Eraldo Affinati - Si parte sempre per ritornare

Intervista di Magda Indiveri

C’è nella formulazione del tema dell’anno di Griselda, “A rovescio”, l’eco di A rebours, il romanzo decadente francese tradotto in italiano solitamente come Controcorrente. Nulla di più lontano, l’estetismo di Des Esseintes, dallo stile di scrittura e di vita di Eraldo Affinati. Eppure, il viaggio a ritroso sembra essere una costante dei tuoi libri, i quali ogni volta muovono da una ricerca del passato, di scavo verso le origini. Pensiamo a quelli dedicati alla storia del nazismo, e ora il recentissimo La citta dei ragazzi in cui tu parli esplicitamente di un andare alla sorgente. Cos’è dunque questo bisogno di “risalire”? 

Quando parto cerco sempre di capire quali potranno essere le ragioni del ritorno. Non voglio perdermi in un altrove sconosciuto. Rifuggo dall’ebbrezza. Non amo l’enigma e neppure il mistero. Credo che soltanto nell’accettazione del limite si possa comprendere il valore della libertà. Des Esseintes, in effetti, è il nume tutelare di una cultura nella quale non m’identifico. Tendo piuttosto a ritrovare le radici: queste non sono soltanto mie, ma s’intrecciano con quelle di tutti. Ad esempio, ripercorrendo in Campo del sangue il tragitto che mia madre avrebbe dovuto compiere, da Venezia ad Auschwitz, se non fosse riuscita a fuggire nella stazione di Udine, nell’agosto del 1944, ho toccato con mano fino a che punto la mia storia si legasse a quella di tanti altri. Ho creduto di conquistare così una coralità che, in quanto scrittore, uomo solitario, non possedevo. Nella Città dei ragazzi, mentre riaccompagnavo a casa, nel deserto marocchino, due miei scolari, ho invece parlato con il fantasma di mio padre: anche lui era un orfano, quindi io, insegnando agli adolescenti abbandonati di oggi, è come se lo risarcissi di ciò che non ebbe la fortuna di avere: una famiglia, una comunità di riferimento, adulti credibili.” 

Ma se chi parte è sempre uno che torna indietro, il modello universale è Edipo? Penso alle ultime battute di Edipo re di Pasolini: “Sono tornato. La vita comincia dove finisce”. E naturalmente penso alla questione del padre: è così importante, capire chi è il padre? 

“Conoscere le proprie radici equivale a certificare la nostra identità. La vera stazione di partenza è anteriore alla nascita anagrafica. Ogni generazione trasmette alla successiva dei nodi da sciogliere. È tutta una catena, come sapevano i greci. Il padre è un anello decisivo: in lui si specchia il corso del tempo; se, per caso, incuria, insofferenza o superficialità, egli non consegna in modo appropriato il testimone ricevuto, questo compito dovrà eseguirlo il figlio. Oppure il nipote. Senza scrittura la vita è cieca, muta e sorda, ma in assenza di una vera esperienza la parola rischia di essere sterile. Scoprire quali sono le nostre origini non significa semplicemente tornare indietro, ma trovare alimento per andare avanti. Nessuna azione nasce dal niente. Ogni pensiero risponde a un altro. L’uomo da solo non ha peso.”

Al di là del tuo essere insegnante, a te succede l’esperienza speciale dell’incontro con molte classi, in tutto il territorio nazionale, in cui sei spesso chiamato come scrittore e come testimone. Che visione d’insieme ricavi da questi incontri e come la colleghi alla tua personale esperienza nelle classi di stranieri della Città dei ragazzi? 

