Perreau,"Bourdieu et la phénoménologie. Théorie du sujet social"

Recensione a cura di Cristiana Brandaleone

Esiste un modo di leggere Pierre Bourdieu che sfugge alla sociologia, svelandone una profondità filosofica spesso ignorata. Laurent Perreau, nel suo ultimo lavoro, Bourdieu et la phénoménologie: Theorie du sujet social, pubblicato nel 2019 da CNRS Editions, si avventura in questo territorio inesplorato, offrendo una lettura profonda e articolata del rapporto tra il pensiero di Pierre Bourdieu e la fenomenologia e invitando a considerare una riconversione dei concetti e delle analisi fenomenologiche nel panorama della sociologia bourdeusiana.

Il volume è strutturato in quattro sezioni. Nella prima, intitolata Sur une opposition rituelle en sciences sociales, Perreau introduce il progetto di Bourdieu per la costruzione di una nuova teoria della pratica, concepita come strumento critico verso la fenomenologia sociale. Le tre sezioni successive approfondiscono progressivamente le modalità in cui questa critica si articola, nei concetti di Normativité, Temporalité e Reflexivité

Perreau chiarisce fin dalle prime pagine i due obiettivi principali del suo lavoro. Il primo è esplorare il complesso rapporto che Bourdieu stringe con la fenomenologia sociale, mettendo in luce sia le influenze subite sia le critiche che le sono rivolte. Il secondo obiettivo è dimostrare l’esistenza, nel pensiero di Bourdieu, di una teoria del soggetto sociale, intesa come presupposto teorico della sua antropologia della pratica e, quindi, della sua sociologia delle pratiche (p.11). In tal modo, Perreau ci guida verso la scoperta di una “teoria dell’agente” in Bourdieu che supera i confini della pura analisi sociologica.

L’autore inaugura l’opera con una serie di capitoli di alta densità metodologica, frutto di un rigoroso lavoro di analisi comparativa dei testi e di approfondimento filosofico. Essi risultano essenziali per situare il lettore all'interno del complesso universo critico-concettuale di Bourdieu, predisponendo il contesto teorico necessario per una comprensione approfondita. Il testo avanza in modo graduale attraverso una chiarificazione concettuale, interrogando i termini e i concetti centrali impiegati da Bourdieu per articolare il progetto della scienza sociologica e le modalità del suo procedere come pratica scientifica.

Seguendo i primi saggi teorici di Bourdieu, dall'Esquisse d’une théorie de la pratique (Droz, Ginevra,1972) fino a Le sens pratique (Les Editions de minuit, Parigi, 1980) si può notare che viene dato particolare rilievo all’approccio antropologico, il quale emerge come presupposto imprescindibile della pratica scientifica stessa, che “ne è abitata ed orientata” (Bourdieu, 1972, p.221). Ciò su cui ci invita a interrogarci Perreau è in che modo l’antropologia, secondo Bourdieu, si impone come condizione essenziale per una sociologia delle pratiche.

L’autore chiarisce che, nell'ottica bourdeusiana, l’antropologia fornisce la base concettuale per la ricerca sociologica, rispondendo all’esigenza epistemologica di garantire l'oggettività del discorso scientifico. L’analisi si concentra sullo sforzo di Bourdieu di realizzare, mediante un’antropologia della pratica, una “messa tra parentesi” (epochè) delle condizioni storico-trascendentali che presiedono all'oggettivazione in ambito sociologico. L'antropologia della pratica si rivela dunque nel suo carattere rivelatore delle condizioni antropologiche — storiche e sociali — che danno vita alla pratica stessa. L’obiettivo è rivelare un terreno neutro per lo sguardo scientifico, in cui teoria e pratica si manifestano nella loro reciproca co-dipendenza, prima di qualsiasi cesura (copure) epistemologica e sociologica.

Per comprendere meglio questo denso passaggio concettuale, nella seconda sezione Perreau ci invita a esplorare le diverse definizioni di “pratica” che emergono dagli scritti di Bourdieu. La “pratica pura”, intesa come azione priva di senso, non trova posto nelle scienze sociali: se le pratiche costituiscono l’oggetto della sociologia è perché possiedono un senso, dato dalla loro capacità di mobilitare una conoscenza implicita e pratica a livello sociale.

