Chalmers, “Più realtà. i mondi virtuali e i problemi della filosofia”

Recensione a cura di Lorenzo Bodellini

 

Posti dinanzi a un’esperienza caratterizzata dalla crescente interazione con le nuove tecnologie, diventa imperativo interrogarsi su quali siano gli effetti di questi moderni strumenti in merito alle domande che la filosofia si è posta fin dalla sua origine. Un contributo interessante è contenuto in Più realtà, i mondi virtuali e i problemi della filosofia, opera di David Chalmers che discute analiticamente, attraversando i vari domini della filosofia, dalla metafisica, all’epistemologia, alla teoria del valore, una tesi fondamentale e coraggiosa: la realtà virtuale è realtà a tutti gli effetti.

La questione apre un dibattito interessante che chiama in causa argomenti raccolti nell’intera storia del pensiero. Le domande che ne derivano sono molteplici: come possiamo sapere di non essere in un mondo virtuale? I mondi virtuali sono reali o illusori? Si può condurre una vita buona in un mondo virtuale? Questi i temi fondamentali a cui possono seguire una moltitudine di domande ulteriori su mente, Dio, etica, politica, scienza e linguaggio. A ognuno di questi argomenti, Chalmers dedica attenzione, convinto di poter offrire una prospettiva inedita alla luce delle novità dovute al progresso tecnologico.

La prima domanda, cui è dedicata la seconda parte dell’opera, è già nota, ricorre in filosofia fin dai tempi di Descartes e riguarda il famoso “argomento dell’ignoranza”. In questo contesto, la tesi di Chalmers si pone nei seguenti termini: non possiamo sapere di non trovarci in una simulazione, di non essere dunque individui simulati. Ne consegue perciò che non possiamo conoscere il mondo esterno per com’è realmente. Posta una serie notevole di assunzioni potremmo ammettere senza difficoltà che un mondo simulato sarebbe assolutamente indistinguibile da un mondo non simulato e, come nel famoso aneddoto di Zhuangzi, che sogna di essere una farfalla, non è chiaro all’uomo se sia egli a sognare di essere l’insetto o l’insetto a sognare di essere l’uomo. Chalmers ammette che l’ipotesi della simulazione non è “scientifica” nel senso popperiano del termine, non è in alcun modo falsificabile; è pur vero, tuttavia, che al di là della rigidità del criterio di Popper, l’ipotesi in questione ha una sostanziale componente filosofica che forse non pretende di rispondere a certi criteri di scientificità.

Il tema della simulazione chiama in causa notevoli dubbi scettici. Non è chiaro come si possa escludere che un dispositivo per la realtà virtuale non ci stia ingannando anche in questo momento. Chalmers ricorda il demone maligno di cartesiana memoria e la più attuale ipotesi del cervello-in-una-vasca di Hilary Putnam che si avvicina rapidamente all’ipotesi della simulazione difesa dall’A., la cui minaccia appare in questo contesto, citando Barry Dainton, molto più reale di quella rappresentata dai suoi predecessori.

La domanda epistemologica sull’ipotesi della simulazione è evidentemente legata a quella sulla realtà. Se infatti consideriamo i contenuti di una simulazione soltanto illusioni e ci è contemporaneamente impossibile escludere di vivere in una simulazione, allora ci troviamo necessariamente in uno scenario scettico e non abbiamo nessuna possibilità di conoscere alcunché. Chalmers si lancia anche in una provocazione. Afferma infatti che non soltanto non possiamo sapere di non essere in una simulazione, ma che anzi questo sembra uno scenario addirittura probabile. C’è da aspettarsi che una popolazione non simulata, in grado di creare simulazioni, ne produca in grande quantità. Per ogni popolazione non simulata ci sarà perciò un numero ampio di popolazioni simulate, il che fa crescere esponenzialmente la probabilità statistica di essere una di esse.