“Grazie a questa esperienza straordinaria ho potuto capire che la scuola italiana corrisponde soltanto in minima parte alla sua immagine mediatica. Vedo professori che non si limitano a svolgere il mansionario, bensì esercitano una responsabilità assoluta, pre-giuridica, pre-sociale. Esistono ragazzi e ragazze che sono come spugne, pronte ad assorbire l’acqua che tu riesci a versare. La nostra provincia è vitale. Le metropoli sono piene di giovani attivi. Le televisioni e i giornali non hanno gli strumenti percettivi in grado di intercettare questa potenza e si riducono a trasmetterci i segnali dell’inquietudine quotidiana, della violenza, della stupidità, senza rendersi conto del colossale mutamento che sta avvenendo. Le teste dei ragazzi sono cambiate. Gli adolescenti ragionano in forme nuove, diverse da quelle di un tempo. Hanno concentrazioni d’altro tipo. Sviluppano connessioni logiche associative più che deduttive. Possiedono energie segrete. Provano emozioni nascoste. E noi siamo ancora lì, coi vecchi schemi ideologici totalmente inadeguati. Ma io resto ottimista. I ragazzi afghani, magrebini, africani e slavi mi hanno insegnato che, dopo essere caduti, ci si rialza in piedi. E si continua a correre.”

Tu leghi la paternità a un certo modo di fare l’insegnante. Ma i giovani docenti, più che padri, si sentono –cito ancora Pasolini - figli di figli. Come vedi possibile questo passaggio di consegne all’interno dell’educazione? 

“Ogni insegnante conosce lo scandalo pedagogico, tipico della paternità: da una parte vorrebbe dire al ragazzo che ha di fronte: scappa, non farti raggiungere. E’ l’ultima indimenticabile sequenza dei Quattrocento colpi di Francois Truffaut. Dall’altra capisce che deve mettersi di fronte a lui imponendogli uno stop. E’ Cuore di Edmondo De Amicis. Alla Città dei ragazzi ho compreso che questi due momenti vanno tenuti insieme, non devono essere scissi. Se emergesse il primo, come è accaduto in anni recenti, verrebbe meno la scena dialettica, cioè il nemico con il quale confrontarsi; se prevalesse il secondo, faremmo un passo indietro nell’autoritarismo. Essere, allo stesso tempo, amici e maestri, è possibile soltanto giocando a carte scoperte, senza barare. I ragazzi capiscono subito se c’è il trucco e te lo restituiscono in cinismo raddoppiato”.

Ripercorriamo anche noi all’indietro alcune tappe della tua scrittura. Risalgono all’inizio del 2000 tre libri che si confrontano con il nazismo: Campo del sangue, Un teologo contro Hitler, Secoli di gioventù. Cos’è dunque per te la Storia, quella contemporanea e quella del novecento, e come si impasta con la storia intima e personale di ognuno di noi? Stai un po’ sulla linea della Morante, che guarda gli eventi dal basso, dalla parte dei bambini? 

“Il Novecento, nel bene e nel male, ha alzato le soglie della nostra responsabilità: ci ha fatto capire che dovremmo riuscire a pensare anche contro noi stessi, uscendo dagli schemi precostituiti. Per stare veramente dalla parte dei bambini, bisogna essere adulti. In Campo del sangue ho messo le mani nel groviglio: penso soprattutto a mio nonno, Alfredo Cavina, partigiano della 36 Brigata Garibaldi, che venne fucilato dai nazisti a Pieve Quinta, vicino a Forlì, sulla strada verso Cervia, insieme a nove cittadini italiani. Più passa il tempo, più sento la sua presenza dentro di me, come una febbre che mi spinge a non abbassare la guardia. Ma penso anche ad un ragazzo naziskin al quale m’ispirai in Secoli di gioventù: l’ho rivisto qualche tempo fa, ormai libero da quella specie di maschera che lo imprigionava, finalmente sereno, equilibrato, nel negozio di ferramenta dove ha trovato lavoro, ed il suo sguardo riconoscente mi ha ripagato di tante amarezze. Non era stato facile per me essergli amico quando veniva in classe mostrandomi la svastica: ma forse proprio perché io non lo abbandonai, cercando piuttosto di parlare con lui, adesso è cambiato. E’ stato Dietrich Bonhoeffer, giustiziato a Flossenburg, protagonista del Teologo contro Hitler, a farmi capire che dire la verità non significa semplicemente dirla: bisogna tenere presente i contesti, intervenire con la presenza umana, oltre che con le parole.”

