De Bastiani, “Ex auditus, ex signis: citazioni, riferimenti e storie antiche nella filosofia di Spinoza”

Recensione di Attilia Di Corato

copertina libro

 

Negli anni vari sono stati i contributi che diversi autori hanno dedicato all’indagine delle citazioni, esplicite o implicite, rintracciabili nelle opere spinoziane, e proprio Marta Libertà De Bastiani, come anche Pierre-François Moreau nella prefazione a questo testo, menziona alcuni studiosi che si sono rivolti a questo tema: Leopold, Gebhardt, Akkerman, Proietti, Steenbakkers, Totaro (p. 27). Sebbene essi forniscano indubbiamente la base su cui, almeno in parte, si innesta il libro dal titolo Ex auditus, ex signis: citazioni, riferimenti e storie antiche nella filosofia di Spinoza, tuttavia, rispetto alle prospettive che caratterizzano tali lavori, quello di De Bastiani si contraddistingue per la novità degli strumenti d’analisi di cui si dota e per l’angolazione da cui si guarda l’oggetto preso in esame. Non si tratta, infatti, semplicemente di constatare la presenza di citazioni, riferimenti e storie in un’opera spinoziana, ma di comprenderne il senso e la funzione, tenendo conto anche del contesto storico-culturale in cui visse e si formò Spinoza, della cornice testuale in cui tali riferimenti si inseriscono nonché della sua teoria filosofica complessiva. 

Alla luce di ciò che il filosofo afferma nella Lettera 56 a Boxel rispetto al valore del principio d’autorità, la domanda che l’autrice innanzitutto si pone riguarda la possibilità di conciliare il rifiuto di tale principio con l’uso che pure Spinoza fa di citazioni, riferimenti e storie. Posto dunque che non si può ridurre Spinoza a «un pensatore della verità a priori, contro l’esperienza» (p. 29) e che è possibile intravedere nel suo pensiero un intento pedagogico, si osserva che ciò che egli invita a fare è avere un occhio attento e un approccio critico quando si ha a che fare con l’esperienza ex auditu o ex signis. Se ogni tipo di riferimento o storia è sempre variamente interpretabile e anche già interpretato, allora il rifiuto dell’autorità non corrisponde al rifiuto dell’esperienza, pur sempre verosimile, ma al tentativo di mettere in guardia dalla pretesa di poter assegnare a tali storie e a ciò che da esse si ricava un senso univoco. Il ricorso all’esperienza non solo è concesso, ma delle volte è strategicamente utile.

Chiarito questo punto, è lecito chiedersi in quali luoghi e in che modo i riferimenti compaiono nelle opere di Spinoza, nonché le funzioni che svolgono, di volta in volta, all’interno del discorso che egli sta portando avanti. L’attenzione sarà dunque rivolta alle citazioni provenienti dai testi degli storici latini, Tacito e Curzio Rufo in particolare, le quali sono quantitativamente inferiori solo ai riferimenti alle Sacre Scritture e alla storia ebraica e sono concentrate nei due trattati politici. De Bastiani rileverà che quattro sono le funzioni di citazioni, riferimenti e storie in TTP e in TP, ed esse sono differentemente distribuite tra le due opere. Se il Trattato Teologico-Politico si caratterizza per un uso della citazione in funzione prevalentemente argomentativo-retorica e confermativa, nel Trattato Politico le funzioni sono principalmente polemica e antropologica. Queste considerazioni risultano estremamente interessanti perché permettono inoltre di far luce sul rapporto che intercorre tra Spinoza e il Tacitismo, quel movimento culturale, disomogeneo al suo interno, che si colloca tra rinascimento e fine dell’età moderna e si diffonde anche in ambiente neerlandese e spagnolo. Secondo l’autrice, quei politici a cui Spinoza si riferisce nel capitolo I del Trattato Politico si identificherebbero proprio con coloro che appartengono alla corrente tacitista (p. 181). Se, da un lato, le fonti del filosofo olandese, ovvero gli storici etici e politici, sono le stesse dei tacitisti, e il primo come questi ultimi aderiscono alla consuetudine di leggerle e usarle in maniera trasversale (p. 158), per contro, da diversi punti di vista – da quello formale a quelli politico e concettuale fino alla concezione stessa di scienza politica – ci sono molti elementi del pensiero spinoziano che si definiscono e sviluppano in netto contrasto rispetto a tale tradizione (pp. 220-225).  

