Braidotti, “Soggetti Nomadi. Corpo e differenza sessuale”

Recensione a cura di Giulia Muccioli

La nuova edizione italiana di Nomadic Subjects è la traduzione della seconda edizione inglese pubblicata nel 2011, quindici anni dopo l’uscita dell’opera originale. L’aggiornamento del testo  risponde alla necessità di rendere conto della più recente letteratura sul pensiero di Deleuze e ampliare alcune tematiche. I saggi si occupano nello specifico del passaggio dalla fluidità postmoderna al nomadismo postumano come pensiero critico per contrastare definitivamente le identità fisse attraverso la proposta di una nuova soggettività, quella nomade, che sia costituita sulla molteplicità, l’eterogeneità e l’intersezionalità. Il nomadismo si pone come risposta alla tendenza del capitalismo contemporaneo a inglobare tutte le differenze nella logica monista dell’Uno; il soggetto nomade, infatti, è un soggetto in divenire che, sottraendosi alla dialettica dell’annientamento dell’alterità, si fa portatore di una differenza dal potenziale positivo e sovversivo. La filosofia del pensiero-nomade di Braidotti passa attraverso «un’opera di analisi cartografica delle modalità di funzionamento della soggettività contemporanea» (p. 13) che assume talvolta anche tratti autobiografici, secondo un modello discorsivo analogo allo stream of consciousness

Braidotti pone il suo divenire-nomade come «affermazione della struttura, assolutamente positiva, della differenza, intesa come relazione, cioè processo multiplo e complesso di trasformazione, un flusso del divenire multiplo» (p.14). Il progetto qui sviluppato è quindi di natura etica, fondato sulla struttura esclusivamente immanente della soggettività, che ha una risonanza ecologica e sociale. In vista della realizzazione di un regime sostenibile, il primo passo da compiere è il ripensamento del legame tra «materialità corporea e soggettività» (p.19), con cui Braidotti si pone in dialogo sia con i saperi e le aspettative sulle nuove tecnologie (in particolare i discorsi sui tecno-corpi prodotti dai movimenti cosiddetti cyber di cui rifiuta il sensazionalismo senza tuttavia elogiare un nostalgico ritorno al passato), sia con l’antiessenzialismo e l’intersezionalismo femministi, da cui riprende l’idea che l’entità corporea non sia qualcosa di stabile e monolitico, ma al contrario il luogo di incontro di una serie di determinazioni molteplici, differenziate e talvolta contraddittorie. 

Il lavoro di Braidotti ritorna sui luoghi del suo passato, inteso come passato filosofico, per una revisione critica e autocritica che non smette mai di cercare di adeguarsi alle coordinate del reale, di un reale fluido e a sua volta in continuo divenire che pone esso stesso l’esigenza del nomadismo. Braidotti è lei stessa un soggetto nomade: in primo luogo, per la sua vicenda autobiografica attraversata da continui spostamenti che l’hanno portata ad abitare vari punti del globo, imponendo quella multiculturalità e quel plurilinguismo propri alla sua opera; in secondo luogo, per il suo percorso intellettuale che si sviluppa a tutti gli effetti come massima incarnazione del nomadismo stesso, assunto come «imperativo epistemologico e politico, ma anche etico, per il pensiero critico di inizio millennio» (p. 27). È, infine, un nomadismo che si riflette anche nell’opera di (ri)strutturazione di questa raccolta di saggi, frutto di un lavoro di dialogo con sé stessa, con gli altri e con il mondo, nel cambiamento costitutivo proprio a ogni tipo di relazione.

