Gianfranco Mammi - Amaranto

C’era uno dei Puviani, il più giovane, che faceva l’aiutante lattoniere presso la primaria ditta Scaltriti e Volponi, cioè faceva tutto lui; tutto no, ma quasi. A voler stare nel largo, i due cofondatori messi insieme facevano sì e no il dieci per cento del lavoro, e il resto lo faceva lui, Puviani. Perché quello che non voleva fare Scaltriti a maggior ragione non lo voleva fare Volponi – “Come”, diceva Volponi, “io ho sette anni più di te, ci ho anche messo più capitale, e dovrei farlo io questo lavoro?” Perché ragionava così, Volponi, in base alle evidenze dei fatti.

“Ah, io quel lavoro lì non lo faccio di sicuro,” ribatteva Scaltriti – e tutti e due voltavano lo sguardo verso Puviani che stava smartellando qualche cosa in fondo al capannone.

Quello che facevano molto volentieri sia Scaltriti che Volponi era invece contrattare con i clienti, e anche prendere le misure – soprattutto adesso che ci sono quegli aggeggi con il laser che praticamente fanno tutto loro, a lasciarli fare. “Potevano inventarlo prima, questo coso,” si rammaricava Scaltriti, e Volponi per una volta gli dava ragione anche per farlo stare buono almeno per un po’.

Puviani aveva cominciato presto a lavorare sopra ai tetti perché aveva un carattere un po’ chiuso; scorbutico no, ma chiuso sì – più che altro gli piaceva tantissimo pensare ai fatti suoi mentre smartellava. Anche a smartellare aveva cominciato molto presto, avviato da suo padre che era vedovo. Abituato com’era a lavorare con le mani, raramente le appoggiava su un giornale; talvolta, di pomeriggio, prendeva un caffè in un bar per darsi un po’ di sveglia e allora gli capitava di leggere qualche articolo di cronaca, ma saltava regolarmente le pagine della cultura, che gli facevano venire il mal di testa. Però un giorno che l’avevan mandato di corsa a sostituire dei pluviali di rame che eran stati rubati nottetempo dai mafiosi, in una villa dalle parti di Ravarino che ci faceva un caldo bestia, con tutta quella pianura attorno, aveva sentito un improvviso e immenso bisogno di qualcosa – e quel qualcosa era una birra. E poi subito dopo ne aveva bevuta un’altra, che non ci era abituato, così gli era venuta una sonnolenza che non sapeva più dove stare ed eran solo le tre del pomeriggio e il sole cioccava sopra ai tetti come una pressa idraulica.

Puviani vedeva bene che c’eran quattro vecchiacci là in un angolo che se la ridevano sotto i loro baffetti spenti, mentre giocavano a carte, e non aspettavano altro che di vederlo addormentato sulla sedia per prenderlo per il culo e se possibile umiliarlo davanti alle cameriere; le cameriere eran tutte e due piuttosto giovani e belle sode, di quelle che ti bevono tre o quattro spritz dietro fila senza batter ciglio, così per darsi un contegno si era messo a sfogliare quello che aveva trovato lì sul tavolo; era il supplemento di un quotidiano, e parlava solo di cultura. Allora Puviani ha ordinato un caffè shakerato con il ghiaccio perché era l’unica maniera per non cascar morto vigliacco sopra al tavolo, e mentre aspettava ha continuato a sfogliare tutte quelle pagine scivolose finché non gli è caduto l’occhio su una parola di un titolo, e la parola eraPuviani. Veh, c’è un Puviani anche nel settore della cultura, ha pensato, e si è persino ripreso dall’intontimento – tanto che i vecchietti son rimasti un po’ sorpresi e

uno dei quattro ha anche rovesciato un bicchiere di vino mezzo pieno sopra al mazzo delle carte.

Fa’ vedere, cosa dice qui? si concentrava intanto Puviani sorseggiando il caffè bello freddo e schiumoso.In uscita il nuovo libro di Puviani, diceva il titolo. Dunque ne ha scritti più di uno, complimenti, meditava Puviani tra sé e sé. Che strano titolo, però, per un libro:Paesaggi. Che cos’era, una specie di pittore, questo Puviani? Un fotografo? No, dall’articolo si capiva che si trattava di racconti. Cosa c’entrano i paesaggi con i racconti? si chiedeva Puviani che di paesaggi ne vedeva parecchi ma più che altro dagli spioventi di un tetto. Di racconti non ne aveva mai letti, ma si ricordava i racconti di sua nonna e dentro non c’era mai stato neanche un paesaggio.

