Kambouchner, "La question Descartes"

Recensione di Diego Donna

L’ultimo volume monografico di Denis Kambouchner, La question Descartes, è non solo un libro di storia della filosofia che, con rigore metodologico e limpidezza espositiva, fornisce al lettore il filo d’Arianna per orientarsi fra i principali snodi del complesso itinerario di ricerca di Descartes, dalla questione del cogito, alla natura delle idee e del libero arbitrio, fino al rapporto fra mente e corpo e alla teoria delle passioni. I quattordici capitoli del volume, presentati per lo più in forma di domande, si misurano con una sfida culturale che lo specialismo storico-filosofico ha lasciato spesso inevasa, ossia interrogare la filosofia cartesiana alla luce delle sfide del nostro presente, rimettendo in questione alcuni miti storiografici che l’hanno investita nel corso dei secoli. Chi è Descartes? Il filosofo razionalista che ci viene riconsegnato dalla manualistica o il teorico dell’ordre des raisons, secondo la celebre formula di Martial Gueroult, che promuove il dominio tecnico-scientifico del metodo sulla natura? O, ancora, il fautore dell’“absurde dualisme” (p. 12), ancora oggi al centro dei dibattiti sulle neuroscienze? Emblema dell’unica “verità filosofica” per Francisque Bouillier e, insieme, genio nazionale che fonda l’identità culturale dei francesi per Victor Cousin, Descartes è stato anche l’esponente di una “filosofia del sentimento intimo”, pilastro dello spiritualismo francese dell’Ottocento. Le domande che nei quattordici capitoli di questo volume Denis Kambouchner rivolge alla teoria cartesiana delle idee, allo statuto del metodo e della metafisica fino alla teoria delle passioni, convergono in una proposta intellettuale di ampio respiro: sottrarre Descartes ai versanti opposti e complementari della sacralizzazione o del rifiuto, che ne hanno ridotto spesso la filosofia a caricature o drammatizzazioni sempliciste. Come se, ricostruendo i problemi della filosofia cartesiana alla luce di una storia critica delle ricezioni, l’autore facesse proprio l’ammonimento che già Descartes aveva esposto nel Discours de la Méthode confrontandosi con Aristotele e la Scolastica: l’immagine è quella del giardiniere ben addestrato, che sa separare la pianta dall’edera che rischia di soffocarla.
Il volume di Denis Kambouchner si rivela in questo senso ben più che un semplice saggio di storia della filosofia: rigoroso nell’analisi dei testi e dei contesti in cui il cammino di ricerca cartesiano prende forma, limpido nell’argomentazione e discreto nei giudizi, il suo intento è confrontarsi con quella “politica della scienza” che Descartes poneva al centro di una riforma complessiva del sapere. Où trouver la vrai méthode?, Le doute, expérience ou fiction?, Qu’est-ce qu’une idée claire et disctincte?, Que peut penser l’âme sans le corps?, Le libre arbitre, une question mal posée?, Dieu se donne-t-il à contempler?, Quelle foi pour le philosophe?, La Terre est-elle faite pour l’homme?, Un ego sans reconnaissance? La modernité contre la culture? Queste sono alcune delle domande che danno il titolo alle sezioni del volume, restituendoci le questioni più urgenti del metodo che investono il nostro presente: il rapporto fra mente e corpo, il libero arbitrio, il ruolo della filosofia e della cultura scientifica nell’epoca dell’avvento della tecnica che cambia il volto della realtà naturale e sociale in cui viviamo. Del resto, lo stesso Descartes non è mai stato conquistato da una “filosofa dei filosofi”, teorico piuttosto di un metodo che si dà nella pratica della scienza, plus en pratique qu’en théorie, come dichiarava lui stesso, consegnata ai quattro precetti “semplici e chiari” del Discours. Una filosofia che si confronta già negli anni Trenta con i risultati del lavoro scientifico, nello sforzo di ricondurre all’ordine la complessa epistemologia delle Regulæ contro la logica scolastica. Un metodo che si approfondisce nella ricerca dei fondamenti della fisica e culmina nella conquista della saggezza, come reciterà la Lettre-Preface, ossia alla perfetta conoscenza di ciò che serve all’essere umano per condurre la propria vita e conservare la salute.