Particolarità originalissima del libro Compagni segreti, del 2006, è che mescola viaggi e letture, persone e luoghi e libri, incontri di terra e di pelle con incontri di carta. Il tutto legato da alcuni eventi tragici e paradigmatici del novecento. Il titolo fa riferimento a Conrad, all’altro da sé che compare quando meno te l’aspetti e si scopre vicinissimo nella differenza? Chi sono i tuoi compagni segreti, intendo quelli letterari e quelli reali?

“The secret sharer, il celebre racconto di Conrad, è stata una delle letture fondamentali della mia giovinezza (nella versione di Piero Jahier: Il coinquilino segreto). Avevo pochi amici e molti compagni segreti. Quelli letterari fanno parte della famiglia estetica che ogni scrittore custodisce dentro di sé: c’è Nick di Hemingway, il ragazzo che s’accampa al confine tra Stati Uniti e Canada; Pierre di Tolstoj, che scopre nella Mosca incendiata, rischiando di morire, il vero senso della vita: Lord Jim di Conrad, alla ricerca del riscatto e di una donna capace di farlo sentire se stesso; il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, col Bren sulle spalle, la sigaretta accesa e il fazzoletto azzurro… Oggi i compagni reali sono i miei alunni. Ma non c’è scarto fra gli uni e gli altri. Oggi parlo con Alì pensando a Jack London, capisco Mihai grazie a Dostoevskij, ammiro Rauf come se fosse Kim in groppa all’elefante. I nonni dei ragazzi moldavi hanno combattuto contro gli alpini, in Russia e me lo raccontano. Gli arabi mi spiegano il Corano. Gli africani il dio del ferro e del tuono. E poi ci ritroviamo insieme giocando a pallone: solo che loro tifano quasi tutti per l’Inter e io invece sono della Roma.”

Di nuovo emerge in tutta la sua potenza il valore che tu dai al viaggio. In Germania, in Africa, in giro per le strade del mondo. Come riesci a trasformare le visioni che ti porti negli occhi in pagine scritte? Può la parola evocativa restituire l’esperienza del lontano? 

“La parola è sempre un’approssimazione della realtà, ma possiede vita propria e, se lo scrittore ha uno stile, intensifica l’esistenza. Non la deprime. La rafforza. Ti fa capire quello che tu hai sotto gli occhi ma non vedi. Per me il lavoro sulla pagina è decisivo. Attribuisco un grande valore artigianale alla scrittura. L’attenzione sulla singola frase è quasi di stampo lirico, antiromanzesco. Non riesco a diluire. Le imbottiture narrative non fanno per me. Questo è anche un problema. Ma bisogna accettare il proprio carattere. Il viaggio mi mette in una condizione spirituale favorevole, anche se da solo non sarebbe sufficiente. Infatti ogni viaggio io lo concepisco come studio vitalistico: cercare conferme di quello che già so. Ma un conto è conoscere in teoria, un altro conto è sentire gli odori, sporcarsi le mani, guardare in faccia la gente.”

Un’esperienza importante è stato per te l’incontro con Mario Rigoni Stern, di persona e attraverso la sua opera, di cui hai curato l’edizione per i Meridiani. Einaudi ha da poco ripubblicato in economica il Sergente nella neve con una tua nota. 

“Mario Rigoni Stern è l’esempio concreto di quello che ho detto finora: non c’è nessuno scarto fra lui e la sua opera. Eppure forse proprio per questo ha faticato a entrare nel canone aureo del Novecento italiano, come se la sua testimonianza non fosse anche un evento cruciale nel panorama letterario contemporaneo, disegnando, insieme a Primo Levi, un paesaggio nuovo, una forma inconsueta. Scrittori che rinunciano al gioco di prestigio e raggiungono la verità dell’esperienza umana con una misura universale. Fuori dalla biblioteca e dallo studiolo, quindi in modo eccentrico rispetto alla grande tradizione italiana.”