Oltre a un confronto che proietta Spinoza verso l’esterno e che, nel corso della trattazione coinvolge non solo i tacitisti, ma anche alcuni filosofi di cui certo egli ha conoscenza, ossia Bacone, Hobbes e Machiavelli, la riflessione sul ruolo svolto dalle citazioni può offrire conclusioni che possono essere rivolte, per così dire, verso l’interno, cioè verso l’opera spinoziana stessa, e che si rivelano utili a indagare le continuità e le specificità dei due trattati politici. La differenza riscontrata a livello delle funzioni di citazioni e riferimenti va, infatti, a ulteriormente rimarcare la già evidente diversità tra il TTP e il TP, ma al contempo quella differenza è anche sostanziata da questa diversità. Constatata la fondamentale utilità dell’esperienza all’interno della filosofia politica, De Bastiani afferma che «il passaggio dal TTP al TP può essere letto come uno slittamento del pensiero di Spinoza che si allontana da Hobbes per incontrare Machiavelli» (p. 217). 

Secondo quanto complessivamente emerso, si evidenzia come il confronto con l’esperienza ex audito ed ex signis sia in fin dei conti inevitabile, motivo per cui Spinoza, anziché rifiutarla, cerca piuttosto di accoglierla e utilizzarla in maniera critica, e intenderla, per quanto possibile, attraverso il secondo o terzo genere di conoscenza. Proprio come gli affetti sono una componente ineliminabile della vita degli uomini e vanno pertanto non solo accettati ma anche compresi, così, in ottica spinoziana, non si tratta di eliminare narrazioni e storie tout court, ma comprenderle ed essere consapevoli che chi le usa lo fa in vista di uno scopo, più o meno implicito (p. 47). Questa idea va tenuta a mente nel momento in cui leggiamo i due trattati politici. Spesso si tratta di mutar di segno le conclusioni che si ricavano da alcune storie impiegate all’interno di una certa tradizione, per inquadrarle invece nella giusta luce.

Per rispondere agli interrogativi che hanno dato avvio alla sua ricerca, De Bastiani si dota di strumenti concettuali che provengono dall’ambito degli studi letterari. Il concetto di trans-testualità di Genette e quello di valore di ripetizione di una citazione di Compagnon risulteranno imprescindibili per analizzare la funzione svolta da citazioni e riferimenti, seppure vengano rilevati alcuni limiti che caratterizzano il lavoro di Compagnon. Proprio la capacità di riadattare, ripensare e integrare con nuovi elementi la teoria di quest’ultimo è ciò che segna l’originalità di questo testo rispetto, ad esempio, a un contributo, comunque prezioso, come quello di Lagrée. Rispetto a tale studio, che si concentra sulla citazione limitatamente al TTP e utilizza la nozione di valore di ripetizione, nel libro Ex Auditu, ex signis la ricerca estende questa nozione in modo da cogliere nuove e peculiari funzioni dei riferimenti presenti nei testi spinoziani, e tiene in considerazione entrambe le opere politiche nonché la teoria filosofica complessiva di Spinoza.

