Lippi, Maniglier, “Sœurs: Pour une psychanalyse féministe”

Recensione a cura di Giulia Muccioli

copertina libro

Nella loro opera scritta a quattro mani, sulla linea dell’incontro non inedito tra filosofia e psicoanalisi, Silvia Lippi e Patrice Maniglier cercano una soluzione all’impasse in cui è caduta la psicoanalisi, nata come pratica rivoluzionaria a partire dalla scoperta dell’inconscio come terreno sconosciuto e soggiacente la realtà del soggetto, ma ora completamente sfiduciata di fronte alla sua apparente impossibilità di spingersi oltre la pratica individuale per fornire risposte sul piano politico e sociale, rispetto alla quale sembra del tutto indifferente. È un ripensamento che non mira alla distruzione della psicoanalisi, ma a un suo nuovo inizio a partire dalla rilettura critica dell’eredità freudo-lacaniana che è stata condotta a partire dagli anni ‘60 da Foucault, Deleuze e Guattari. Spingendosi però oltre la dimensione prevalentemente negativa del loro lavoro critico, si persegue l’elaborazione di una teoria positiva, che prende qui il nome di psychanalyse sororale

La formulazione di questa “joyeuse entreprise collective” (p. 23) è possibile grazie all’istanza rivoluzionaria espressa nel movimento femminista in cui emerge una nuova dimensione dell’inconscio e delle sue tensioni libidinali: la dimensione della sororité. Questa dimensione relazionale permette una definizione autonoma e separata delle donne al di fuori dalla dimensione fallica e fallogocentrica, per dirla con Derrida, in cui la legge è legge-della-castrazione, secondo l’elaborazione di Lacan. Il percorso qui inaugurato si dispiega sul recupero della teoria lacaniana contro cui viene fatta giocare l’irruenta, la scandalosa, la schizofrenica – e per questo rivoluzionaria – proposta di Valerie Solanas, una figura dimenticata e silenziata dalla narrazione storica, in cui è stata ricordata solo come la donna che ha tentato di uccidere Andy Warhol e il cui proiettile, sparato nel 1968, avrebbe lasciato all’artista un trauma psicofisico a vita. Solanas non avrebbe pagato a minor prezzo la sua azione criminale. Al di là di questa, Solanas è una figura degna di essere ascoltata, che non possiamo anzi non ascoltare, perché attraverso il suo dire essa apre la porta a uno spazio esterno alla problematica fallica che Lacan, nella sua teoria della sessuazione, aveva definito solo come eccedente e come eccezione rispetto all’ordine maschile, in cui la donna si colloca negativamente e come per sottrazione, restando incastrata in una dimensione molecolare. Questa, non contemplando la possibilità di alcun legame sociale, decreta l’impossibilità dell’azione – e quindi della contestazione – contro l’ordine fallico da cui pur si sottrae. Alla femme mystique di Lacan, destinata alla solitudine, si contrappone quindi la femme SCUM di Solanas come punto di raccordo tra l’inconscio e il politico, nella sua dimensione libidinale fondata sulla sororité, dove la relazione tra individui non passa attraverso la logica del Fallo come significante primario, ma fonda uno spazio di definizione inedito e davvero svincolato dall’uomo, in cui anzi è possibile anche dire «extermination des hommes!» (Solanas 1967). 

Per arrivare alla definizione della psychanalyse sororale si segue un procedimento argomentativo che ripercorre simbolicamente la suddivisione storica del femminismo secondo le cosiddette ondate: la prima, storicamente nata come rivendicazione dell’uguaglianza e lotta per i diritti civili e politici, contrappone all’“indifférentialisme phalliciste”  un “différentialisme soustractif” (p. 54), ovvero sviluppa in modo oppositivo la definizione di donna nella teoria psicanalitica di Lacan e nel Manifesto di Solanas; la seconda ondata, come rivendicazione di una differenza a partire dalle lotte rispetto alle politiche del corpo, si pone come un passaggio dal singolare al collettivo nell’elaborazione di una teoria del sintomo che diventa symptôme partagé come motore della mobilità sociale collettiva; la terza ondata fa corrispondere alla problematizzazione del concetto di genere e della definizione di donna, inaugurata nel femminismo degli anni ‘90, l’interesse per la dimensione libidinale e traumatica al cuore delle lotte, passando dalle teorie queer di Judith Butler, Monique Wittig e Luce Irigaray al pensiero “queer-psychotique" (p.56); infine, è nella quarta ondata, quella che viviamo attualmente a partire dallo scoppio del movimento #MeToo, che si definiscono le coordinate della psychanalyse sororale a partire dall’esplicita emergenza in ambito sociale del tipo di relazione della sororité

