Recensione di Alessia Veca
Volume interessante e sorprendente, La filosofia dei Radiohead è scritto da Stefano Marino, professore associato di Estetica all’Alma Mater Studiorum ed Eleonora Guzzi, laureata in Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo. Il libro accosta filosofia, contemporanea e classica, a cultura e musica popolare. In particolare si concentra, come è esplicito nel titolo, sulla produzione musicale dei Radiohead, band inglese impostasi nel panorama internazionale in corrispondenza alla svolta di millennio. Sin dall’introduzione gli autori illustrano il loro intento: il volume non intende delineare un definito sistema filosofico della band, ma piuttosto mostrare come l’accostamento di cultura pop e filosofia possa approfondire l’una e arricchire l’altra. L’analisi si articola in quattro capitoli che ruotano attorno a tre parole chiavi, scelte perché centrali per la sensibilità e per la crescita dei Radiohead. I termini, espressi nel sottotitolo, “musica”, “tecnica” e “anima” configurano la chiave interpretativa dell’intero volume. Il rapporto tra queste entità si evolve, infatti, durante la storia della band: gli autori individuano, così, tre fasi all’interno della loro produzione musicale. Nella prima fase il rapporto tra anima e tecnica è conflittuale e sospettoso, mentre la musica rimane conforme a sonorità più tradizionali. Il secondo è un periodo di immersione in quello che prima era il “nemico”, nella tecnica, corrispondente perciò ad una forte sperimentazione musicale, che si avvale di strumenti digitali più che analogici. Infine, il terzo momento si realizza nella conciliazione tra anima e tecnica e nello sviluppo di un equilibrio musicale tra il “nuovo” ed il “tradizionale”. L’ultimo capitolo del volume inserisce la riflessione in un panorama più ampio che comprende diversi generi di musica, dalla classica al jazz, e diversi pensieri filosofici, quali quello di Adorno, di Fisher ed altri.
Nel primo capitolo gli album di riferimento sono The Bends ed Ok Computer, secondo e terzo album della band, mentre il primo, Pablo Honey, non viene incluso nella riflessione poiché lontano dai temi trattati. In entrambi, dunque, la tecnologia viene percepita come un avversario, un ostacolo che complica la vita dell’uomo piuttosto che semplificarla. Tuttavia, fin da The bends il gruppo dimostra una profonda sensibilità nel notarne la duplicità, nell’osservare come la tecnologia possa fornire aiuti e supporti contemporaneamente a difficoltà e confusione. Marino e Guzzi individuano all’interno del “corpus” della band un’immagine particolarmente illustrativa di questa duplicità: quella dell’airbag. Nell’omonima canzone, in apertura di Ok computer, questo oggetto diviene l’emblema del connubio tra negatività della tecnologia, in questo caso le macchine che ci mettono in pericolo, e della positività di essa: è sempre la tecnologia a salvarci, proprio con l’airbag. L’atteggiamento dei Radiohead rimane, in ogni caso, ostile verso la tecnica, invitando i loro ascoltatori ad allontanarsene, in canzoni quali Street spirit o Fake plastic three.
La riflessione della band si sviluppa in linea con pensieri di grandi filosofi contemporanei, quali Horkeimer o Gehler, tesi comune è che la tecnologia sia la maggior responsabile dello spaesamento umano di oggi. Essa impone ritmi e standard per loro irraggiungibili, e ne scredita proprio le caratteristiche più “umane”. Di fronte a questa realtà, frustrante, emerge dunque un nuovo tema, quello dell’evasione. Di esso tratta la riflessione filosofica sulla tecnica, così come i Radiohead, che affrontano l’argomento in Subterranean Homesick Alien o in Exit Music. In queste ultime tracce di Ok computer è possibile iniziare a notare un indice di cambiamento nella musicalità, che da tradizionale ed analogica, tipica di una band pop-rock degli anni Novanta, si avvia a una maggiore sperimentazione. Nell’ultima canzone, The tourist, infatti, gli artisti contrappongono alla fretta e superficialità del turista un’atmosfera di calma, di sogno. Riportano così l’ascoltatore alla dimensione del tempo proprio attraverso l’utilizzo di sonorità digitali.