Il primo saggio «A proposito del nomadismo» fa luce sul posizionamento politico di quest’ultimo, offrendo una cartografia più dettagliata del soggetto nomade, scritta seguendo il percorso autobiografico di Braidotti e ripercorrendone le tappe e gli spostamenti al tempo stesso spaziali, linguistici e filosofici. Nel susseguirsi degli incontri con lingue diverse (dall’italiano all’inglese e poi al francese), con paesi diversi – e quindi con culture che le imponevano un’etichetta ogni volta diversa (in primis quella di bianca, sovrapposto a quella di immigrata), degli incontri intellettuali con personalità filosofiche di spicco quali Foucault, Deleuze e Irigaray durante il suo dottorato alla Sorbona e dell’incontro spontaneo e quasi naturale con la psicoanalisi nella Parigi sessantottina, Braidotti definisce sulla propria pelle il soggetto politico del nomade come luogo di «resistenza critica e necessaria del sistema attuale» (p. 28). Il nomade, nella sua fluidità costitutiva e nella sua operazione costante di rifiuto e di sottrazione rispetto «all’illusione di unità e alla presenza fisica continua» (p. 54), agisce contro i discorsi istituzionali di costruzione di significato elaborando schemi alternativi fondati sulla creatività e il pensiero figurativo. È per questo che Braidotti individua il nomade in primis come poliglotta, essendo l’esperienza del plurilinguismo – e quindi del multiculturalismo che lei vive in prima persona – un tassello fondamentale nel quadro di costante spostamento fisico e simbolico tra frontiere e spazi in cui l’identità cessa di posizionarsi come qualcosa di stabile e tangibile, e poi come soggetto femminista, essendo il femminismo la massima espressione della sottrazione alla sfera del linguaggio dominante per costruire un’identità politica di resistenza sul potenziale positivo dalla differenza sessuale. Il nomade è quindi eminentemente politico, e deve essere l’espressione della soggettività contemporanea, perché è propriamente politica «questa consapevolezza che la costituzione del soggetto è frammentaria, interamente, intrinsecamente basata sul potere e sull’attiva ricerca di possibilità di resistenza alle formazioni egemoniche» (p. 81). 

Sempre muovendosi sulla linea autobiografica e dell’esperienza personale, in «Contesti e generazioni» Braidotti esplicita il suo legame con il pensiero post-strutturalista francese, all’interno del quale ha completato la sua formazione filosofica e a cui viene riconosciuto il merito, all’incrocio tra l’anticolonialismo e la forte critica alla dimensione istituzionale per epurarla da ogni residuo di umanesimo, di averle fornito il punto di partenza per lo sviluppo del suo pensiero nomade su «una visione non unitaria del soggetto» (p. 92). Nel clima di fervore di Parigi come centro di massima produzione culturale europea nel lungo ‘68, Braidotti vede in personalità come Deleuze, Foucault e Irigaray i precursori del soggetto nomade, liberato tanto dalla copertura dell’inconscio rispondente a una logica edipica, quanto dalla necessità storica che il marxismo aveva postulato sulla coincidenza tra ragione e rivoluzione, consacrate però entrambe alla violenza. Erede del post-strutturalismo, il soggetto nomade è colui che può quindi produrre un’analisi pragmatica dei rapporti di potere «entro l’esercizio stesso della ragione filosofica» (p. 97), organizzata non più sull’immobilismo e sul conservatorismo in nome dell’autorità, ma ripensata in modalità “nomade” come «forma radicale di immanenza» (p. 98). Solo così si può mettere in atto una vera e propria pratica politica di resistenza al presente per Braidotti: rimettendo a valore quel sapere del passato che è stato in grado di costruire l’equazione tra «politica radicale di disentificazione e formazione di posizioni alterative del soggetto» (p. 115) per costruire forme di speranza condivisa nel futuro.

Il terzo saggio «Sul soggetto femminile femminista, ovvero: da “lei-sé” a “lei-altra”» si addentra maggiormente nelle questioni sollevate dal femminismo rifiutando l’identificazione connotata negativamente tra la rivendicazione della “differenza sessuale” e l’essenzialismo ridotto a mero determinismo biologico, e pertanto inteso come fissità dell’entità maschile e femminile. Ricollegandosi a Spivak, Braidotti argomenta a favore di una difesa dell’essenzialismo come mossa strategica che permetta di politicizzare la differenza sessuale passando per «la realtà corporea sessuata della donna» e di pensare alla «questione metafisica dell’essenza» (p. 125) per potersi spingere oltre in una ridefinizione dell’ontologia. È qui che l'argomentazione ripiega su un piano squisitamente filosofico: a prendere centralità è la necessità del pensare e nello specifico del «pensare nuove forme di soggettività femminile sulla base della differenza sessuale intesa come espressione del desiderio ontologico delle donne» (p. 130) perché solo questo pensiero può aprire la strada alla ridefinizione delle strutture del pensiero stesso, non solo quelle specificamente femminili. Si tratta quindi di formulare un materialismo tutto nuovo, che prenda dai post-strutturalisti quella materialità corporea che permette di spostare l’accento sulla «struttura incarnata, e perciò sessualmente differenziata, del soggetto di parola» (p. 132). Il progetto politico, lungi dal riportare alla luce un arcaico ingabbiamento della soggettività in nome di una “vera” essenza da realizzare, si pone come definizione positiva della soggettività femminile che possa realizzare «la costituzione e la legittimazione di una comunità femminile femminista sessuata» (p. 135), come luogo di intersezione tra desiderio ontologico inconscio e volontà politica consapevole. La scommessa sarà quindi di assumersi la responsabilità di quel pensare che viene ridefinito su un piano tutto etico del discorso, posto allo stesso livello dell’imperativo politico: solo così il processo di produzione del pensiero può farsi davvero adeguato come rappresentazione dell’esperienza prima e come espressione di una volontà politica poi. 