Affinché però il tentativo di mettere in luce i valori e le modalità d’uso delle citazioni abbia successo, dal punto di vista metodologico, un altro passaggio che si rende necessario è il soffermarsi sulla formazione di Spinoza come anche sul contesto storico-culturale e politico in cui la sua opera si inserisce. Questa ricostruzione, in cui si presta particolare attenzione alla corrente tacitista, si rivela estremamente funzionale ed efficace. Essa ha come obbiettivo quello di fare emergere la comprensione del ruolo di citazioni, riferimenti e storie nell’opera spinoziana in maniera situata e al tempo stesso differenziale. Inserito, difatti, in un determinato contesto storico, Spinoza non rompe bruscamente con esso, ma prende una strada senza dubbio divergente rispetto ad altri personaggi a lui più o meno contemporanei. Certo, i tacitisti si pongono apertamente in contrasto con una politica utopista o eticista (p. 139), ma per varie ragioni, tra le quali una fondamentale è la differente visione su ciò che conta come scienza politica, essi diverranno nel TP l’obbiettivo polemico di Spinoza. 

Il volume si articola in quattro sezioni, ciascuna suddivisa in un numero variabile di capitoli, e un’appendice, la quale mira a chiarire cosa debba intendersi con citazione. Nella prima sezione si introduce l’oggetto di indagine e ci si focalizza sul significato e sul valore che l’esperienza ha per Spinoza. Sebbene egli sembri citare poco, dei riferimenti e richiami sono presenti nella sua opera, soprattutto nel Trattato teologico-politico e nel Trattato Politico, e allora, dopo aver brevemente mostrato chi, cosa e dove Spinoza citi (cap. I), il primo passo diviene comprendere effettivamente il senso delle parole che Spinoza rivolge a Boxel (cap. II), per verificare se quel rifiuto dell’autorità degli antichi non possa celare un senso che non lo renda inderogabile, mettendo pertanto in discussione l’idea che fa del filosofo «un perfetto razionalista cartesiano» (p. 28). Dopo aver dedicato alcune pagine alla natura dell’immaginazione e della conoscenza ex auditu ed ex signis e aver illustrato le caratteristiche della conoscenza profetica (capp. III-IV), l’autrice osserva come le storie e le narrazioni, per quanto siano forme di conoscenza parziali e siano spesso usate con scopo persuasivo, possono presentare un certo grado di verosimiglianza, e gli storici politici, in questo senso, trasmettono contenuti abbastanza attendibili, venendo a mancare l’elemento miracoloso (cap. V). L’esperienza può essere perciò veicolo di conoscenza e il suo uso da parte di Spinoza sembra rispondere alla volontà di mettere in atto una precisa strategia comunicativa e educativa (cap. VI).

Nella seconda e nella terza sezione, De Bastiani si occupa di delineare il contesto, inteso in senso ampio. Si tratta innanzitutto di fornire alcune informazioni biografiche concernenti la formazione del filosofo olandese, segnata dagli studi con Van den Enden, e una breve panoramica dei libri da lui posseduti, per poi passare a esaminare il periodo storico e il clima filosofico e culturale che di poco lo precedono e in cui, almeno in parte, è immerso. È qui dunque che vengono indagate le radici del Tacitismo, rintracciate nel pensiero di Machiavelli e nella lettura politica di Tacito che si deve a Giusto Lipsio, teorico peraltro anche del Neo-stoicismo. Si approfondiscono quindi maggiormente le diramazioni neerlandese e spagnola di tale corrente, essendo quelle che molto probabilmente Spinoza conosce meglio (sez. III, capp. IV e V), e in seguito si lascia spazio alla riflessione su quale concezione della storia e della sua utilità avessero Bacon e Hobbes (capp. VII e VIII). A questo proposito, Bacon di dimostrerà essere «il trait-d’union tra il pensiero hobbesiano, spinoziano e tacitista», in quanto da un lato stima le storie degne di considerazione e vi si rivolge con approccio critico, dall’altro esse mantengono però il loro valore esemplare. 

