Capobianco, “La Via dell’Essere di Heidegger”

Recensione di Beatrice Ferri.

Richard Capobianco, The Way of Being, Toronto: Toronto University Press, 2014, trad. it. di Francesco Cattaneo, La Via dell’Essere di Heidegger, Napoli-Salerno: Orthotes, 2023.

Martin Heidegger ὁ σκοτεινός, con la sua trattazione della Seinsfrage, ha profondamente segnato il Novecento e il corso delle riflessioni successive, tanto da essere ancora oggi motivo di interesse, studio, ricerca. È un pensiero, quello prospettato da Heidegger, quasi senza pensatore, in quanto si risolve non nell’attività di un soggetto conoscente che domina il mondo, bensì nella risposta al gratuito darsi delle cose sulle quali non viene esercitata alcuna presa. A tal proposito, lo studioso americano Richard Capobianco, nel suo ultimo lavoro Heidegger’s Way of Being, uscito in prima edizione nel 2014 presso la University of Toronto Press, disponibile ora in lingua italiana presso la casa editrice Orthotes, rileva come le recenti ricerche intorno alla riflessione heideggeriana si siano orientate in una direzione opposta rispetto alla Grundfrage: «In tempi recenti un’attenzione crescente è stata rivolta all’applicazione del pensiero di Heidegger ad aspetti pratici di stampo sociale, politico, ambientale e di design, e, per quanto tali tentativi abbiano prodotto risultati interessanti e persino utili, la questione dell’essere è stata quasi interamente tralasciata» (Capobianco 2023, p. 13).

L’intento dell’autore è precisamente quello di restituire in tutta la sua pregnanza la trattazione heideggeriana della questione dell’essere (in tutta la sua inattualità), la quale sin dall’inizio ha costituito l’asse portante del pensiero del filosofo tedesco, la Grundfrage da cui ripartire per ricondurre il pensiero alla sua essenza, al suo elemento. Capobianco compie un intenso lavoro sul e con il corpus di opere heideggeriane, chiarendone in particolar modo le parole chiave: l’Essere come Aletheia, Ereignis, Lichtung, Physis, Logos, Hen, etc. Si tratta di ripartire dall’inizio, o meglio, dalla dimensione sorgiva che tutto precede, nonché dal motivo fondamentale che ha guidato il pensatore della Foresta Nera nei sentieri da lui intrapresi: si tratta di porre al centro la questione dell’essere. 

«La “dottrina” di un pensatore è ciò che nel suo dire rimane non detto, e a cui l’uomo è posto affinché vi si prodighi. Per poter esperire e quindi conoscere il non-detto di un pensatore, quale ne sia la natura, dobbiamo ripensare ciò che ha detto» (Heidegger, 1942, p. 159). Cosa significa confrontarsi con il non-detto di un pensatore? Qual è il non-detto di Heidegger? Tramite il linguaggio, l’essere è salvaguardato nella sua manifestatività: l’essere stesso è il Logos primordiale, originario, la raccolta preliminare cui il logos umano corrisponde nel suo homologein. L’uomo è zoon logon echon in quanto e-sistente, in quando da-sein, «e-statico stare-dentro nella verità dell’essere» (Heidegger 1947, pp. 278-279). Tramite il rapporto logos-Logos, circolo ermeneutico originario, l’essere giunge al linguaggio, «avvento diradante-velante» (ibid.), e l’uomo è posto nel suo elemento più proprio, la vicinanza dell’essere. Il pensiero è chiamato a naufragare nell’apertura che gli è propria, misurarsi con la verità dell’essere cui appartiene e scoprire la propria insufficienza. L’essere trova dimora nel linguaggio, perché l’uomo lo salvaguardi nella sua svelatezza. Eppure, nel linguaggio, è salvaguardata anche la sua velatezza. Heidegger ha saputo trasmettere nel suo dire la profondità dell’essere che è manifesto e nascosto, tanto quanto i suoi testi dicono esplicitamente e quanto tacciono. Ogni parola è abisso in cui risuonano la voce e il silenzio, la manifestatività e il nascondimento dell’essere. 

Il non-detto di Heidegger è allora insieme il detto esplicitamente. L’impresa di Capobianco è precisamente quella di restituire l’ab-grund che dimora nei testi heideggeriani e che li rende straordinariamente densi e inesauribili, oltre ogni limite della parola umana. A tale scopo, posto che «il linguaggio è la casa dell’essere» (Capobianco 2023, p. 7), lo studioso americano si impegna in un’ermeneutica dell’abisso proprio a partire da quei termini chiave che hanno custodito e vegliato sulla verità dell’essere. Sembra allora del tutto coerente con la via tracciata da Heidegger il percorso che Capobianco compie attraverso i testi del filosofo, affrontati non in ordine cronologico, ma nel rispetto dell’urgenza delle tematiche che di volta in volta si richiamano e si compenetrano a vicenda. In una prosa che a tratti si affaccia sulla poesia, il lettore è invitato a lasciarsi sprofondare nella vastità che si apre nelle parole. Ogni termine è esplorato nella sua incredibile ricchezza, restituito nel suo fondamentale rimando all’Essere. 