Nell'ultimo capitolo «La differenza che abbiamo attraversato», l’A. analizza come la definizione del soggetto nomade «viene a intersecarsi con l’asse della differenza sessuale» (p. 143). Questa parte si apre con la necessità di farsi carico dell’aspetto storico e culturale che ha definito la differenza come l’intreccio di potere e violenza alla base delle relazioni gerarchiche su cui si è sviluppato il pensiero occidentale fino al punto di non ritorno di Auschwitz e dei totalitarismi del Novecento. Si fa risalire a Simone de Beauvoir quell’uso liberatorio della differenza come istanza di superamento dello schema gerarchico in cui questa, associata alle donne, è completamente svalorizzata. È a partire dall’eredità inestimabile del pensiero di de Beauvoir che la “differenza” inizia il suo percorso tortuoso all’interno del movimento femminista. Braidotti supera l’andamento divisorio e divisivo che questo concetto ha storicamente assunto per una teoria che valorizzi «la differenza sessuale come progetto» (p. 148). Questo viene sviscerato su tre livelli, che si pongono come momenti coesistenti e come parimenti percorribili in ogni momento dalla prassi politica. Si tratta di un «esercizio di nominazione che attiene alle diverse facce di un unico fenomeno complesso» (p. 161) in cui si opera la distinzione tra “differenza tra uomo e donna”, “differenze tra donne” e “differenze all’interno di ciascuna donna”. Ripercorrendo queste tre categorie, Braidotti definisce il “soggetto femminista” come ridefinizione della soggettività contemporanea in crisi nel luogo di collocamento tra la Storia e l’inconscio. La sua filosofia della differenza diventa quindi pratica esistenziale del “nomadismo” come pratica necessaria per «mettere all’opera una grande creatività per superare gli schemi dominanti» (p. 169). Con la costante politica della collocazione, in cui responsabilità e parzialità sono tra loro inscindibili, Braidotti ci offre quindi una possibilità positiva del divenire-soggetto qui e ora che, passando per un approccio “nomade”, vede nel soggetto-donna-femminista la massima incarnazione di quella molteplicità, fluidità e mobilità simbolico-spaziale che la modernità ci obbliga con urgenza ad assumere. 

Braidotti ci consegna ancora una volta la possibilità tangibile di pensare a nuovi soggetti desideranti, al tramonto dell’universalismo moderno e sullo sfondo della fluidità distruttiva del capitalismo avanzato: un soggetto, quello nomade, ma allo stesso tempo quello donna-femminista, capace di farsi carico della sfida epocale di creazione – certo non facile – di spazi di sperimentazione, di ricerca e di transizione, ma soprattutto di «forme dell’agire che riflettano la complessità, senza annegarci dentro» (p. 177). Per tutti coloro che non hanno paura del cambiamento, dell’erosione instancabile del vecchio con la speranza di un nuovo discontinuo e pluristratificato, questa raccolta di saggi è una mappa cartografica, forse ancora incompleta, che possa guidare e nominare questi passi, spostamenti e via di uscita verso «una rosa di possibilità non ancora codificate e tuttavia mai così meravigliose» (p. 160).

 

Riferimenti Bibliografici: 

Braidotti, R. (1994). Nomadic Subjects: Embodiment and Sexual difference in Contemporary Feminist Theory, Cambridge: Columbia University Press. Trad. it. di Crispino, A.M., Fioravanti, C. (2023). Soggetti Nomadi: Corpo e differenza sessuale, Roma: Castelvecchi.

 

 

Giulia Muccioli studia Filosofia all’Università di Bologna. I suoi interessi vertono principalmente sulla filosofia politica e gli sviluppi del pensiero femminista all’interno degli studi marxisti. Il suo lavoro di ricerca attuale si concentra su una rilettura femminista e post-coloniale del post-strutturalismo francese, a partire dalle opere di Deleuze e Guattari.