Recensione a cura di Diego Donna
La nuova edizione italiana a cura di Andrea Di Gesu e Matteo Polleri dell’intervento di Michel Foucault Qu’est-ce que la critique? Suivi de La culture de soi, originariamente pubblicato presso Vrin nel 2015, presenta il merito di offrire ai lettori e agli specialisti italiani dell’opera foucaultiana una traduzione critica aggiornata dell’intervento tenuto dal filosofo nel 1978 alla Sorbona per la Société française de Philosophie, precedentemente tradotto in Italia da Paolo Napoli per Donzelli (Roma, 1997) con il titolo Illuminismo e critica. L’edizione curata da Di Gesu e Polleri integra l’intervento con passi tratti dai manoscritti inediti del filosofo, contenuti negli archivi della Bibliothèque Nationale de France arricchendo così le riflessioni foucaultiane sull’Aufklärung precedentemente tradotte. La nuova edizione comprende inoltre una conferenza in inglese del 12 aprile 1983, tenuta all’Università della California a Berkeley dal titolo La cultura di sé, seguita da tre dibattiti organizzati dall’Università della California, i primi due in inglese, l’ultimo in francese. Il lettore italiano acquisisce in questo modo ulteriori strumenti per collocare concettualmente e storicamente lo statuto della “cultura di sé” nella riflessione ermeneutico-filosofica e storico-critica intrapresa da Foucault negli ultimi anni della sua ricerca sui temi della costituzione della soggettività.
L’ultima riflessione foucaultiana sull’Aufklärung convoca, com’è noto, la figura di Kant non solo sul fronte dell’inchiesta relativa alla questione epistemologico-trascendentale “Che cosa posso conoscere?”, ma alla luce di un’“attitudine morale e politica” che chiama in causa i rapporti tra potere, verità e soggetto. La “sede della critica” (p. 37), adombrata già nella tesi complementare di Foucault sull’Antropologia pragmatica di Kant – via d’accesso alle Lumières non solo gnoseologica ed epistemologica, ma considerata a partire da ciò che l’“essere umano” fa o può fare di se stesso – si approfondisce nei corsi al Collège de France tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta dedicati forme di governo “pastorale” tra XV-XVI secolo e all’ermeneutica del soggetto. Al centro, i contesti storici che hanno dato luogo, con l’avvento dei processi di Riforma e Controriforma, alla costituzione della razionalità moderna. Nell’intervento alla Société française de Philosophie Foucault si confronta con la storia della filosofia e della cultura europea, ma al tempo stesso proietta il movimento culturale e politico dell’Illuminismo oltre i suoi molteplici confini storici e geografici per innestarlo in un “coraggio di sapere” (p. 40), o un ripiegamento attivo della soggettività su di sé (souci de soi) culminante nella decisione di «non essere governati». Definito nell’intervento alla Société française de Philosophie come “prolegomeno a ogni Aufklärung, presente e futura”, il Sapere aude kantiano diventa così l’emblema di una critica permanente al modo d’essere, di pensare e di agire che dà senso all’adesso in cui siamo coinvolti. Modello di una decisione da prendere su se stessi, rintracciabile in ogni punto della storia dall’antichità greco-romana all’età moderna passando per la cultura cristiana, l’Aufklärung foucaultiano converge nella “volontà deliberativa di non essere governati” (p. 57) che l’ultimo intervento del filosofo del 1983, parafrasi critica di Was ist Aufklärung, tradotto in inglese nel 1984, completerà all’insegna di un governo di sé e degli altri corrispondente a un’estetica dell’esistenza. Foucault la legge in funzione delle pratiche di soggettivazione e delle “tecniche di sé” che prendono le distanze dai saperi e dai poteri che ci hanno costituito.
Rilevante sotto questo profilo è la scelta da parte dei due curatori di Che cos’è la critica? di tradurre l’espressione culture de soi con “cultura di sé” e non con “cultura del sé” sia per motivi grammaticali – “cultura del sé” corrisponderebbe piuttosto al francese culture du soi – sia per ragioni concettuali. Agli occhi dei traduttori, infatti, la prima soluzione corrisponde più precisamente al carattere anti-individualista e non personalistico dell’estetica dell’esistenza foucaultiana che fa il paio con l’altra celebre espressione souci de soi, resa in italiano con “cura di sé”. È in questa cornice che assume allora particolare valore la scelta di includere alla nuova traduzione di Che cos’è la critica? l’intervento sulla cultura di sé tenuto da Foucault nel 1983 all’Università della California in cui emerge con forza l’interrogativo sulla “storia generale dell’uso che facciamo della nostra ragione” in virtù di un’analisi critica che sovradetermina l’inchiesta sulle condizioni formali della verità con gli effetti di “disassoggettamento” che le “tecniche di sé” sono capaci di innescare.
Di qui la parziale presa di distanza di Foucault dal “pensiero negativo” della prima Scuola di Francoforte che si arrestava sulla denuncia della razionalità calcolante dei moderni, rovescio distruttivo delle promesse di emancipazione inaugurate dal motto baconiano “divenire maestri e possessori della natura”. Per Foucault, compito della critica non è liberarsi dalla falsa coscienza al fine di estrarre dalle maglie del potere una “vera” realtà sull’“uomo”. Il punto non è nemmeno attestare la “verità” degli eventi in quanto “fatti” storici da collocare su scale temporali coerenti e omogenee, bensì rendere visibili aspetti della storia che problematizzano l’immagine del presente in cui viviamo. La verità, così come la realtà dei discorsi e dei soggetti che li enunciano, è sempre il prodotto di una rete di pratiche collettive che antecedono i soggetti e dalle quali dipende la gerarchia tra le parole e le cose, così come tra individui e istituzioni.
L’indagine storica sul concetto di critica condotta nell’intervento alla Société française de Philosophie si perfeziona dunque nell’interrogativo sugli effetti di potere prodotti dai discorsi di verità. La cultura di sé è il correlativo delle tecnologie che producono la storia: Foucault non le rifiuta in nome di una sterile condanna della modernità tecnica, la stessa su cui naufragano le critiche reazionarie della razionalità moderna, ma ne fa piuttosto il campo di battaglia e la “forza creativa” entro cui cogliere i meccanismi di produzione della soggettività. Un rinnovato impegno per la ragione, critico e al tempo stesso costruttivo, da cui prende forma l’“impazienza della liberta”.
Diego Donna è Professore associato presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna dove si occupa di storia della filosofia moderna e contemporanea. Doctor Europaeus di ricerca (Università di Bologna/Utrecht) e ricercatore nel quadro del progetto Herméneutique des Lumières (FNS, Université de Genève/Bologna), è stato Visiting Scholar di numerosi centri di ricerca internazionali, fra cui IRPhiL, Université Lyon III, Birkbeck College of London, Princeton University, Utrecht University. Presso il Dipartimento di Filosofia (Unibo) è membro fondatore del Centro Internazionale di Studi Spinoziani “Sive Natura”, membro del Centro di ricerca Knowledge and Cognition e del gruppo di ricerca Filosofie in traduzione. È coordinatore del gruppo di ricerca Illuminismo. Storie e filosofie. Fra le sue pubblicazioni: I diagrammi della filosofia. Una storia eretica della filosofia contemporanea in Francia (Mucchi, 2024); Contre Spinoza. Critique, système et métamorphoses au siècle des Lumières (Georg, 2021), Dispersione, ordine, distanza. L’Illuminismo di Foucault, Luhmann, Blumenberg (Quodlibet, 2021).