La quarta e ultima parte è per lo più occupata dall’analisi di citazioni, riferimenti e storie nel TTP prima e nel TP poi (capp. II e III). Se nel primo si prendono in considerazione la Prefazione e i capitoli 17 e 18, in quanto luoghi dove si riscontra la maggior presenza di citazioni, esplicite e implicite, di Tacito e Curzio Rufo, nell’altra opera si procede non tanto per luoghi, quanto per temi. I riferimenti a Tacito, infatti, sono presenti soprattutto quando l’argomentazione tocca punti specifici, ossia il pericolo dei conflitti civili, la questione della pace, la monarchia, la natura del volgo. Il capitolo IV ha poi lo scopo di svolgere una comparazione tra le due opere in modo da evidenziarne le differenze, le quali saranno ricondotte a ragioni storiche e biografiche – non ultima il fatto che tra le due vi è stata l’elaborazione della teoria degli affetti contenuta nell’Etica – e anche a motivazioni più concettuali, come un cambiamento nel modo di pensare il rapporto tra teoria e prassi. Si tratta allora di mostrare rispetto a quali aspetti il pensiero politico spinoziano risulta vicino a Machiavelli e ad Hobbes (cap. V) e, in ultimo, per rispondere alla domanda di Akkerman, di capire come si colloca Spinoza all’interno del movimento tacitista del XVII secolo, ammesso che lo si possa davvero collocare all’interno (cap. VI).

Abbiamo già avuto modo di sottolineare la novità che contraddistingue il contributo di De Bastiani tra le opere che sono dedicate all’argomento della citazione in Spinoza. Se a tratti si presenta come un testo quasi “tecnico”, come nel momento in cui analizza la pratica della citazione e prende in esame vari passi tratti dalle opere del filosofo, questo non pregiudica tuttavia la continuità della trattazione, strutturata in modo da fornire man mano tutti gli elementi e gli strumenti utili a esaminare i riferimenti nei due trattati politici. Fondamentale è, ad esempio, la presenza dell’Appendice, che permette di comprendere agevolmente i criteri utilizzati per definire le tipologie di citazione via via riscontrate. Una criticità che però si potrebbe rilevare riguarda il capitolo I della seconda sezione che tratta della citazione e del riferimento in età moderna. Qui si dedica forse poco spazio alla spiegazione delle relazioni identificate dai diversi valori di ripetizione di una citazione e ancor più brevemente si accenna all’accordo tra la posizione di Compagnon e quella di Peirce in merito al processo di significazione, sicché questo passaggio, che pare importante, può risultare non molto chiaro. In ogni caso, va evidenziato l’indubbio vantaggio che deriva dall’approccio utilizzato da De Bastiani in questo libro. Come si nota in conclusione con l’esempio di Ovidio, la metodologia seguita per valutare il ruolo e la funzione di citazioni, riferimenti e storie sembra poter essere proficuamente estesa anche all’analisi di altre opere o altre fonti, divenendo potenzialmente una guida per chi si approccia a svolgere altri lavori del genere. 

 

Bibliografia

 

Marta Libertà De Bastiani, Ex auditus, ex signis: citazioni, riferimenti e storie antiche nella filosofia di Spinoza, Milano: Mimesis, 2023.

Mi chiamo Attilia Di Corato. Ho conseguito la laurea triennale in Filosofia all’Università di Bologna nel 2020 con una tesi in Storia della filosofia dal titolo Dall’Etica come sistema all’etica come etologia: Gilles Deleuze interprete di Baruch Spinoza, che mira ad analizzare l’interpretazione di Spinoza proposta da Deleuze in diversi suoi scritti, per capire se gli aspetti verso cui si orienta la riflessione deleuziana variano nel corso degli anni. Attualmente sono studentessa magistrale in Scienze Filosofiche presso la stessa università e lavoro a una tesi in cui cerco di indagare e approfondire il concetto di eccesso nella filosofia di Spinoza. Altri temi verso cui nutro interesse e che ho già incontrato e spero di poter approfondire riguardano la storia sociale della scienza e la filosofia della psichiatria. Mi piacciono la musica, il tè e il disegno.