Per tali ragioni, secondo Bourdieu, il discorso teorico deve anzitutto riflettere sulle proprie radici pratiche: solo interrogando la propria dimensione di appartenenza e origine nella pratica la teoria potrà analizzare i modi in cui tenta di distaccarsi da essa e in che termini viene effettuata quella che Perrau definisce una “doppia cesura”, gnoseologica e sociale, ovvero la negazione della dimensione pratica e sociale da cui la teoria stessa sorge. Il fine di Bourdieu è perseguire una conoscenza prasseologica che, pur attingendo al soggettivismo- per lo più fenomenologico- e all’oggettivismo- per lo più strutturalista-, ne prenda le distanze per edificare un nuovo apparato concettuale. 

Dal punto di vista fenomenologico, la pratica viene intesa come un oggetto coscienziale, risultato di un atto costitutivo della coscienza trascendentale, quindi un’unità di senso chiusa in se stessa. In netto contrasto, Bourdieu propone una visione relazionale e costruttivista: il senso di una pratica non risiede in una dimensione interiore e intenzionale del soggetto, ma è intrinseco alla pratica stessa, costituendosi a partire da essa. Il senso si impone alla pratica, conferendole un ordine e una regolarità temporale che emergono dalla messa in relazione di “strutture oggettive” e “strutture soggettive.” Lungi dall’essere un puro prodotto della coscienza intenzionale, la pratica emerge, infatti, da una relazione dialettica tra uno spazio oggettivo, definito dalle strutture di capitale che configurano il campo sociale come una rete di rapporti di forza, e teorizzate nel concetto di campo, e i sistemi soggettivi di apprezzamento e classificazione, raccolti nel concetto di habitus. Campo e habitus sono i due termini chiave a partire dai quali si sviluppa tutta la prasseologia di Bourdieu. In altri termini, si può affermare con Bourdieu che la pratica si struttura nella “messa in relazione tra l’intenzione significante di un comportamento, espressa dal concetto di habitus, e la sua significazione sociologica, veicolata dal concetto di campo” (p.98).

L'adeguamento dei gusti e delle percezioni soggettive alla necessità dello spazio sociale avviene tramite un’esperienza doxica (p.122), ovvero l’assimilazione inconscia delle strutture oggettive che regolano il campo sociale. Questo processo di incorporazione fa sì che le modalità di percepire, valutare e agire appaiano spontaneamente allineate con la realtà sociale, dando l’illusione di una coerenza naturale. La doxa, dunque, si fonda su un’ignoranza strutturale: essa oscura i meccanismi che determinano la scala di valori e gusti dell’agente sociale, nascondendo il carattere politico di queste percezioni. Di fronte a tale stato di impliciti, la sociologia assume il compito di svelare la contingenza e l'arbitrarietà dell’esperienza doxica, restituendole la sua relatività storica e sociale.

In questo contesto, Perreau individua nell’epoché un concetto cruciale, mutuato dalla fenomenologia e radicalizzato da Bourdieu (p.119). Se nell’epoché fenomenologica, ovvero la messa tra parentesi del nostro atteggiamento naturale nei confronti del mondo, l’obiettivo è sospendere il giudizio per permettere una descrizione dei vissuti coscienziali, Bourdieu propone una “epoché pratica”, che consente di problematizzare le strutture sociali alla base dell’esperienza individuale. Ciò permette di andare oltre la “doppia cesura” sociologica e gnoseologica, esplorando le condizioni sociali che orientano l’agire e il percepire. Per rendere possibile tale epoché, è necessario re-inserire il soggetto all’interno di una dimensione sociale e temporale specifica, riconoscendolo come prodotto di un contesto storico piuttosto che come soggetto universale della conoscenza. In tal modo, Bourdieu si propone di ampliare la critica kantiana della ragione: non solo un’indagine sulle condizioni di possibilità della conoscenza, ma una riflessione sulle condizioni sociali che rendono possibile l’esercizio critico della ragione, inclusa la sua funzione pratica e sociale. 

A partire dalla terza sezione del saggio, Perreau esplica la relazione tra Bourdieu e la fenomenologia a partire dalla teoria della temporalizzazione delle pratiche. Essa viene sviluppata da Bourdieu soprattutto in Meditations pascaliennes (Éditions du Seuil, Parigi, 1997) e Raisons pratiques (Éditions du Seuil, Parigi, 1994) e prende vita attorno ai concetti di adattamento e disadattamento (ajustement e désajustement). La fenomenologia husserliana contribuisce notevolmente allo sviluppo di una concezione del tempo pratico, non più inteso come un punto nella linea spaziale ma come “un insieme di possibilità aperte nel presente, presentate in modo più o meno confuso in previsione di ciò che verrà, e realizzate selettivamente nella precipitazione del passato” (p.192).

