Herzog, “Citizen Knowledge: Markets, Experts, and infrastructure of Democracy”

Recensione di Nicola Lombardi.

copertina libro

In questo testo, Lisa Herzog mette in luce la crisi che il modello di democrazia occidentale sta vivendo e, nel tentativo di scoprirne una affidabile chiave di lettura, individua la necessità di ricostruire un dialogo stabile e consapevole dei cittadini con le modalità attraverso le quali si realizza il processo conoscitivo: tale dialogo è infatti giudicato fondamentale per lo sviluppo di quelle che definisce Well-Ordered Societies.
Già nelle prime pagine dell’introduzione, l’autrice dichiara che la democrazia è presa come «nonnegotiable normative starting point» (p.9): proprio per questo motivo, mette in guardia sui rischi che possono derivare dalla perdita di ogni forma di equilibrio nella relazione tra sistema capitalistico e forma di governo dei paesi in cui opera: tale situazione pericolosa si sta instaurando velocemente e si è in molti casi ormai imposta; da qui la domanda chiave che percorre l’intero testo: «what is that is going wrong in the relation between democracy, markets and knowledge?» (p.16).

L’analisi si sviluppa in maniera trasversale e non rimane su un terreno prettamente filosofico, ma viene integrata da approfondimenti che coinvolgono vari campi di ricerca: su tutti economia e sociologia. Il testo si struttura attraverso la divisione in 11 capitoli, che a loro volta, in maniera puntuale e attenta, presentano i contenuti seguendo il medesimo schema (un’introduzione, uno svolgimento e una conclusione); la chiarezza e l’esaustività dei diversi temi affrontati permetterebbe forse anche un approccio selettivo ai singoli capitoli, ma è solo grazie a una lettura d’insieme che si possono cogliere in profondità i passaggi e il punto di vista che ha portato a sviluppare la tesi del libro.

Nel primo capitolo, che funge da introduzione e presentazione all’intera opera, l’autrice dimostra con chiarezza come l’aver lasciato al sistema dei mercati neoliberisti il controllo totale e assoluto della diffusione della cultura abbia causato gravi problemi. La strategia in base alla quale i mercati agiscono – come ad esempio la «Tobacco Strategy», oggi applicata al cambiamento climatico – mira a garantire e a sviluppare i propri interessi, senza curarsi di diffondere una conoscenza vera: ciò va naturalmente a discapito della società civile che vive una forte polarizzazione tra le conoscenze diffuse dal mercato e quelle che gli esperti cercano di contrapporvi.

Data questa situazione, è importante capire come la filosofia politica possa intervenire per tentare almeno di aprire un dibattito nuovo sul sapere. La proposta di Herzog è di spostare il piano della lotta dalla realtà politica attuale al piano epistemologico: concentrandosi sul metodo di diffusione delle conoscenze, e intervenendo sul piano teorico, si potrebbero limitare i confini entro cui ai mercati è concesso agire e imporre le proprie strategie. Solo in questo modo si potranno guardare i processi politici e sociali con occhi liberi e finalmente sgombri dai condizionamenti imposti dalle strategie neoliberiste. Questa nuova prospettiva permetterebbe di evidenziare quanto il sistema capitalistico abbia perseguito, imponendosi come unico mediatore del processo conoscitivo, a proprio esclusivo vantaggio e come questo predominio sia la causa prima delle sempre più marcate ineguaglianze che caratterizzano le nostre società. Di qui la frustrazione e la sempre più grave solitudine del singolo cittadino. La democrazia necessita almeno di questa ricerca epistemologica perché, se il processo conoscitivo viene lasciato in mano al capitalismo, non solo è in pericolo la giustizia sociale ma «ultimately democracy itself» (p.18).