«Per Heidegger ciò che appella il pensiero e lo suscita è l’Essere. Il mio compito è di mantenere ciò al centro dell’attenzione» (Capobianco 2023, p. 17) si legge in chiusura all’Introduzione del testo di Capobianco in questione. In ottemperanza a tale proposito, l’autore propone un percorso nella vastissima produzione heideggeriana dagli esordi (1919) fino agli ultimi lavori, con un particolare riguardo per le opere poco conosciute o forse non sufficientemente considerate. L’avventura lungo la «Via dell’Essere» tracciata da Capobianco si snoda in sei capitoli, ognuno dei quali dedicato a un intenso confronto con le molteplici facce assunte dalla Seinsfrage nel corso dell’attività del “pensatore-meditante”. Titolo del primo capitolo è “Riaffermare la verità dell’Essere”, decisamente appropriato considerando l’Esergo dell’opera somma di Heidegger: «È dunque necessario riproporre il problema del senso dell’essere» (Heidegger 1927, p. 10). Per questo Capobianco sottolinea che «a guidare il suo [di Heidegger] pensiero dall’inizio è stata la “manifestatezza” dell’Essere». In queste prime pagine vengono dunque ripercorsi gli snodi fondamentali del discorso di Heidegger intorno al darsi, manifestarsi dell’Essere. È sicuramente il capitolo più denso, ma anche il più superficiale: si tratta quasi di una seconda introduzione, volta a chiarire brevemente alcuni concetti fondamentali del filosofo (l’essere come aletheia, Ereignis, Lichtung), successivamente sviluppati e approfonditi nelle pagine a venire. Il secondo capitolo è infatti più specifico ed è dedicato allo straordinario dialogo tra Heidegger e Hölderlin, tra pensiero e poesia, attraverso il quale l’Essere emerge e si manifesta come Natura, «l’“intero” rilucente che consente a tutti gli enti di essere [...] “corona splendente” che “‘incorona’ ogni cosa che appare”» (Capobianco 2023, p. 58. Capobianco cita qui Heidegger: HGA 75, pp. 207-208/405-407 [cfr. la Tavola delle abbreviazioni, p. 22]). In tale sede si affrontano i temi legati alla luce (phos), al “risplendere” (erscheinen, glanzen) delle cose e dell’essere, alla coppia eraclitea hen-panta, al sacro e al divino, alla meraviglia e allo stupore. 

In diretta connessione con il capitolo precedente, il terzo e il quarto pongono al centro della trattazione l’essere in quanto physis e aletheia (il che è dire lo stesso). Viene proposta una meditazione sull’esperienza greca della natura e della verità secondo l’interpretazione heideggeriana, esperienza considerata esemplare perché capace di quel lasciare che solo consente il dinamico venire alla presenza delle cose, «il puro venire-alla-presenza stesso» (Capobianco 2023, p.63). L’esperienza greca della “Natura-physis-Essere” è l’esperienza di ciascun poeta, di ciascun pensatore, di ciascun artista, di ciascun essere umano che abbia una costante ricettività per il sorgere di tutti gli enti e le cose; che vede il flusso nascosto, la via, di tutti gli enti e le cose; che scorge il “lasciare” e il “darsi”, l’illuminarsi e il diradarsi , di tutti gli enti e le cose; che si abbandona, aperto e trasparente, alla vivida e vibrante presenza di tutti gli enti e le cose nel loro dispiegarsi (Capobianco 2023, p. 71). Si tratta a questo punto di vedere in cosa consiste il rapporto tra l’essere umano e la physis-aletheia così dispiegata, rapporto che Capobianco analizza facendo riferimento agli studi di Heidegger condotti nel periodo tra gli anni ’30 e ’35 (in particolare, si fa riferimento alle seguenti opere di Heidegger: I concetti fondamentali della filosofia [1929/30]; L’inizio della filosofia occidentale (Anassimandro e Parmenide), testo del corso di lezioni del semestre estivo del 1932; Introduzione alla metafisica [1935]): l’invito del filosofo tedesco è ancora una volta quello di abbandonare la presa di posizione soggettivistica sul mondo, invito che si configura come rielaborazione della verità dell’essere come aletheia in senso (appunto) greco, «perché il dispiegarsi essenziale greco della verità è possibile solo tutt’uno con il dispiegarsi essenziale greco dell’Essere come physis», «la verità appartiene al dispiegarsi essenziale dell’Essere» (Heidegger, 1940, pp. 108-112), e non al “soggetto”.