Il primo capitolo del volume ricostruisce le tappe della biografia intellettuale di Descartes, dalla scientia penitus nova intravista con Beeckman alla scienza delle proporzioni delle Regulæ, contratta infine nei precetti del metodo del 1637. Il secondo capitolo, facendo i conti con lo statuto del dubbio (expérience ou fiction?), si confronta criticamente con tanta riflessione filosofica e scientifica che ha spesso ridotto la ricchezza e le tensioni interne al cammino cartesiano di ricerca agli articoli di un testo di principi o a un ordine di ragioni. Le immagini sono note: Descartes inossidabile teorico del razionalismo (Gueroult) e della soggettività trascendentale (Husserl), di cui Heidegger attacca il presupposto egologico e la metafisica dell’Io. Kambouchner evoca l’eredità ermeneutica di Ferdinand Alquié, storico della filosofia francese che, fra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, ha ricondotto la soggettività cartesiana a una psicologia rivolta alla scoperta metafisica, e cita Hans Blumenberg, filosofo della legittimità dell’età moderna e delle sue metafore, che fa di Descartes l’emblema della crisi che attraversa i quadri concettuali della metafisica scolastica convertendosi da un lato in una nuova esperienza della certezza, dall’altro nella tesi della potenza assoluta di Dio come fattore di uno “scepticisme cosmologique” (p. 55).
Ma che cos’è, in fondo, il dubbio cartesiano? Come ricorda Kambouchner, una parte degli interlocutori delle Meditationes come Caterus e Arnauld non prende nemmeno in considerazione la questione del dubbio nelle obiezioni alle prime e quarte Meditationes; altri, come Hobbes, la riconducono al tema platonico tradizionale dell’incertezza riguardo alle cose sensibili, radicalizzandola nella formula dell’ipotesi annichilatoria. Di fatto, fra la prima e la seconda meditazione il dubbio si inscrive nell’economia complessiva del cammino che porta alla scoperta di una nuova teoria della verità e delle sue condizioni sotto la forma di una finzione (fingere) o un dispositivo teorico inteso come “operation savante au plus haut degré” (p. 79), che Descartes vira contro lo scetticismo. Non diversamente, già nel Traité de la lumière e negli Essais l’attenzione del filosofo naturale si era orientata verso i modelli della comparaison e della fable, dell’hypothèse e della supposition, che l’esperienza mette alla prova nelle scienze convocandole a una riflessione sui limiti e sulle condizioni della ricerca scientifica. Al centro il problema principale del metodo fra gli anni Trenta e Quaranta, attraverso cui rileggere lo statuto stesso della metafisica, ossia il difficile passaggio da una fisica particolare, attestata dalla conoscenza chiara e distinta delle verità più semplici, a una scienza vera, oltre che certa e indubitabile, a seguito del progetto fallito di una fisica generale di stampo copernicano, che Descartes decide di tenere nascosta nel 1633 a seguito della condanna definitiva di Galilei. Nelle parole di Kambouchner: “le doute n’est ici réputé ni vain ni impraticable; il apparraît légitime et sans doute utile en tant que fiction” (p. 77).
È del resto possibile un Io senza mondo? Se gli oggetti della metafisica sono il cogito, Dio e i corpi, ricondotti alle forme e alle condizioni della conoscenza certa, la mens cartesiana non è soltanto un cogito metafisico, disincarnato e autocentrato, quanto semmai un cammino della ragione che dall’ispezione solitaria dell’ego cogitans si estende alla société du méditant (pp. 80-96), inscrivendosi in un progetto collettivo di riforma del sapere. La domanda sulle condizioni della verità, sulla natura della mente e delle cose da conoscere rinvia alla necessità di saldare i modelli della scienza e dell’esperienza certa del pensiero a una teoria dei fondamenti, stabilita a partire dalla veracità divina. In breve, all’alterità originaria dell’ego non si accede soltanto attraverso un monologo interiore, ma entro uno spazio d’interlocuzione che rende il cogito parte del mondo (universitas rerum, come ricorda lo stesso Descartes nella Quarta Meditazione). Non ancora un “ego trascendentale”, che siamo soliti sovrapporre alla substantia cogitans a seguito della celebre lettura husserliana, ma una res come unità di essenza ed esistenza, implicitamente collegata a un corpo già nell’affermazione fondamentale della Seconda Meditazione: ego sum ego existo; un corpo, che si scoprirà il correlato necessario dell’esperienza, il “corpo proprio” (meum corpus) di cui si tratta di stabilire la natura e le funzioni. Sottolinea Kambouchner: “le corps humain est fait pour être habité; il est fait pour la pensée; fait pour un monde à l’intérieur du monde, fait pour le monde humain” (pp. 87-88).