Le ultime tracce di Ok computer, dunque, sfumano verso la sensibilità del secondo periodo, il periodo di rivoluzione, di sperimentazione, di cambio, che ricorda l’antitesi hegeliana. Gli strumenti analogici vengono fortemente ridotti in favore di sonorità più particolari e innovative, diventa quasi onnipresente la componente elettronica, che si avvale di strumenti quali il Theremin o le onde Martenot. La musicalità più tradizionale è abbandonata, al suo posto la band costruisce atmosfere cupe e inquietanti. Gli album di questa fase sono Kid A e Amnesiac, due album fortemente legati fra loro. Molti brani di Amnesiac sembrano infatti rimandare a tracce di Kid A, anche se nel quinto album i testi si presentano come ancora più elusivi ed enigmatici. Questo secondo periodo stimola la riflessione filosofica riguardo al rapporto tra arte e mercato, ribellione e rientranza, innovazione e popolarità. I Radiohead, infatti, si confrontano con la tecnologia non più rifiutandola, ma cercando di comprenderne le potenzialità. Al tempo stesso, si confrontano con il mercato, senza sottostare interamente alle sue logiche, ma cercando di relazionarvici con consapevolezza. Rispettano quella che gli autori definiscono la “regola aurea” (p. 69), pronunciata da Robert Fripp, secondo cui è giusto lavorare nel mercato senza, però, sottostare ai suoi valori. La band inglese, infatti, in questi primi anni 2000, non si appiattisce ai processi di realizzazione e pubblicazione musicale, ma intraprende progetti “diversi”, quali la distribuzione solo tramite web dell’album Kid A, il no-logo tour, e più avanti, anche il free download di In Rainbows. Il volume connette, inoltre, la posizione della band inglese alle riflessioni adorniane sulla popular music. Secondo il filosofo, la popular music si autoinganna in una pseudo-libertà a causa della quale pensa di essere libera ed originale, essendo in verità sottoposta a regole che non ha scelto. I Radiohead, proprio grazie al loro cammino di consapevolezza, sono, secondo l’interpretazione degli autori, riusciti a sottrarsi da questo meccanismo e, grazie a ciò, si sono affermati come unici nel panorama musicale a loro contemporaneo e non solo.
In questa pseudo-dialettica è il terzo periodo, dunque, a costituire la sintesi. Dall’inimicizia tra anima e tecnica, che focalizzava la musica sull’uomo rinnegando la tecnologia, la band era giunta ad una scoperta e presa di coscienza della tecnica e delle sue potenzialità, positive se affiancate da consapevolezza; viene, infine, superata anche la prospettiva tecno-centrica per favorirne una antropocentrica. Nel terzo momento musica, tecnica e anima trovano un’equilibrio al cui centro sta l’anima stessa, esaltata ed espressa attraverso musica e tecnica assieme. Ogni album esprime questo equilibrio in maniera differente, per quanto tutti si riavvicinano ad una musicalità più melodica ed accessibile. Hail to the thief è un album di contenuti politici, lo stesso titolo si riferisce ad uno scandalo politico di quegli anni, mentre In Rainbows presenta un carattere più introspettivo e psicologico. The King of Limbs ha come tema centrale la natura, intesa come duale, positiva e negativa, che si esprime negli istinti e nelle passioni dell’uomo. Infine A Moon Shaped Pool si concentra sulla dimensione del ricordo, del tempo che passa ineludibile, di fronte a cui l’unico rimedio è la musica stessa. Nemmeno con l’ultimo album si ferma la sperimentazione musicale dei Radiohead, che associa ai propri classici suoni pop e rock le sonorità della London contemporary orchest.
Il volume si conclude con riflessioni più generali che inseriscono la band inglese e, con essa, le riflessioni svolte, in un contesto filosoficamente e musicalmente più ampio. Innanzitutto una band come i Radiohead può, secondo gli autori, aiutare nel processo di presa di consapevolezza delle interazioni esistenti tra musica leggera e musica seria, da tempo considerate come nettamente separate. Per l’intera durata del testo è infatti chiaro quanto la band sia influenzata dal jazz e dalla musica classica. Non solo, alcuni classicisti o jazzisti si sono altresì avvicinati ai Radiohead e ad altri artisti “pop”, come i Beatles, Kurt Cobain, Prince e molti altri. Quest’ultimo capitolo evidenzia, quindi, la grande connessione tra musica popolare e musica seria, rendendo la loro linea di demarcazione meno definita. La prospettiva degli autori rimane, comunque, sempre molto aperta. Sottolineano, infatti, quanto sia importante considerare la musica come un fenomeno vario e molteplice e quanto le interpretazioni totalizzanti spesso rischino di non riflettere la complessità della realtà e le sue sfumature. Il volume esprime inoltre, basandosi anche sul grande esempio dei Radiohead, profonda fiducia nella musica futura, la quale riuscirà a non appiattirsi alle logiche del mercato fino a quando qualcuno ricercherà la sovversione come manifestazione della propria libertà.