Dunque che paesaggi aveva raccontato, questo Puviani qui? E come aveva fatto a raccontarli? Dall’articolo non si capiva niente, si capiva solo che il libro era piaciuto moltissimo al critico, che ne lodava la struttura, lo stile e l’atmosfera. Perdio, pensava Puviani, che atmosfera può mai esserci in un libro? Non è mica una camera d’aria. Allora saltava alcune righe e andava a leggere il nome di questo critico tanto furbo: Alessandro Scontroni si chiamava, e Puviani si metteva a ridacchiare perché come cognome gli sembrava l’innesto di un Volponi su uno Scaltriti e la cosa gli pareva proprio buffa, tanto più che era un po’ brillo. I vecchietti erano sempre più stupiti e avevano persino smesso di giocare a carte. Facevano finta di aspettare un mazzo nuovo, ma si vedeva benissimo che in realtà erano in attesa della prossima mossa di Puviani.

Di Puviani, quel ragazzo grande e grosso dentro alla maglietta amaranto tutta sudata, con la scrittaScaltriti e Volponi Sncstampata sopra al cuore e sulla schiena in giallo chiaro.

 

C’era una zanzara tigre, una di quelle che mordono in pieno giorno, che lo guardava in cagnesco dalla superficie di formica verdolina del tavolino. Puviani stava quasi per schiacciarla con una delle sue manate, quando questa gli fa “Psst, ehi, vorresti incontrare Puviani?”

“Perdio, Puviani sono io!” le ha risposto Puviani che non era mica tanto biondo neanche quando era perfettamente sobrio.

“Non te, quell’altro – lo scrittore, quello dei paesaggi!”

“Ah ecco! Be’, si può fare,” diceva Puviani alla zanzara tigre. “Ma sta da queste parti?” aggiungeva, perché gli sembrava una strana coincidenza.

Intanto sia i vecchietti che le cameriere lo fissavano apertamente senza alcuna discrezione. “Parla da solo,” sussurrava la cameriera meno giovane.

“Già ubriaco a quest’ora,” sentenziava uno dei vecchietti mescolando il mazzo di carte nuove e scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

Puviani aveva pagato il conto e adesso seguiva la sua zanzara tigre a passo lento, per non affaticarla troppo. Intanto il sole continuava a cioccare sull’asfalto e i quattro vecchietti che li pedinavano da lontano rasentando i muri avevano qualche difficoltà a respirare. L’afa era totale e non c’era nessuno in giro per le strade.

“Zzz, vieni, vieni, ti ci porto io dal Puviani dei paesaggi,” diceva ogni tanto la zanzara tigre al suo Puviani per incoraggiarlo; ma adesso erano arrivati in aperta campagna,

dove non c’era un filo d’ombra perché attorno alla carreggiata dall’asfalto mezzo sciolto c’erano solo dei prati sconfinati; si scorgeva qualche rado boschetto di pioppi laggiù in fondo, ma parevan lontani dei chilometri, e c’era pieno di invisibili cicale che facevano un chiasso indiavolato.

“Però ci avete un bel caldo qui da voi,” osservava Puviani asciugandosi il sudore della fronte con l’orlo della maglietta. Ma la zanzara tigre preferiva non fare commenti sul clima e continuava a dirgli che ormai erano arrivati. Intanto i quattro vecchietti commentavano scandalizzati “Parla da solo anche lungo la strada!”, come a dire che non aveva proprio il minimo ritegno; e anche “Cammina come un sonnambulo,” si dicevano l’un l’altro.

A forza di camminare sull’asfalto bollente eran poi arrivati davanti a una villetta tipo anni sessanta, con un giardino trasandato tutt’attorno; e nel giardino stava dormendo un signore vestito bene allungato su una vecchia sdraio posizionata nel punto più ombreggiato. Puviani rimaneva a guardarlo qualche istante. Dunque sarebbe questo il famoso Puviani di cui parla il giornale? si domandava. E a guardarlo bene non ci trovava proprio niente di speciale, a parte il fatto che era vestito troppo per quella temperatura ma non pareva soffrire neanche un po’.

Gli era anche venuto il dubbio che la zanzara gli avesse fatto uno scherzo e che il tizio non fosse Puviani, ma un’altra persona magari anche scontrosa e manesca, così cercava invano un nome scritto sul campanello; una volta c’era scritto qualche cosa, a biro nera, ma ora non si leggeva più niente perché sole e pioggia avevano cancellato quasi tutto l’inchiostro. Però sopra al cancello d’ingresso si accorgeva che c’era una vecchia scritta in ferro battuto mezzo arrugginito che diceva: VILLA PUVIANI, e allora si sentiva confortato.

Siccome era di carattere sia chiuso che timido, Puviani ci metteva qualche minuto a trovare il coraggio per disturbare il signore che dormiva così bene sulla sdraio; finalmente i quattro vecchietti, mezzo accasciati dietro il tronco di un pioppo solitario cresciuto sul ciglio di un canale asciutto, lo sentirono prima tossicchiare e poi emettere la parola “Buongiorno!”