Alcuni filosofi sostengono che il fatto di essere coscienti indichi che non siamo simulazioni. Chalmers richiama Bostrom e la sua ipotesi dell’indipendenza dal sostrato, per cui la coscienza dipenderebbe solo dall’organizzazione di un sistema e non dal sostrato in cui il sistema è implementato. Ne deriva che sia assolutamente irrilevante se esso sia biologico o di silicio. Alla luce di tutto questo non possiamo sapere con certezza di trovarci in una simulazione, ma non possiamo neanche escluderlo. Nello specifico, la conclusione di Chalmers è che non possiamo sapere di non essere in una simulazione. Per escludere la minaccia scettica si dovrebbe dimostrare che quelle esperite in una simulazione non sono affatto illusioni, e a questo sarà dedicata la sezione successiva.

L’opera si concentra nella sua terza parte su cosa sia allora la realtà. L’obiettivo è quello di sostenere che una realtà è reale se gli oggetti presenti in essa sono reali e che è erroneo pensare che solo la realtà fisica goda di tale attributo. Le entità nella realtà virtuale esistono davvero. Questa concezione è detta “realismo virtuale”, ed è in questo senso che si parla di “più realtà” e di realtà ulteriori rispetto a quella fisica. Chalmers parla inoltre di “digitalismo virtuale”, per cui gli oggetti nella realtà virtuale sono oggetti digitali, ossia strutture di informazione binaria o bit. Se ci troviamo in una simulazione, gli oggetti digitali che ci circondano sono reali all’interno della simulazione. Tuttavia è necessario definire precisamente cosa sia il reale, cosa per cui è possibile offrire più definizioni. Il reale può essere inteso come esistenza, qualcosa è reale se esiste davvero. Non è però chiaro cosa significhi esistere. Se per Berkeley, idealisticamente, esistere è percepire, si potrebbe obiettare che qualcosa esista anche se non percepito da alcuno. C’è poi la definizione di realtà come potere causale, per cui qualcosa esiste solo nella misura in cui può influenzare le cose o lasciarsi influenzare da esse.

La realtà può poi ulteriormente essere intesa come indipendenza mentale, perciò reale è qualcosa che, qualora si dovesse cessare di credervi, non scomparirebbe. Una definizione simile è quella di realtà come non illusorietà: qualcosa è reale quando è come sembra; possiamo infine pensare a una definizione di realtà come autenticità: invece di chiederci se un elemento x sia reale, chiediamoci se è un reale x. La realtà esperita in un mondo virtuale rientra adeguatamente in ciascuna delle definizioni esposte. Questo permette a Chalmers di affermare che oggetti virtuali siano senza dubbio reali. Per meglio dire, oggetti virtuali sono reali nello stesso senso in cui lo sono gli oggetti fisici.

Chalmers decide poi di affrontare la questione metafisica legata a quali siano i fondamenti della realtà. Gli oggetti con cui interagiamo abitualmente potrebbero essere oggetti digitali. Essi non lo sembrano, ma non sembrano neppure oggetti della meccanica quantistica eppure non si direbbe che non siano reali in quanto fondati su processi quantistici. Se fossimo da sempre in una simulazione perfetta gli oggetti sarebbero sempre stati oggetti digitali.

Da qui Chalmers sostiene che l’ipotesi della simulazione dovrebbe essere vista come una variante dell’ipotesi it-from-bit che postula un livello digitale alla base della fisica. Le molecole sono fatte di atomi, gli atomi di quark, i quark di bit. In questo senso l’ipotesi della simulazione non appare più come un’ipotesi scettica bensì come un’ipotesi metafisica, sulla natura della realtà. L’ipotesi it-from-bit implica che tutto ciò che ci circonda, nel mondo fisico, sia fatto di pattern di bit. In questo paesaggio metafisico, quindi, il fondamento della realtà è l’informazione. Chalmers fa riferimento in particolare all'informazione “strutturale”, che implica una struttura di bit, cifre binarie 0 o 1, che possono essere organizzate in sequenze.

