risultino funzionali anche al mantenimento di una stabile struttura sociale (cap. VI). Allo stesso modo, gli enti ospedalieri, che al loro interno prevedono una scansione della vita dettata da regimi molto rigidi, mostrano una plateale contraddizione tra la loro funzione caritativa e di sostegno a bisognosi e infermi, e la loro funzione repressiva nei confronti delle fasce marginali della popolazione. Inoltre, il fenomeno per cui spesso gli interventi di risoluzione di problemi finanziari degli ospedali sono messi in atto da figure detentrici di un potere politico, civile o ecclesiastico, rappresenta un ulteriore fattore che lega questi luoghi di assistenza a forme di controllo e disciplinamento del corpo sociale. 

Il concetto attorno a cui ruota tutta la trattazione è quello di disciplina, intesa come governo dei corpi, e, infatti, Pastore ritiene inevitabile un richiamo a Foucault e alla sua opera Sorvegliare e punire. Tuttavia, dopo aver ricordato come il termine si ricolleghi alla serie di rigide norme che vigevano all’interno delle comunità monastiche, afferma l’esigenza di compiere delle valutazioni procedendo caso per caso, nel tentativo di far emergere attraverso i singoli esempi esaminati il «nesso corpo/società/politica» (p. 12) ed evitare discorsi che diventino generali al punto da appiattire le varie differenze ed eccezioni. Il libro ha quindi un taglio storico che predilige le descrizioni empiriche e specifiche dei fatti che va a trattare, con uno sguardo che si focalizza sulla clinica medica e la medicina legale. L’autore spesso tiene a evidenziare come giuristi e medici, tra cui lo stesso Zacchia nelle Quaestiones, hanno l’esplicito intento di fornire consigli pratici ai lettori e perciò si muovono nei loro scritti secondo un approccio in cui l’uso di una gran quantità di esempi è considerato un supporto fondamentale alla metodologia da seguire nel corso delle indagini, dei processi e nella scelta di strumenti che preservino l’ordine pubblico. Forse, questa rimarcata attenzione verso tali aspetti rispecchia in una certa misura anche il modo di procedere di Pastore stesso, che affronta i vari argomenti fornendo un notevole corredo di casi particolari e guardandosi dal compiere grossolane generalizzazioni. Il fatto che il libro sia composto da un serie di saggi che sono stati solo successivamente unificati ha come conseguenza il fatto che il filo rosso che tiene insieme l’intera trattazione non sia sempre così esplicito. Nonostante questo, l’analisi estremamente dettagliata dei vari contesti permette di riflettere in maniera profonda sulle diversificate forme di controllo e disciplinamento che operavano in ambito medico fortemente in assonanza con gli obbiettivi delle autorità politiche.

 

Mi chiamo Attilia Di Corato. Ho conseguito la laurea triennale in Filosofia all’Università di Bologna nel 2020 con una tesi in Storia della filosofia dal titolo Dall’Etica come sistema all’etica come etologia: Gilles Deleuze interprete di Baruch Spinoza, che mira ad analizzare l’interpretazione di Spinoza proposta da Deleuze in diversi suoi scritti, per capire se gli aspetti verso cui si orienta la riflessione deleuziana variano nel corso degli anni. Attualmente sono studentessa magistrale in Scienze Filosofiche presso la stessa università e lavoro a una tesi in cui cerco di indagare e approfondire il concetto di eccesso nella filosofia di Spinoza. Altri temi verso cui nutro interesse e che ho già incontrato e spero di poter approfondire riguardano la storia sociale della scienza e la filosofia della psichiatria. Mi piacciono la musica, il tè e il disegno.