Come intendere (intelligere) dunque la nozione di corpo senza produrre nell’immaginazione qualcosa di tale estensione? È la domanda posta dal capitolo centrale del volume: Que peut penser l’âme sans le corps?. La secolare questione del “dualismo” cartesiano è qui investita di una prospettiva ermeneutica che rinvia all’orizzonte dei problemi scientifici e filosofici che l’autore delle Meditationes e delle Passions de l’âme si pone all’altezza del proprio periodo storico. La lezione di metodo che Denis Kambouchner ci restituisce è centrale nell’esigenza di assumere una distanza critica da quelle letture che hanno spesso scalzato i testi cartesiani in nome di potenti, benché problematiche etichette storiografiche. Una formula su tutte: l’“errore di Descartes”, ossia il dualismo delle sostanze, che campeggia nel titolo della celebre monografia di Antonio Damasio. Si scopre così che non soltanto le prime opere di Descartes assegnano al tema dell’immaginazione un ruolo fondamentale nella pratica scientifica – la Regula XII offre ad esempio le condizioni per un corretto uso dell’immaginazione come ausilio della matematica ai fini della messa in rapporto tra grandezze – ma che dal punto di vista propriamente psico-fisico un pensiero senza immagine è una realtà impossibile, se per “senza immagine” si intende “sans présence d’aucune image a l’esprit” (p. 153). Certamente, in sede metafisica la scoperta del cogito avviene “dans un certain silence du corps”, mentre la conoscenza di Dio e della verità non ha per oggetto alcuna immagine; eppure, lo sforzo che l’ego meditante compie per “détacher son esprit des sens” (p. 153) culmina in una sola esperienza di fondo – l’immediata presenza del cogito a sé stesso – laddove in condizioni psichiche “normales et non extrêmes” (p. 156) il corpo assiste sempre la mente come fattore di supporto o di ritardo (auxilium o impedimentum). Se Descartes, conclude Kambouchner, si rifiuta di considerare il pensiero come una “propriété émergente”, non per questo definisce la mente come una “chose complète que de manière très précautionneuse”. La mente è “chose complète (indépendante) par sa notion et non par son activité” (p. 159). Di qui la definizione di un “dualisme fonctionnel” che esprime l’unità nella distinzione fra il piano della metafisica, equivalente alle certissima meæ Physicæ fundamenta (a More, 1649) o les fondemans de la Physique (a Mersenne 1630) che Descartes non si stanca di discutere nelle lettere, e il piano della morale, corrispondente all’installazione dell’ego nel suo mondo attraverso il filtro del suo corpo e delle passioni.
Le conclusioni di Kambouchner in merito al problema del rapporto fra mente e corpo preludono al grande tema delle passioni dell’anima, discusso nel capitolo Perspectives sur les passions. La tesi è netta – les passions parmi les pensées (p. 171) – e non fa che parafrasare quanto già espresso da Descartes sull’utilità della componete emotiva per l’uomo saggio. L’unione sostanziale di mente e corpo costituisce un “dispositive de jouissance”, se per amore razionale di sé si intende la chiave di tutte le altre virtù come capacità del soggetto di accedere all’incontro con gli altri e infine con Dio (cfr. anche i capitoli Dieu se donne-t-il à contempler? e Quelle foi pour le philosophe? pp. 214-254). Ne La question Descartes l’imponente studio decennale di Kambouchner sulle Passions de l’âme si condensa in alcune righe di grande chiarezza, che illuminano una delle aree più complesse del corpus cartesiano. Al centro, la questione del soggetto, liberato dai confini della gabbia metafisica e osservato nella sua relazione con il mondo. Nelle Passions de l’âme, così come già nella sesta parte del Discours, il passaggio dall’«Io» al «Noi» segnala l’orizzonte dell’intera ricerca scientifica cartesiana, che fa della dimensione relazionale del filosofare l’altra faccia di una concezione integrata della soggettività e della conoscenza, a completamento dell’Io del metodo degli anni Trenta e del cogito metafisico degli anni Quaranta. Una concezione che in sede morale rinvia alla virtù più alta: la generosità. Nella virtù della generosità l’Ego sum delle Meditationes si ricongiunge infatti all’Homme di cui Descartes aveva studiato la macchina passionale, per dare vita entrambi – ego metafisico e macchina corporea – a un individuo reale. “Il reste que les passions sont ‘tellement utiles à cette vie, que notre âme n’aurait pas sujet de vouloir demeurer jointe à son corps un seul moment, si elle ne les pouvait ressentir’ (art. 212)” (p. 186).