Dopo questa prima panoramica generale sull’obbiettivo primario del testo, pare però giusto interrogarsi su cosa significhi conoscere qualcosa, su come funzioni il processo conoscitivo. L’autrice sottolinea il carattere sociale della conoscenza: noi conosciamo «as groups, not as individuals» (p.24). Proprio questo carattere sociale ci permette di parlare di conoscenza come fenomeno sempre politico; nel testo, ne sono individuate tre forme o livelli diversi: l’informazione, la conoscenza e la conoscenza esperta (pp. 25-26). L’umano, riprendendo Aristotele, è un essere sociale e, proprio grazie alla collaborazione con gli altri umani e alla condivisione delle conoscenze, la sua vita si semplifica; questo interscambio porta al risultato che «we human beings are animals who “actually enjoy sharing our mind space with others”» (p.31). Questo passaggio chiave individua esattamente una delle problematiche che maggiormente interessano il nostro presente: il cittadino non può però sapere a priori se le proprie conoscenze – le convinzioni che poi lo porteranno ad agire in una determinata maniera – siano corrette: gli interessi capitalistici cercano, soprattutto oggi, di appropriarsi dell’essenza di verità per manipolare le conoscenze e utilizzare le azioni dei singoli a proprio vantaggio: amplificando in questo modo l’ingiustizia epistemica e mettendo a rischio il concetto stesso di democrazia. Dal testo emerge la necessità che l’epistemologia politica provi a limitare gli spazi entro i quali le strategie neocapitalistiche possono condizionare il processo conoscitivo; a questo scopo è indispensabile concentrarsi sul concetto stesso di democrazia e sulle istituzioni che devono attivarsi per sviluppare un confronto tra l’opinione dominante – non necessariamente corretta – e le opinioni di tutte le minoranze. Questo permetterebbe di giungere a una più probabile verità, dal momento che chi è ora emarginato potrebbe offrire una visione sui singoli problemi e sull’insieme dei temi controversi diversa da quella della maggioranza: solo a queste condizioni il confronto sarebbe costruttivo.

Dal terzo capitolo in poi, inizia una vera e propria analisi della società attuale e dell’influenza che il neoliberismo ha su di essa. Dal momento che il fine dei mercati è solamente «the allocation of different goods and services» (p.65), risulta difficile per l’individuo comune instaurare un rapporto di fiducia con l’altro. Le tre forme di conoscenza sopracitate non dialogano tra loro, sono degenerate in sistemi che restano isolati e al servizio del mercato; tale situazione non permette la creazione di un processo conoscitivo etico che «can provide a counterforce to the pull of financial incentives» (p.79). Messe in chiaro queste differenze di scopo, sembra lecito domandarsi come si è arrivati a questa degenerazione, e quali ne sono le cause?. Nel quarto capitolo – attraverso un excursus storico che, partendo dagli anni della Guerra Fredda e passando attraverso l’ideologia del free market, arriva sino ai nostri giorni – l’autrice mette in evidenza la straordinaria attrattiva del paradigma del mercato e i suoi effetti sull’immaginario collettivo. L’analisi procede poi a destrutturare, passo dopo passo, queste convinzioni radicate nella società: dal “marketplace of ideas” (pp. 104-112) al perché non funzionano le simmetrie, tentate da alcuni autori, tra il mercato e il battle or sport game (pp. 112-119). Tutto ciò permette a Herzog di evidenziare come la mancanza di chiarezza nelle argomentazioni proposte da altri autori lasci al mercato lo spazio di approfittarne. Non a caso, la pars construens del testo inizia proprio con il bisogno di delimitare rigorosamente i confini delle varie discipline: tale esigenza appare come «key question for an epistemically well- ordered society» (p.119).