Il signore vestito bene si metteva a sedere sulla sdraio, poi si alzava di scatto e con un sorriso cordialissimo veniva verso la cancellata tendendo la mano destra: “Signor Puviani, finalmente! Che piacere!”

“Perdio, come fa a sapere che mi chiamo Puviani?”, diceva Puviani completamente sconcertato, stringendo automaticamente la mano del tizio ma con scarsa convinzione.

“C’è la foto sulla quarta di copertina di tutti i suoi libri!” diceva il signore, e subito schiacciava la zanzara tigre con una mossa velocissima. “Sono Alessandro Scontroni, il critico letterario,” continuava trascinando Puviani dentro al giardino scalcagnato. “Mi scuserà se mi sono permesso di entrare, ma c’era il cancello aperto e non ho saputo resistere alla tentazione di riposarmi all’ombra di questi bei cespugli.”

I quattro vecchietti si dicevano l’un l’altro “È Puviani!” e parevano davvero contenti di scoprire che si trattava proprio di Puviani.

Puviani stava dicendo “Ma io non so se posso...”, intendendo dire che quello non era il suo giardino e quella non era casa sua, ma Scontroni era uno dalla lingua lunga e parlava che parlava, sempre tessendo le lodi dei libri di Puviani, così si sono ritrovati nel soggiorno della villa, seduti attorno a un tavolo.

“Ma lei non ha paura dei ladri, che tiene aperta anche la porta di casa?” chiedeva sinceramente ammirato lo Scontroni.

A Puviani veniva in mente l’altra villa, quella dove aveva appena rimontato i pluviali di rame, e gli riusciva naturale rispondere “Qui rubano soltanto le grondaie”. Infatti, ripensandoci, non aveva visto grondaie né pluviali nemmeno attaccato a Villa Puviani. Poi si era alzato perché gli sembrava giusto offrire qualcosa di fresco allo Scontroni; pensava a una Coca-Cola o a un tè freddo, ma dentro al frigo c’eran solo delle gran bottiglie di birra e di vino, allora aveva pensato” Qui bisogna festeggiare”, anche se non sapeva dire che cosa di preciso, e aveva tirato fuori uno spumante secco che gli pareva adatto all’occasione, anche se non aveva idea di che occasione fosse.

Lo Scontroni pareva felicissimo di quella scelta e lanciava un gridolino di gioia al rumore del tappo che saltava.

“Stappano delle bottiglie di vino,” confabulavano i quattro vecchietti che pur da dentro al fosso erano in grado di distinguere i tappi che saltano da tutti gli altri rumori di fondo, tipo le cicale che continuavano a parlare ad altissima voce.

Puviani si sentiva sporco e sudato come un maiale, così dopo un paio di brindisi aveva chiesto scusa se andava a fare una doccia; spiegava che aveva smartellato sopra a un tetto proprio nelle ore più calde della giornata e gli dispiaceva moltissimo accogliere un ospite così importante in quelle condizioni. Scontroni non aveva nulla in contrario e faceva intendere che si apprestava a finire da solo la bottiglia, prima che diventasse troppo calda.

Girando per l’appartamento, Puviani si rendeva conto che non c’era nemmeno un libro e nemmeno un quadro, proprio come a casa sua; per fortuna c’erano camicie, braghe e magliette di una misura più o meno accettabile, anche se gli stavano un po’ larghe. Dev’essere un bel manzo, questo Puviani scrittore, pensava Puviani – e anche lui come Scontroni doveva bere parecchio, a giudicare dal contenuto del frigorifero.

Dopo la doccia, mentre si vestiva con la roba pulita, Puviani si chiedeva cosa avrebbe detto l’altro Puviani quando prima o poi sarebbe rientrato a casa, ma subito veniva confortato da due zanzare tigre che gli dicevano, una a destra e una a sinistra, “Zzz! Non ti preoccupare, ci pensiamo noi a Puviani!” Intanto si sentiva un altro tappo che saltava, di là in soggiorno.

 

Si vede che i critici han bisogno di carburare, veniva da pensare a Puviani. Ritornato in soggiorno, si accorgeva che Scontroni aveva aperto una bottiglia di champagne e questo aumentava le sue preoccupazioni riguardo al padrone di casa; ma le due zanzare tigre continuavano a dirgli “Zzz, non ci pensare, Puviani nemmeno se accorge, è sempre ubriaco.”

Con un paio di schiaffi ben assestati Scontroni faceva fuori anche queste due povere bestiole – aveva dei riflessi eccellenti – e Puviani si ritrovava di nuovo solo a fronteggiare la situazione.