Tuttavia, Bourdieu si discosta dalla fenomenologia tradizionale concentrandosi sull’habitus come principio d’azione e attribuendo un ruolo privilegiato alla protensione (coscienza anticipante del futuro), rispetto alla ritenzione (memoria di ciò che è appena passato) che dominava in Husserl. In questo modo, la dinamica temporale dell’habitus tende a essere influenzata dalle esigenze del campo sociale, anticipando il futuro in relazione ad esso. La dialettica tra habitus e campo non è garantita e può generare uno scontro, soprattutto quando l’habitus persiste oltre il contesto per cui è stato formato. Tale fenomeno viene spiegato da Bourdieu con il concetto di hysteresis, ovvero un ritardo strutturale dell’habitus rispetto all’evoluzione del campo, che è possibile ritrovare nei suoi studi sulla situazione algerina di fine anni ‘50, in cui si presenta una messa in discussione dei dispositivi acquisiti tradizionali e l’esigenza di dispositivi nuovi dettati dal nuovo sistema economico capitalista. 

Nella quarta parte dell’opera, la prasseologia di Bourdieu si confronta con la fenomenologia attraverso una critica del soggetto come auto-posizionamento. Se per Husserl la riduzione trascendentale riportava alla soggettività gli atti della costituzione del mondo oggettivo, Bourdieu suggerisce una riflessività sociologica che esponga le condizioni sociali di possibilità del soggetto conoscente, non limitandosi alle condizioni soggettive.

Negli ultimi capitoli, l’autore esplora il concetto di incosciente sociale, intimamente legato all’habitus e alla riflessività sociologica. Bourdieu, pur criticando la psicanalisi per la sua mancanza di attenzione alle strutture sociali oggettive, ritiene che l’inconscio in sociologia sia uno strumento prezioso per la comprensione dell’habitus, frutto di conoscenze sociali passate e oggettività condizionata da strutture presenti. In tal senso, la prassi bourdesiana mira all'auto-oggettivazione, all’esibizione delle condizioni socio-trascendentali e alla rivelazione dell’inconscio storico-sociale, in una continua auto-analisi che Bourdieu applica a se stesso come intellettuale. Tale riflessività diventa un atto di resistenza contro le dominazioni sociali, permettendo al soggetto di liberarsi non solo dalle proprie determinazioni ma anche dalle imposizioni che può infliggere sugli altri.

Bourdieu et la phénoménologie è un libro che riflette oltre i limiti delle due discipline alle quali si indirizza- sociologia e fenomenologia- riuscendo, in tal modo, a ricollocare uno degli autori più celebri nel panorama intellettuale francese contemporaneo sotto una nuova prospettiva, costituita da tutti quei presupposti filosofici pur presenti nel pensiero sociologico di Pierre Bourdieu, ma da lui mai dichiaratamente esplicitati. Perreau dimostra che l’originalità di Bourdieu non risiede solo nella critica alla fenomenologia sociale o nella costruzione dei concetti di habitus e campo, ma nella capacità di articolare un’epistemologia della pratica che interroga in profondità le condizioni sociali della conoscenza e dell’azione, alla base di un feroce apparato di disuguaglianze e dominazioni.

Dopo aver conseguito la laurea triennale in Filosofia presso l'Università di Bologna, sto frequentando il corso di laurea magistrale in Scienze Filosofiche nello stesso ateneo. Nel corso dei miei studi, ho trascorso un anno presso l’Université Jean Moulin Lyon 3 di Lione e un anno all’École Normale Supérieure di Parigi. Attualmente, sto svolgendo un periodo di ricerca per la tesi magistrale agli Archivi Husserl di Parigi. I miei interessi di ricerca includono la fenomenologia, la sociologia e la filosofia francese contemporanea, con un focus sull'analisi delle disuguaglianze sociali nei sistemi culturali. I miei autori di riferimento sono Edmund Husserl, Wilhelm Dilthey, Pierre Bourdieu e Alfred Schutz.