Per ottenere questo risultato, è essenziale l’equilibrio tra la democrazia e le modalità attraverso le quali il neocapitalismo condiziona il processo conoscitivo; ma tale equilibrio non è mai stabile. Esso infatti può essere garantito solo dal dialogo continuo che i cittadini devono instaurare tra di loro per giungere alla conoscenza e alla comprensione del concetto di verità: requisito chiave per l’istituzionalismo democratico e «to live a human life» (p.141). Solo attraverso cooperazione e dialogo i cittadini possono comprendere il significato della Res Publica che – se applicato correttamente, non escludendo cioè le minoranze – può evitare possibili forme di corrosione e/o corruzione che sbilanciano l’equilibrio democratico a discapito, come spesso succede, di un determinato gruppo di persone e a vantaggio di potenti interessi. Se si arriva a lasciare troppa libertà al mercato, anche i benefici da esso portati rischiano di essere compromessi dagli interessi egoistici di particolari gruppi con conseguente danno al benessere sociale.

Proprio nel capitolo settimo, grazie a numerosi esempi si evince quanto «markets work well, epistemically speaking, not despite of, but because of, certain regulation» (p.175). La politica deve mantenere, attraverso la sua corretta attuazione e recuperando il senso vero del suo compito, il primato epistemico: deve essere abile a leggere la realtà e le esigenze della società senza farsi schiacciare da interessi di mercato, ma guardando al bene della democrazia. Per arrivare a questa realtà, un ruolo che appare fondamentale – e sempre più criticato nella società odierna – è quello degli esperti. Essi, attraverso un dialogo e, conseguentemente, un rapporto di reciproca fiducia, collaborano con il resto della popolazione, dimostrando quanto – anche grazie ad autori come Durkheim e Parsons – le loro abilità possano semplificare e incidere sul processo democratico. Esperti e laici – come li definisce l’autrice – sono legati da un rapporto morale che li vincola ad agire in maniera corretta per il bene della comunità. Affidando così l’equilibrio delle forze in gioco non più alla famosa mano invisibile di A. Smith ma a molte mani visibili di esperti in cui si può riporre la propria fiducia.

Una volta compresa dunque la necessità di dialogo tra esperti, e non esperti e l’importanza della creazione di un rapporto di fiducia tra essi, appare essenziale prendere in esame i luoghi e le istituzioni che devono creare e difendere queste relazioni. Si sta parlando di ciò che Herzog definisce ‘epistemic infrastructure of democracy’ cioè «the institutions that democracies need to function well, epistemically speaking» (p.210). Le istituzioni non devono essere considerate e organizzate in modalità fisse e immutabili: seguendo il processo democratico, esse devono adattarsi ai bisogni e alle necessità della democrazia che è sempre in un continuo divenire. Queste infrastrutture – quali scuola, media, organizzazioni civili e sindacati – devono seguire lo sviluppo ma non farsi schiacciare da esso. Si devono accettare e favorire i cambiamenti che possono avere ricadute anche positive (un esempio l’utilizzo di internet che ormai è entrato in ogni aspetto della nostra vita), invece che rimanere ancorati a realtà, ormai obsolete, che solo aumentano lo squilibrio attuale. È proprio all’interno di queste organizzazioni che, secondo l’autrice, si può sviluppare quel senso di fiducia nell’altro che deve essere alla base di una unione forte tra le persone, capace di riportare a un concetto di società solidale, che il mercato è riuscito invece a frammentare e a rendere sempre più competitiva. Il mondo del lavoro, prima di ogni altro, ha necessità di riacquistare questa fiducia, dal momento che, a causa della sua impostazione capitalistica, influisce in maniera negativa sui rapporti interpersonali inducendo i lavoratori ad avere paura, ad autocensurarsi, a subire il ricatto della sua attuale instabilità. Come auspica l’autrice, «democratic societies should have democratic workplaces» (p.267), dove si possa instaurare un rapporto di sana collaborazione tra colleghi che si rispecchierà poi anche in tutta la società, opponendosi all’elite oligarchica che domina il mercato e sposta il piatto della bilancia esclusivamente dal proprio lato. Questa proposta, illustrata e sviluppata nel testo, è fondamentale per tentare di porre un freno al predominio capitalistico che, attraverso il controllo del processo conoscitivo, si allarga a ogni aspetto della vita socioeconomica e civile. Riportare al centro del dibattito il sistema attuale e porsi delle domande sul suo funzionamento deve essere il compito della filosofia politica e delle altre discipline coinvolte; la dimensione epistemica, oggi più che mai, necessita di tornare fulcro della democrazia. «Deep down, many of us probably know that we cannot simply “go on” as we did, that we need alternative models for the economy [...] Acting on this knowledge and carrying it into all spheres for our societies is maybe the key civic responsibilities of our generation» (p.287).