“Brindiamo al suo nuovo libro!” diceva intanto lo Scontroni con genuino entusiasmo, alzandosi addirittura in piedi come se fosse a una serata di gala. Puviani brindava con poco trasporto, comunque i vecchietti in agguato erano in grado di cogliere ugualmente

il rumore dei bicchieri che si toccavano. “Fanno cincin!” commentavano da dentro al canale asciutto, alla povera ombra del pioppo solitario.

“Ho sentito dire che ha cominciato un nuovo lavoro,” continuava Scontroni tutto infervorato, “come s’intitola?”

Puviani non sapeva che cosa rispondere; nella sua mente vuota non veniva a galla niente di niente, tranne a un certo punto l’insegna della ditta Scaltriti e Volponi Snc. “Amaranto,” diceva allora Puviani con in faccia un’espressione talmente inespressiva che colpiva fortemente lo Scontroni.

“Bellissimo titolo! Bellissimo!” esclamava il critico, completamente compreso di se stesso, “Immagino già l’atmosfera! Le sfumature!”

A quel punto il cellulare di Puviani si metteva a trillare.
“Mi scusi, è Scaltriti,” diceva Puviani, e faceva come per andare di là a parlare in

privato, ma Scontroni lo fermava con dei gesti inequivocabili: “Ah, il suo agente letterario! Mi ci faccia parlare, è urgente! C’è in vista un grosso editore! Lei non immagina neanche!” e s’impossessava dell’apparecchio con una disinvoltura da taccheggiatore. E subito cominciava a mitragliare parole con quella sua bella parlantina che Puviani non ci capiva niente, figuriamoci Scaltriti; e quando Scaltriti, raramente, riusciva a balbettare “Ma che caz...!” oppure “Come come?”, Scontroni ne approfittava per bere a collo dalla bottiglia di champagne un sorso rapidissimo, mentre Puviani rimaneva impalato lì a guardare.

Dopo tre minuti di mitragliamento Scontroni chiudeva la comunicazione e annunciava trionfante a Puviani: “Quando gli ho fatto il nome del gruppo editoriale interessato alle sue opere, Scaltriti è rimasto senza parole! Sen-za pa-ro-le!” e continuava a bere a collo dalla bottiglia di champagne, ma con più calma.

“Ho sentito,” ammetteva Puviani mica troppo contento di quello che aveva sentito. Poi, siccome aveva l’impressione che lo champagne cominciasse a dargli un po’ di acidità di stomaco, tornava in cucina a tirare il collo a una bottiglia di lambrusco; al che i quattro vecchietti esclamavano “Quanto bevono!” perché anche loro avevano una sete da ammazzare i tafani e si sentivano svenire per il caldo e le cicale. Intanto, in cucina, Puviani riceveva un sms di Scaltriti che diceva semplicemente: “Sei licenziato”.

“Bello sforzo,” pensava Puviani, “Formalmente non mi hanno mai neanche assunto.”

Tornato in soggiorno, trovava Scontroni che ravanava dentro a una cartella di cuoio; “Ho qui tutti i suoi libri,” diceva, “e sarei molto onorato se mi facesse una dedica,” e gli metteva in mano tre volumi rilegati bene, ciascuno con una foto di Puviani sulla quarta di copertina. Puviani rimaneva incantato a guardare quelle tre foto, in cui compariva in pose diverse, tutte un po’ smargiasse; gli sembrava e non gli sembrava di essere proprio lui – non avrebbe saputo dire.

Puviani non aveva mai fatto una dedica in vita sua, così dopo averci pensato un po’ scriveva su tutti e tre i libri “Dedicato a Scontroni”, aggiungendo a mo’ di firma uno sghiribizzo che a lui stesso risultava sconosciuto. Però, riconsegnando i volumi a Scontroni, s’era accorto che le pagine dei libri erano tutte bianche e questo gli era sembrato strano, ma poi aveva pensato che forse si trattava di un’edizione speciale per i critici.

Poi Scontroni cominciava a fargli delle domande pericolose, tipo come stava lo scrittore Tizio e cosa diceva lo scrittore Caio – al che Puviani rispondeva a casaccio che Tizio stava abbastanza bene e che Caio non diceva niente.

Finito lo champagne, Scontroni si alzava energicamente dalla sedia e diceva che ora purtroppo doveva proprio scappar via perché lo aspettavano in un’importante redazione milanese entro sera; Puviani lo accompagnava fin fuori dal cancello e guardava a destra e a sinistra in cerca dell’auto di Scontroni, ma il critico indicava lì di fianco; “Ho lasciato la ciclo dentro al fosso perché con tutto questo sole non scoppiassero i copertoni,” spiegava, e con un ultimo saluto entusiasta scompariva di colpo dentro al fosso portandosi via anche i vecchietti e le cicale.

Finalmente un po’ di silenzio, pensava Puviani, e si metteva sulla sdraio all’ombra del cespuglio a contemplare la sua nuova casa e la sua nuova vita.

 

Pubblicato il 14/02/2019