Per Chalmers, l’informazione è fisica, può essere fisicamente incarnata, come avveniva con le schede perforate nelle prime fasi della storia dell’informatica e per questa ragione sembra quantomeno possibile che l’informazione strutturale giochi un ruolo nelle leggi della fisica, che quindi potrebbe essere interpretata come una conseguenza della nuova fisica digitale, fondata sui bit. Non è perciò affatto vero che in una simulazione nulla è reale e sembra che Chalmers abbia elaborato un argomento piuttosto forte a favore del suo “realismo della simulazione”.

Nella quarta parte si discute nuovamente il rapporto tra realtà virtuale e realtà fisica. C’è da domandarsi, ad esempio, se un visore per la realtà virtuale, in qualche modo, crei la realtà e in che rapporto gli oggetti virtuali si trovino con gli oggetti fisici. Gli approcci teorici sono fondamentalmente due: il “finzionalismo virtuale”, secondo il quale la realtà virtuale è una realtà immaginaria, e il digitalismo virtuale, secondo il quale la realtà virtuale è una realtà digitale. In questo secondo caso, gli oggetti virtuali sono assolutamente reali, prodotti da sequenze di bit. Un x virtuale è perfettamente reale, anche se non è un x reale nel senso che non è autenticamente un x. L’autenticità di alcuni oggetti dipende dal sostrato. Un gatto virtuale non è un gatto biologico nel senso in cui un gatto biologico è una struttura con un determinato DNA; è indubbio tuttavia che un gatto virtuale, in quanto digitale, sia comunque reale. 

La realtà virtuale sembra che possa portare a forme di relativismo: determinati oggetti, che abbiamo argomentato essere reali, possono esistere entro una realtà virtuale e non sussistere in un’altra. Per Chalmers queste sono forme di relativismo innocuo, che in nessun modo minacciano l’idea di una realtà oggettiva. Similmente, Deepfake, Fake News e moderne Intelligenze Artificiali possono ingannarci molto facilmente ma, per quanto possano essere “localmente” efficaci, difficilmente possono produrre un inganno completo, ossia ingannarci contemporaneamente su un’ampia gamma di questioni, e non sono dunque sufficienti alla formulazione di un argomento a favore dello scetticismo.

La quinta parte è dedicata al tema della mente. Il paradigma introduttivo è quello del dualismo cartesiano: mente e corpo sono due entità scisse che si relazionano fra loro. In uno scenario nel quale un corpo fisico, tramite un apposito visore per la realtà virtuale, interagisce con un mondo virtuale, il dualismo, in un certo senso, si dà effettivamente.

Viene affrontato poi un’altro tema estremamente rilevante: se esseri umani simulati, con cervelli simulati, siano coscienti. Potremmo ammettere che esseri umani simulati siano soltanto “zombie filosofici” ossia entità che si comportano nello stesso esatto modo in cui ci comportiamo noi e tuttavia non godano di nessuna coscienza. L’antica saggezza cinese aveva già problematizzato ciò rispetto ai rapporti con le altre persone fisiche: “Quando sul ponte il suo discepolo gli chiese come facesse a sapere come si sentisse un pesce, dal momento che egli non era un pesce, Zhuangzi rispose con un’altra domanda, ossia come facesse il discepolo a sapere come si sentisse Zhuangzi”.

Un altro tema è quello dell’upload mentale. Ipotizziamo di poter caricare la nostra mente su un dispositivo alternativo al nostro cervello, forse potremmo sperimentare una forma di immortalità. Un serio problema rispetto a ciò è cosa possa succedere una volta compiuto un totale upload mentale, se il soggetto caricato manterrà o meno la sua identità, se si comporterà esattamente come avrebbe fatto il corrispettivo fisico, se sarà cosciente e così via.