Le conclusioni sul rapporto fra mente e corpo investono il problema fondamentale della libertà, riletto allo specchio di Spinoza, Locke e Hobbes. Une question mal posée?, si chiede Kambouchner in merito a Descartes, se è vero che non solo la retorica ordinaria del libero arbitrio è un tema di cui sia i testi di metafisica che di morale fanno economia, ma che il “libero arbitrio” è in senso cartesiano il grado più alto di una regolazione che resta, certo, d’essenza intellettuale, ma non può essere concepito senza il rinvio all’affettività. Proprio per questo, le condizioni che innescano ciò che chiamiamo scelta libera non sono pienamente accessibili alla nostra conoscenza, il che fa della volontà cartesiana qualcosa di non qualificabile come “indéterministe” (p. 212).
Al rapporto con la natura, gli animali e la tecnica sono dedicati gli ultimi capitoli del volume, che per limiti di spazio non possiamo ricostruire nel dettaglio. Sono queste, tuttavia, le sezioni in cui la portata culturale e politica dello studio di Denis Kambouchner acquista maggior risalto in nome della riscoperta di una soggettività non autarchica né dominatrice, ma intessuta dei rapporti sociali e delle determinazioni sensibili che fanno del “soggetto” un plesso di relazioni. Seguire una regola non consiste nell’applicazione su un piano inferiore o particolare di una massima universale, quanto piuttosto “c’est faire acte de vertu dans le même temps où l’on cherche ce qui est de vertu” (p. 301). Riscostruendo con sapienza le maglie della struttura del discorso morale in Descartes nel confronto con gli antichi e con i corrispondenti nelle lettere, Kambouchner ci restituisce i profili di una pedagogia della ricerca scientifica che, interrogando criticamente la cultura animi dell’età classica e rinascimentale (cfr. La modernité contre la culture? pp. 310-350), approda a un’idea di saggezza nel quadro di una concezione unitaria dell’essere umano. Una straordinaria avventura della mente alla ricerca della verità che non è pura geometria e ordre des raisons, ma come ci insegna questo volume, esercizio della libertà nel dialogo assiduo e infaticabile con altri.

Diego Donna è Ricercatore a tempo determinato tipo b) (senior) presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna dove si occupa di storia della filosofia moderna e contemporanea. Doctor Europaeus di ricerca (Università di Bologna/Utrecht) e borsista postdoc nel quadro del progetto Herméneutique des Lumières (FNS, Université de Genève/Bologna), è stato Visiting Scholar di numerosi centri di ricerca internazionali, fra cui IRPhiL, Université Lyon III, Birkbeck College of London, Princeton University, Utrecht University. Presso il Dipartimento di Filosofia (Unibo) è membro fondatore del Centro Internazionale di Studi Spinoziani “Sive Natura”, membro del Centro di ricerca Knowledge and Cognition e del gruppo di ricerca Filosofie in traduzione. È coordinatore del gruppo di ricerca Illuminismo. Storie e filosofie. Fra le sue pubblicazioni: Contre Spinoza. Critique, système et métamorphoses au siècle des Lumières (Georg, 2021), Dispersione, ordine, distanza. L’Illuminismo di Foucault, Luhmann, Blumenberg (Quodlibet, 2021), Ragione e mito. Hans Blumenberg e la costituzione della razionalità moderna (Mucchi, 2018).