Gli ultimi due capitoli sono dedicati ad un approfondimento ulteriore del rapporto intrattenuto tra l’uomo (Dasein) e l’Essere nei termini di quel circolo ermeneutico fondamentale che è l’incessante rimando sussistente tra logos e Logos primordiale. Il quinto capitolo riflette sul ruolo che l’uomo ha in quanto Dasein, in quanto abita nella dimora dell’essere, il linguaggio. L’uomo è una “sentinella”, «è colui che è aperto a tutto ciò che è, che lo riceve e accoglie; colui che ‘sente’ tutto ciò che è» (Capobianco 2023, p. 92), e in tal modo è vigile: salvaguarda il «manifestarsi del manifesto» (ivi), rende vigili gli altri, li avverte tramite il suo logos, la sua techne, poiesis; allo stesso tempo risponde, corrisponde gioiosamente all’appello che l’Essere gli rivolge. Sono pagine dense e profonde quelle che seguono, in cui Capobianco ritorna sulle nozioni precedentemente sviluppate (l’Essere come Physis, Aletheia) e le riprende attraverso l’analisi di alcuni passi tratti dal corso su Eraclito del 1943, concludendo infine con una profonda riflessione sul Logos che è l’Essere stesso: «Il nostro logos è sempre gettato nel Logos, e noi “ritiriamo” ciò che è stato raccolto preliminarmente in una moltitudine di parole. Parola dopo parola dopo parola – incessantemente, abbondantemente, giocosamente, gioiosamente – ma non siamo mai in grado di esaurire l’inesauribile “dire” dell’Essere stesso» (Capobianco 2023, p. 122). L’uomo è restituito così al suo elemento e l’Essere torna al suo primato ontologico.

Heidegger’s Way of Being è un libro che non delude le aspettative. Da un punto di vista formale non c’è nulla da dire. Il testo è fluido, chiaro, scorrevole, quasi al punto da venirne travolti come lo siamo dal darsi delle cose, dal manifestarsi dell’essere, dalla piena di un fiume. Questo fluire della prosa è rotto solamente dall’irruzione della poesia, irruzione che – conformemente alla riflessione di Heidegger sul rapporto che lega pensatori e poeti – non ha nulla di inopportuno: pensiero poetante e poesia pensante si porgono qui la mano a vicenda e guardano all’essere con la «gioia più grande, più fondamentale e profonda [...] la gioia dell’avvicinarsi del manifesto, di tutto ciò che sopraggiunge nel suo sopraggiungere» (Capobianco 2023, p. 92). I capitoli sono adeguatamente studiati affinché il rapporto tra di essi sia organico, quasi liquido, in modo da assecondare il flusso della riflessione. Degno di nota è, infine, l’importante numero di opere heideggeriane su cui Capobianco ha lavorato, restituendone brillantemente l’intenzione e il senso in poco più di cento pagine, segno di grande destrezza all’interno di una produzione filosofica spesso affatto agevole. 

Non per assenza di spirito critico mi sento dunque di concludere senza evidenziare particolari difetti, fatta eccezione per la mancanza di una bibliografia secondaria più corposa, utile a confrontarsi con le diverse ricezioni del pensiero di Heidegger menzionate en passant nell’Introduzione del libro. C’è inoltre da aggiungere che, sebbene il testo possa anche risultare ripetitivo in alcuni passaggi, il linguaggio dell’autore è estremamente affine a quello heideggeriano (anche quando si tratta di chiarire dei termini “tecnici”), per cui risulta decisivo avere già familiarità con le opere del filosofo tedesco. Il libro dunque è caldamente consigliato a studiosi e appassionati di Heidegger (anche studenti con una conoscenza base del suo pensiero e del suo linguaggio), non trattandosi di un’introduzione alla sua filosofia ma di un interessante spunto di riflessione. Capobianco rinnova l’invito del “pensatore meditante” a ritrovare la voce della verità dell’essere, il coraggio di lasciarsi scalfire dal fenomeno che gratuitamente si dà, a porsi l’inutile questione dell’essere. Perciò accolgo l’invito e lo rinnovo a mia volta consigliando la lettura di questo testo. 



Bibliografia

 

R. CAPOBIANCO (2014), La Via dell’Essere di Heidegger, trad. it di Francesco Cattaneo, Napoli-Salerno: Orthotes, 2023.

M. HEIDEGGER (1927), Essere e tempo, a cura di Franco Volpi, trad. it. di Pietro Chiodi, Milano: Longanesi, 2005.

M. HEIDEGGER (1967), Segnavia, trad. it. di Franco Volpi, Milano: Adelphi, 1987.

Beatrice Ferri, nata a Roma nel 2001, si è formata nella città d’origine presso il liceo classico Giulio Cesare, dove ha conseguito il diploma di maturità nel 2020 seguendo il percorso cambridge-aureus. Attualmente è in procinto di laurearsi in Filosofia presso l’università Alma Mater Studiorum di Bologna, dove proseguirà i suoi studi con la magistrale in Scienze filosofiche. I suoi interessi di ricerca sono attualmente incentrati sulla produzione heideggeriana (precedente e posteriore agli anni ’30), nonché sulle tematiche di carattere esistenzialista (a partire da Kierkegaard fino alla corrente di pensiero di matrice sartriana) e sui rapporti tra filosofia e psicoanalisi.