Nel primo capitolo, come si accenna già nell’Introduzione, si esplicita meglio la contrapposizione tra Solanas e Lacan rispetto alla definizione della donna. Se per Lacan “l’homme existe, car chaque homme peut se féderer avec d’autres hommes et former un ensemble, l’ensemble universel de tous ceux qui sont soudés autour d’une question, la question de la castration, elle-même déterminée par quelque chose de positif, le symbole phallique” (p. 66-7), la donna al contrario semplicemente non esiste, in quanto si può definire solo come eccezione rispetto alla legge della castrazione, che, pur eccedendogli, deve comunque attraversare in quanto universale. La definizione della donna come Altro rispetto all’uomo e a ogni ordine sociale e collettivo da una parte elimina ogni possibilità di pensare a un insieme di donne che insieme possano agire contro l’ordine fallico che eccedono, ma da cui sono comunque vincolate, e dall’altra fa pensare che per Lacan l’unico sesso è quello fallico, rispetto a cui l’altro non è che un’eccezione, e quindi privo di consistenza propria. In realtà, l’ipotesi di una lettura in favore del monismo in Lacan viene confutata a partire dall’impossibilità di considerare il Fallo come meramente simbolico, indice di un’impostazione teorica patriarcale che, pur non definendo due sessi, istituisce comunque due côtés – uno completamente fallico, l’altro solo parzialmente – entrambi rispondenti alla logica universale della castrazione. Riassumendo quindi brevemente la teoria lacaniana della sessuazione, si contrappone la posizione di Solanas che, schizofrenicamente, permette di “penser un sexe qui n’a plus aucun rapport avec la castration (fût-ce au titre d’exception)” (p. 85). Si tratta della femme SCUM o della femme-femme che, mantenendo salda una logica binaria, in riferimento all’esistenza di due mondi non interrelati e assolutamente separati, incarna la complétude propria alle donne, operando un taglio netto e assoluto con la teoria lacaniana della castrazione come criterio di definizione.

La seconda parte si sviluppa attorno alla nozione di «symptôme partagé»  attraverso una lettura di Freud come anticipatore dell’idea di sororité, a partire dalla sua intuizione del meccanismo del «contagio psichico» nella reazione mimetica dell’individuo alla crisi isterica di un altro individuo. Freud vede alla base del fenomeno, osservato in particolare in gruppi di donne, la percezione nell’altro di una “stessa disponibilità affettiva” che determina “l’identificazione attraverso il sintomo” come “indice di un luogo di coincidenza dei due io, luogo che deve essere mantenuto represso” (Freud 1927). La tesi sostenuta dalla psychanalyse sororale si pone a completamento della spiegazione fornita dal padre della psicoanalisi trovando “un certo uso sociale del sintomo” nella sua componente politica afferente alla dimensione eminentemente sociale che assume già nel momento in cui viene condiviso. Si rilegge quindi il «luogo di coincidenza» come il lien sororal che resta represso, e che deve restare tale per evitare di riportare alla luce il trauma sociale della sororité – inteso come “le fait d’avoir quelque chose en commun” (p. 141) – e la crisi isterica innescata dal «contagio psichico» come symptôme sororal (o partagé) che si manifesta come «ritorno-del-represso». Non si tratta quindi di un sintomo individuale che, riportando un trauma individuale, scatena poi un altro sintomo individuale attraverso l’imitazione. Al contrario, esso è già un sintomo condiviso, in quanto sociale, perché veicolo di relazioni sociali fondate sulla sororité come esperienza dell’identificazione con l’altro. Il sintomo condiviso emerge nei movimenti femministi come ciò che è collettivo, e quindi politico, e ciò che è singolare, “animé par l’énergie traumatique de chacune” (p. 147). La comunità che si forma sul «sintomo sororale» come guarigione in senso psicanalitico ha molto a che fare tanto con il mondo senza uomini di Solanas, in quanto il trauma represso non corrisponde all’angoscia della castrazione, ma al contrario al desiderio di sororité come “verité inconsciente des femmes” (p. 171), quanto all’idea di immanenza e di gioia in senso spinoziano, in quanto è una “communauté vivante” dove la “sororité n’est rien d’autre que ce dont nous sommes capables” (p. 148) e “le féminisme une forme saturée de jouissance” (traducibile sia come «godimento» sia come «gioia») (p. 171). 