Un esperimento interessante in questa direzione potrebbe essere quello che Chalmers chiama “upload graduale”. Immaginiamo di sostituire le cellule del nostro cervello, una alla volta, con cellule simulate, facendo in modo che ogni cellula simulata sia capace di interagire con le vicine cellule biologiche. Proseguendo lentamente avremo, a un certo punto, intere parti del nostro cervello simulate fino a che non arriveremo a un cervello simulato completamente. Apparentemente è difficile pensare che le cellule simulate, che si comportano esattamente come quelle biologiche, impediscano la presenza della coscienza del soggetto o ne causino la sparizione a un certo punto del processo. Sembra si possa concludere che i cervelli simulati possono essere coscienti almeno quando il cervello che stanno simulando lo è. Un processo graduale potrebbe, ipoteticamente, risolvere anche il problema dell’identità, se un soggetto venisse caricato un poco alla volta forse potrebbe sopravvivere al processo e uscire cosciente dall’altra parte nella simulazione. 

Risulta necessario all’interno di questa quinta parte parlare anche di “mente estesa”. Secondo la teoria della mente estesa alcuni strumenti possono diventare parti della nostra mente. Quando memorizziamo delle informazioni scrivendole su un taccuino stiamo ampliando la nostra memoria attraverso un dispositivo esterno a noi. Quando nacque, nel 1998, la teoria della mente estesa fu scarsamente considerata ma oggi, alla luce delle moderne tecnologie, appare molto più condivisibile. Gli strumenti di cui facciamo uso abitualmente come internet, i PC o i telefoni cellulari, ci appaiono intuitivamente come estensioni della nostra mente o almeno di parti di essa come i ricordi e le credenze. Se le macchine per la realtà virtuale possono essere pensate come delle macchine creatrici di realtà, le macchine per la realtà aumentata, ossia quei dispositivi che proiettano oggetti virtuali nella realtà fisica, possono essere considerati, a pieno diritto, strumenti ampliativi delle nostre stesse menti.

La sesta parte del libro si occupa di teoria del valore e si domanda se si possa condurre una vita buona in un mondo virtuale. Ci sono varie risposte alla domanda su cosa sia una vita buona. L’edonismo sostiene che il valore riguardi la soddisfazione del piacere, l’esperienzialismo rivendica l’idea che gli oggetti fondamentali del valore siano le esperienze coscienti, una concezione ancora differente rappresenta il valore come soddisfazione del desiderio. Esistono ulteriori concezioni del valore come quella sociale o quella che identifica il valore con un elenco di obiettivi da raggiungere, come la conoscenza, l’amicizia e così via.

Appare evidente che a qualsiasi forma di realtà virtuale manchi la fisicalità, manchi il nostro corpo fisico e questo potrebbe essere un punto rilevante per considerare impossibile vivere una vita buona in un mondo virtuale. Tuttavia, come sostiene Chalmers, l’argomento si fa meno forte quando ipotizziamo realtà virtuali talmente avanzate da essere indistinguibili dalla realtà fisica. Resta comunque rilevante l’assenza, all’interno di una simulazione, dei concetti di nascita e morte, che attribuiscono grande significato alla nostra esperienza. Per Chalmers, ogni valore nasce dalla coscienza, essa stessa ha valore e le relazioni con essa hanno valore. Una coscienza sembra possa essere implementata in un mondo virtuale e da questo ne consegue che, sul lungo periodo, i mondi virtuali disporranno della maggior parte delle qualità che rendono buona la vita del mondo non virtuale. 

In merito alla domanda morale elaborata fin qui si pone anche la questione del valore che attribuiamo alle vite simulate. Ipotizzando di riuscire a produrre una simulazione nella quale si trovino molteplici individui simulati coscienti o apparentemente tali, non è chiaro quanto e quale valore dovremmo attribuire a queste vite. C’è da domandarsi, ad esempio, se terminare la simulazione possa essere considerato un atto crudele, oppure è possibile immaginare una molteplicità di dilemmi sul modello trolley problem per cui non è affatto ovvio se sia lecito terminare cinque vite simulate al fine di salvarne una non simulata.