In questo testo, Lisa Herzog, tocca punti nevralgici del nostro presente: grazie a un’analisi filosofica rafforzata da altre discipline, ci mostra, in maniera estremamente chiara e lineare, i motivi della crisi delle democrazie occidentali, nelle quali oggi l’individuo si sente sempre più isolato e disinteressato alla cosa pubblica. Il merito maggiore di questo lavoro consiste nel fatto che non si limita a sottolineare la ‘negatività’ della situazione attuale ma che, con un’attenta analisi epistemica ne propone il superamento proprio all’interno del sistema democratico, punto affermato come assolutamente non negoziabile. La valorizzazione degli organismi chiave per la democrazia – la scuola e le organizzazioni sociali e sindacali – occupa i capitoli 9 e 10. Una menzione particolare credo meriti l’attenzione prestata alla scuola pubblica che deve essere il punto di partenza della democrazia. È all’interno di essa – primo organismo di interscambio fuori dalla famiglia – che i giovani iniziano a relazionarsi con l’altro; è quello il luogo in cui deve nascere e svilupparsi il sentimento di fiducia reciproca che permetterà poi la formazione degli esperti ma, allo stesso tempo, permetterà anche ai non esperti di raggiungere quello status. Ritrovo in questa giusta importanza attribuita alla scuola, il pensiero gramsciano e il suo concetto di rivoluzione culturale: per riappropriarsi del futuro e sottrarlo alle mani del capitalismo che vorrebbe mantenerne il controllo; è necessario ripartire proprio dalla scuola, dalla conoscenza che essa trasmette e dal tipo di legami disinteressati che essa crea. Se questi legami si costruiranno in maniera stabile e duratura in un luogo protetto come la scuola si potranno poi ritrovare nel mondo del lavoro: solo così sarà possibile ricostruire quel riconoscimento reciproco tra individui che ricorda la teoria di Axel Honneth e che è condizione fondamentale per ricucire un legame solidale tra lavoratori. 

La proposta di Lisa Herzog per l’impiego della filosofia politica sul piano epistemologico per riportare il processo conoscitivo sotto il controllo democratico penso sia un importante stimolo a trovare un’alternativa al sistema imposto dal neocapitalismo: attraverso nuovi e democratici processi conoscitivi attivati dalla scuola e dalle associazioni della società civile si potrà di nuovo instaurare un rapporto cooperativo tra persone e frenare gli sviluppi per ora incontrastati del capitalismo che mettono a rischio la nostra stessa sopravvivenza.

Mi chiamo Nicola Lombardi. Ho conseguito la laurea triennale in Filosofia all’Università di Pisa nel 2020 con una tesi in Storia della filosofia intitolata “L’uomo è più grande del suo compito, senza lavoro, ogni vita si corrompe. Ma sotto un lavoro senz’anima, la vita soffoca e muore”, che analizza lo sviluppo del sistema lavorativo dall’analisi di Marx a oggi. Mi sono poi laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università di Bologna nel 2022 con una tesi dal titolo “Linguaggio e riconoscimento, l’emancipazione del lavoro in età contemporanea”, volta a mettere in luce come il riconoscimento della persona nel mondo del lavoro stia venendo a mancare e come questo lasci il controllo totale al sistema capitalistico. Tutt’ora continuo a occuparmi e ad approfondire il rapporto tra filosofia politica e mondo del lavoro, tema che mi sta molto a cuore e che reputo, soprattutto al giorno d’oggi, molto importante.