Nell’affrontare la terza ondata si analizza meglio la proposta scandalosa di Solanas di sterminare – si intende in senso fisico – tutti gli uomini, prendendo seriamente il discorso nella verità che la posizione psicotica di chi lo pronuncia obbliga l’analista ad assumere. Se il linguaggio di Solanas risulta inammissibile in ogni prospettiva fallogocentrica, è perché esso si pone in un altro ordine di verità, quello del discorso schizofrenico, che “accomplit [ses] opérations sur un inconscient d’ordre politico-verbal [pour] l’empêcher de se stabiliser dans un cadre rassurant permettant de séparer le vrai du faux, l’exact de l’inexact, le bon du mauvais, le sérieux du bouffon” (p.183). Tale “inconsciente” distrugge l’ordine del linguaggio, quello eteropatriarcale, costringendoci a prenderlo come tale: “son dire est déjà un acte: ce n’est pas ce qu’il signifie qui importe, mais ce qu’il fait, ici, en tant que rire/dire” (p.183). Attraverso la considerazione del linguaggio sovversivo di Solanas come rire/dire in quanto linguaggio schizofrenico si apre alle donne uno spazio concreto per la presa di parola, valorizzata tanto nella sua centralità nella psicoanalisi quanto nel movimento femminista soprattutto a partire dal #MeToo, e per la jouissance pleine del dire come fondamento di un nuovo ordine sociale nato dalla potenza espressiva della parola stessa. In questo passaggio troviamo una serie di considerazioni generali sul linguaggio che rendono possibile un dialogo tra Solanas da un lato e Monique Wittig e (indirettamente) Judith Butler dall’altro. Le problematiche da queste ultime sollevate rispetto al superamento del binarismo sembrano potersi risolvere attraverso la definizione della donna come «sœur», in grado secondo Solanas di portare all’esasperazione la questione della differenza dei sessi: “la femme est totalement queer, c’est-à-dire que son identité ne se stabilise jamais” (p. 205) e questo perché ogni punto di riferimento con il linguaggio eteropatriarcale viene assolutamente escluso dalla logica della definizione della sororité come “nom de ce désir inconscient qui porte le féminisme depuis toujours” (p. 211).

La quarta e ultima parte è consacrata alla definizione della pratica della psychanalyse sororale. A differenza della pratica psicanalitica tradizionale, il desiderio che si fa oggetto della rimozione originaria non è legato al desiderio della Madre o dell’Altro o all’angoscia della castrazione (secondo i termini tradizionali della psicoanalisi che vedono la loro massima condensazione nel mito di Edipo), ma è il desiderio di condividere questa angoscia, possibile attraverso l’invenzione di un «sintomo condiviso». È qui che la sororité si pone alla base del legame sociale, di un legame che “n'a plus rien à voir avec une demande adressée à l’Autre” e che “se rapporte à l’angoisse traumatique du désir de manière directe et les sœurs se lient dans le partage de cette angoisse en non plus dans celle de la castration ou de l’abandon” (p. 253). Facendo luce sulla dimensione propriamente pulsionale e libidinale del nostro desiderio, come meccanismo di funzionamento della quarta ondata del femminismo, si risponde alla necessità di trovare un’alternativa alla pratica psicanalitica tradizionale che prenda sul serio la necessità di far riemergere costantemente quel desiderio represso di sororité, quindi quel «sintomo condiviso» che “constitue en soi un lien social” (p. 274). La cura sarà quindi ritmata dall’amore, dal gioco armonico nel «luogo di coincidenza» tra sorelle. 

Ripercorrendo un terreno ampiamente battuto, quello del recupero della psicoanalisi in ambienti femministi come strumento di lotta, l’opera di Lippi e Maniglier ha il merito di farsi carico seriamente della grande sfida del nostro presente: l’uscita dall’immaginario eteropatriarcale. Nella vivacità del dialogo tra individui diversi che viene qui ricreata in maniera oppositiva, la psicoanalisi sororale, pur definendosi internamente all’ambito disciplinare a lei proprio, si spinge – forse inconsapevolmente, forse necessariamente – al di fuori dei suoi spazi d’azione muovendo i suoi passi verso un processo di cura collettivo, che non sia l’eliminazione del sintomo, ma una sua costante trasformazione positiva per fare della figura inconscia della sororité il luogo di realizzazione di quella carica libidinale e della possibilità di un suo godimento pieno che alimenta costantemente il femminismo in tutte le sue configurazioni storiche. 

 

Riferimenti Bibliografici:

Silvia Lippi, Patrice Maniglier, Sœurs. Pour une psychanalyse féministe, Paris: Éditions du Sueil, 2023 

 

Giulia Muccioli studia Filosofia all’Università di Bologna. I suoi interessi vertono principalmente sulla filosofia politica e gli sviluppi del pensiero femminista all’interno degli studi marxisti. Il suo lavoro di ricerca attuale si concentra su una rilettura femminista e post-coloniale del post-strutturalismo francese, a partire dalle opere di Deleuze e Guattari.