Nuovamente, l’opinione di Chalmers è che ciò che conferisce statuto morale sia la coscienza. La presenza o meno di quest’ultima è discriminante rispetto alla moralità delle decisioni prese sull’oggetto. La risposta che da Chalmers è dunque che esseri non simulati non godono affatto di uno statuto morale privilegiato rispetto a esseri simulati allo stesso modo coscienti. Si apre inevitabilmente a questo punto il dilemma politico: come costruire una società virtuale.  Al giorno d’oggi le attuali giovani società virtuali sono delle “corporatocrazie”, gestite cioè da aziende che ne sono proprietarie. C’è da chiedersi se questo sistema sia desiderabile per il futuro o si debba invece provare a percorrere altre strade.

I due temi politici fondamentali nei mondi virtuali sono l’uguaglianza e la giustizia. In un mondo virtuale non sembra ci possa essere scarsità di beni né scarsità di spazio. Mondi virtuali sono caratterizzati da “abbondanza virtuale”. Rawls ha affermato che è la scarsità una condizione per la giustizia, in un mondo dove regna l’abbondanza semplicemente non c’è bisogno di giustizia. Forse potremmo immaginare un mondo virtuale come una “società post-scarsità”, una sorta di utopia.

In realtà la situazione è più complessa: esistono alcuni beni che sono non distribuibili come la posizione sociale o la fama. Esistono disuguaglianze relazionali, gruppi sociali oppressi da altri. È facile aspettarsi che certi generi di sperequazione possano trasferirsi anche nei mondi virtuali. La vera uguaglianza richiede la rimozione di queste forme di oppressione e non sembra che una transizione verso mondi virtuali possa avere alcun effetto positivo su questo.

Il saggio si conclude con una settima parte dedicata ai "fondamenti". Il primo interrogativo riguarda il linguaggio, ovvero che significato hanno le parole nei mondi virtuali. Riprendendo Daniel Dennett: “un uragano virtuale non ci bagna” ma, argomenta giustamente Chalmers, se ci trovassimo all’interno della simulazione ci bagnerebbe, è dunque solo una questione di prospettiva. Tutto questo ha a che fare con il linguaggio perché l’individuo che è sempre vissuto all’interno di una simulazione attribuirà agli oggetti virtuali lo stesso nome che avrebbe attribuito agli oggetti fisici. L’argomento più forte a sostegno di questo è l’esternalismo di Putnam. La sua idea è che non necessariamente a una indistinguibilità di riferimento corrisponda una indistinguibilità di significato.

L’esempio classico che riporta Putnam è quello dell’acqua su una terra gemella dove la sua formula chimica non sia H2O ma XYZ. I due liquidi si comportano esattamente alla stessa maniera e a entrambi viene attribuito il nome “acqua”. Eppure, sostiene Putnam, la parola “acqua” ha, rispettivamente che si riferisca al liquido terrestre o al suo gemello, un significato diverso. Si può affermare che avvenga qualcosa di simile anche nel rapporto tra le parole che si riferiscono rispettivamente a oggetti fisici o virtuali. Restano tuttavia in vita alcuni problemi con l’esternalismo di Putnam: esistono alcune parole che hanno il medesimo significato indipendentemente dal fatto che ci si trovi all’interno di una simulazione o meno. Se si pensa a un computer ad esempio, esso resta sempre un computer, una distinzione tra computer fisico e computer virtuale è semplicemente non necessaria e fallace.  Sostiene Chalmers che questo sia dovuto al fatto che il paradigma che dovremmo prendere in considerazione non è affatto quello esternalista, che districa alcuni problemi ma non li risolve tutti, quanto un altro: lo strutturalismo.

In merito al suo strutturalismo Chalmers parla di Dust theory. L’idea è che, presa una nuvola di polvere composta di infinite particelle sparse casualmente, possa generarsi in essa una qualsiasi possibile configurazione e perciò essa possa implementare un qualsiasi algoritmo e di conseguenza realizzare anche qualsiasi stato di coscienza. Questo argomento, per Chalmers, può funzionare solo a patto che esistano delle regole che determinano il comportamento delle particelle. In assenza di regole le particelle, per quanto possano effettivamente configurarsi in un numero infinito di composizioni, non avranno mai la giusta struttura causale. 