“Sistemando le vocali, lo aiutavo a guarire”. Nelle tue opere si intuisce la forza del lavoro ben fatto, inteso come impegno basilare dell’uomo, impresa civile, forma di presenza. E’ questo il compito che, in controtendenza con la dilagante sciatteria e irresponsabilità, ti sei dato con l’insegnamento e con la scrittura? 

“Lo scrittore e l’insegnante dividono una medesima responsabilità: quella nei confronti della parola, scritta e orale. Il che significa ricomporre la frattura tra pensiero e azione, una delle ferite della modernità. Da una parte ha trionfato la poetica dell’artista libero da ogni condizionamento, dall’altra quella dell’artista impegnato a realizzare un programma. Alla Città dei ragazzi capisco quale avrebbe dovuto essere la vera rivoluzione, fra tutte quelle fallite nel sangue del ventesimo secolo: farsi carico dello sguardo altrui. L’avevano detto, fra gli altri, Dietrich Bonhoeffer, Pierre Teilhard De Chardin, Don Lorenzo Milani, ma, benché i loro nomi siano comparsi spesso sulle pagine dei libri e perfino nei proclami, di fatto sono rimasti inascoltati”.

 

Eraldo Affinati - Nota biografica

 

Eraldo Affinati, nato a Roma nel 1956, è scrittore, giornalista e insegnante. Dopo i primi studi, insieme alla moglie Anna Luce Lenzi, sull’opera di Silvio D’Arzo, ha pubblicato su Nuovi Argomenti ed ha composto un saggio sulla poesia di Milo De Angelis. Nel 1997 il romanzo Campo del sangue, diario di un viaggio a piedi da Venezia ad Auschwitz, entra in finale ai premi Campiello e Strega. L’interesse per i temi novecenteschi, indagati attraverso il viaggio, si riflettono anche nei libri successivi: la biografia Un teologo contro Hitler, Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (Mondadori 2002), il romanzo Secoli di gioventù (Mondadori 2004). Ha curato l’edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall’Altipiano, (I Meridiani Mondadori 2003) Del 2006, per la Fandango, la raccolta di recensioni e reportages cuciti sotto il titolo Compagni segreti. Del 2008 il suo più recente romanzo, La città dei ragazzi.

Eraldo Affinati - Bibliografia


  • Veglia d'armi. L'uomo di Tolstoj, Marietti, 1992, Oscar Mondadori 1998
  • Soldati del 1956, Marco Nardi, 1993, Oscar Mondadori 1997
  • Bandiera bianca, Mondadori, 1995; Leonardo 1996; Oscar Mondadori 1999; nuova ed. 2009
  • Patto giurato. La poesia di Milo De Angelis, Tracce, 1996
  • Campo del sangue, Mondadori, Milano,1997, Oscar Mondadori, 1998, UTET, Collezione Premio Strega. I cento capolavori, Torino, 2006; Oscar Mondadori 2009
  • Uomini pericolosi, Mondadori 1998; Oscar Mondadori 2000; nuova ed. 2009
  • Il nemico negli occhi, Mondadori, 2001
  • Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, Mondadori, 2002
  • Secoli di gioventù, Mondadori, 2004
  • Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori, Fandango, 2006
  • La Città dei Ragazzi, Mondadori, 2008; Oscar Mondadori, 2009
  • Berlin, Rizzoli, 2009
  • Peregrin d'amore. Sotto il cielo degli scrittori d'Italia, Mondadori, 2010
  • Italiani anche noi. Corso di italiano per stranieri. Il libro della scuola Penny Wirton, Il Margine, 2011
  • L'11 settembre di Eddy il ribelle, Gallucci Editore, 2011
  • Ha curato l'edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall'Altipiano, "I Meridiani", Mondadori, 2003