L’analisi della produzione dei Radiohead è un’analisi vasta e dettagliata che, pur non toccando ogni singolo brano della band, riesce a cogliere le caratteristiche salienti dei vari periodi individuati. Non solo la descrizione è incentrata sui testi delle canzoni, ma anche sulle melodie, le atmosfere, le sensazioni che suscitano, gli strumenti che le definiscono o quelli che le impreziosiscono. La scrittura degli autori armonizza le diverse componenti, considerando ognuna di loro come portatrice di significato, trovandone il legame interno, senza tralasciare alcun aspetto. Il focus degli autori, inoltre, cambia seguendo le inclinazioni della band: i testi, così, hanno un grande spazio durante la descrizione di un album come The bends o in A Moon Shaped Pool, mentre è riservata più attenzione ad aspetti quali i “mood” o i nuovi strumenti digitali durante l’approfondimento di Amnesiac. La scrittura stessa del volume è, così, in armonia con le diverse fasi individuate. Al contempo, oltre agli aspetti di produzione e realizzazione, vengono considerati all’interno della riflessione anche i processi di pubblicazione e diffusione che spesso, notano gli autori, si abbinano all’atteggiamento della band del periodo corrispondente.
Illuminante è la scelta e l’utilizzo delle tre parole chiave attorno alle quali si muove l’intero testo: “musica”, “anima” e “tecnica” colgono i caratteri essenziali della riflessione e guidano quest’ultima in maniera fluente. Individuano, infatti, esattamente i punti di attrito, ed infine di connessione, presenti nella band e ci mostrano il loro sviluppo. In particolare, alla parola “anima” è riservata una spiegazione iniziale, poiché è forse un termine più ambiguo e complesso rispetto a “musica” e “tecnica”. “Anima” corrisponde, essenzialmente, alla componente espressiva, quella parte più intima e umana che ha bisogno della musica per manifestarsi e che, progressivamente, impara a relazionarsi con la tecnica.
I ragionamenti riguardanti i Radiohead, inoltre, sono quasi sempre accompagnati da voci di importanti filosofi che li chiarificano o li arricchiscono. La critica iniziale che la band sviluppa contro la tecnologia è molto vicina, osservano gli autori, ai pensieri di grandi filosofi quali Horkheimer, Gehlen, Simmel: vediamo, dunque, come la comunicazione tra musica e filosofia sia non solo possibile ma anche appropriata ed interessante. Costante durante l’intero volume è il confronto con uno dei più grandi scrittori di filosofia della musica: Theodor W. Adorno. Egli fornisce infatti moltissimi spunti di riflessione, dalla critica alla musica leggera, che i Radiohead sembrano sfuggire, alla distinzione tra musica leggera e seria, che viene in parte messa in discussione, alla dualità della musica, che si muove tra autonomia e dipendenza dalla società, che i Radiohead percepiscono ed esplorano.
In conclusione, Guzzi e Marino, in questo volume, avvicinano molti campi fra loro, osservandone i punti di incontro, pur rimanendo consapevoli della loro distanza. Non intendono, come menzionato sopra, costruire un sistema filosofico dei Radiohead, ma mostrano come la band inglese presenti una sensibilità filosofica e come la stessa filosofia possa essere arricchita grazie ad un confronto con la musica, anche popular. Al tempo stesso, non intendono cancellare la distinzione tra generi musicali, ma mostrano come spesso essa si affievolisca nella realtà.
Il testo è ampio e interessante, sicuramente appassionante per i conoscitori dei Radiohead, ma potenzialmente stimolante anche per gli esperti di Adorno. In ogni caso, non sono necessarie conoscenze particolari di filosofia o di musica per affrontare questa lettura, essendo la scrittura estremamente chiara, anche sui temi più complessi.
Bibliografia:
Marino-Guzzi (2021), La filosofia dei Radiohead, Milano, Mimesis
Alessia Veca, laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Milano, è attualmente studentessa di Scienze Filosofiche presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. I suoi interessi investono diversi ambiti, dall’antropologia alla filosofia morale, dalla pop-filosofia alla poetica. Durante il suo percorso di studi, ha vissuto per due periodi all’estero, a Oviedo (Spagna) e a Hobart (Australia).