Gli elementi fisici devono interagire tra loro in pattern di causa ed effetto. Lo strutturalismo di Chalmers è perciò uno strutturalismo causale. In una simulazione di un oggetto vengono preservati i rapporti di causa ed effetto che si presentano nel corrispettivo non simulato. In una nuvola di polvere sparsa in modo casuale non ci si può aspettare nessun calcolo e nessuna coscienza, la nuvola deve essere organizzata con la giusta struttura causale.

La posizione di Chalmers si avvicina a quello che aveva colto Carnap: il mondo deve essere descritto in termini di struttura, segnatamente logica e matematica. La forma più popolare di realismo scientifico è il realismo strutturale, le nostre teorie scientifiche descrivono la struttura del mondo, questa visione si muove, in parte, nella direzione indicata da Chalmers. Se lo strutturalismo è corretto, allora una simulazione informatica può rendere vere le teorie fisiche. Per Chalmers tutto ciò è una forma di “realismo della simulazione”. I rapporti strutturali interni a una simulazione perfetta sono gli stessi presenti al di fuori della simulazione e questo, appunto, rende le leggi fisiche interne vere. Gli oggetti fisici previsti dalle teorie fisiche come atomi, molecole e quark, inoltre, esisteranno e saranno distribuiti nello spazio e nel tempo esattamente come descritto da quelle teorie. Ne consegue che avranno lo stesso statuto di esistenza anche tutti quegli oggetti complessi di cui gli enti suddetti sono i fondamenti.

Al termine dell’opera, Chalmers dedica un ultimo capitolo a una rapida serie di casi particolari. Nulla esclude che noi non siamo un cervello di Boltzmann, cioè una struttura generata casualmente nell’universo soltanto per un istante, che questa struttura abbia elaborato una coscienza completa di memorie, credenze e progettualità e che in un attimo essa possa nuovamente cessare di esistere. È chiaro però che un’ipotesi di questo tipo appare estremamente poco probabile: il semplice fatto che l’esperienza che vivo in questo momento sia così perfettamente ordinata potrebbe essere una prova del fatto che io non sia un cervello di Boltzmann. Altri casi possono riguardare simulazioni locali, temporanee o imperfette. Chalmers affronta cursoriamente anche le ipotesi del sogno e del genio maligno sul modello cartesiano. 

La conclusione dell’opera è che non si sfugge alla realtà. Almeno alcune delle cose che percepiamo nel mondo esterno sono reali e l’ipotesi di trovarci in una simulazione non minaccia ciò in alcun modo, lo scetticismo fallisce. Anche in quei casi in cui, come nell’ipotesi del cervello di Boltzmann, ciò che percepiamo fosse totalmente irreale, comunque potremmo escludere di non sapere di non essere cervelli di Boltzmann e l’argomento dell’ignoranza fallirebbe nuovamente. Gli oggetti virtuali sono tanto reali quanto quelli fisici e questo garantisce una via di fuga da qualsiasi argomento scettico, oltre ed offrire una serie di riflessioni rilevanti alla luce delle nuove nascenti tecnologie.

 

Riferimenti Bibliografici 

Chalmers, D. (2023). Più realtà. I mondi virtuali e i problemi della filosofia. Milano: Raffaele Cortina Editore

(2011) L’opera di Chuang Tzu. Milano: Luni Editrice

Putnam, H. (1994) Ragione, verità e storia. Milano: Il Saggiatore

Carnap, R. (2014) La costruzione logica del mondo. Pseudoproblemi in filosofia. Milano: Utet 

Bostrom N. (2003) “Are you living in a computer simulation?” in Philosophical Quarterly, 52, pp. 243-255

Dennett D.C. (1991) “Dove sono?” in Brainstorm. Saggi filosofici sulla mente e la psicologia. pp. 463-484 Milano: Adelphi 

 

 

 

Lorenzo Bodellini (2002) ha conseguito la maturità scientifica e attualmente studia filosofia presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna. I suoi principali interessi di studio sono la filosofia della mente, la bioetica, la sociologia e l'analisi critica degli effetti delle nuove tecnologie sulla società, la politica ed il pensiero.