Umberto Di Raimo - Divagazioni peridantesche di un attempato docente mestamente quiescente

 

Umberto Di Raimo

 

Divagazioni peridantesche

di un attempato docente mestamente quiescente

 

I.

Il paese che mi diede i natali trovasi in provincia di Reggio Emilia, ai confini con la provincia di Parma, adagiato sulla riva destra del torrente Enza. Montecchio Emilia si denomina. In tale borgo opera un esiguo ma agguerrito manipolo di appassionati di storia “locale”, gente dal naso fino che sa tutto su Montecchio: veri e propri segugi che riescono – come facciano non so – a scovare documentazione d’ogni sorte frugando e annusando in mercatini e archivi. Ma come fanno a trovare tutta quella roba! Quanto li ammiro! Una sera volli avventurarmi e digitai, senza parere, su e-bay, il nome del mio borgo natio: Montecchio Emilia. Che cosa uscirà? Il misterioso Algoritmo (tutti usano oggidì questa parola: “algoritmo”; mi conformo e la uso anch’io), il misterioso Algoritmo, solerte e generoso, mi presentò di primo acchito, sic et simpliciter: IL COMMENTO DANTESCO DEL DELEGATO DI PUBBLICA SICUREZZA LORENZANI MAURO. Il legame con Montecchio è presto detto: il Mauro Lorenzani in questione era originario di Montecchio e faceva di mestiere, nella seconda metà del secolo diciannovesimo, il “delegato di pubblica sicurezza” ovvero, mi par di poter dire, il poliziotto. Devotissimo a Casa Savoia, prestò servizio, con scrupolo e diligenza, in diverse città del Regno. E aveva il vizio dello scrivere.

Provai ad avventurarmi in qualche ricerca intorno alla produzione letteraria del Lorenzani (gran cosa il web!), ed ecco qui un elenco delle sue opere. Elenco può ben darsi non completo, chissà mai…:

  • L’Internazionale: cantica e altre poesie pubblicata in Codogno nel 1882 – Dedicata “A Sua Eccellenza il Sig. AGOSTINO DEPRETIS, presidente del Consiglio, Ministro dell’Interno.
  • Ciro Menotti: tragedia pubblicata in Piacenza nel 1885 -
  • Il Commento Dantesco: poemetto in terza rima, pubblicato in Torino nel 1887 – Dedicato “agli Illustrissimi Signori componenti il Consiglio Comunale di Montecchio nell’Emilia”.
  • La Stella d’Italia - Apoteosi del Risorgimento Nazionale. E fede, speranza, amore, poemetti in tre canzoni cadauno di Lorenzani Mauro delegato di Pubblica Sicurezza preceduti dall’ode dello stesso “il 9 gennaio 1878”, pubblicata in Cuneo nel 1889 – NOTA: Per quel che riguarda l’Ode → «L’Autore avendo fatto omaggio alle Auguste LL. MM. Il re e la Regina d’Italia di un esemplare in pergamena diligentemente elaborato di detto componimento, la prefata maestà sua, a mezzo del Ministero della R. casa, si degnava fargli pervenire la seguente lettera: …» [segue il testo della regale missiva].
  • Poesie popolari e di circostanza, con aggiunto un carme sulle nazionalità ed alcune Lettere esplicative del Cav. Mauro Lorenzani, pubblicata in Genova nel 1898 – dedicata «All’illustre ed onorevole signor GALIMBERTI Comm. Avv. TANCREDI deputato al Parlamento pel Collegio di Cuneo».

 

NOTA UNO → Il volumetto delle Poesie popolari e di circostanza (1898) è dedicato dal Cavalier Mauro Lorenzani al “signor Galimberti comm. avv. Tancredi deputato al parlamento pel collegio di Cuneo”. Ora: il suddetto Galimberti nel 1902 sposò la poetessa e scrittrice Alice Schanzer [da tale unione nacque Duccio Galimberti eroe della Resistenza]. Si dà il caso che, dice Wikipedia, la Alice Schanzer nel 1901 avesse pubblicato una raccolta di versi (Motivi e Canti) che fu apprezzata dal Carducci. Ora si dà parimenti il caso che a Bologna presso Casa Carducci giaccia una copia del Commento Dantesco del Lorenzani. Domanda: come è arrivata tale copia del Commento Dantesco a Casa Carducci? Lo ha acquistato su e-bay lo stesso Carducci? Mi sembra improbabile.  Lo ha inviato il Lorenzani medesimo al Giosue nazionale? Può darsi (il Nostro non mancava di una certa quale dose di compassata sfrontatezza…). A me piace immaginare che quel fascicolo sia arrivato al Vate attraverso la Alice Galimberti Schanzer. Improbabile? Improbabile! Ma a me piace immaginarlo. E in ogni caso mi piacerebbe andarla a visionare, quella copia del Commento: chissà che il vecchio Giosue non vi abbia ammarginato qualche chiosa leonina e sbrigativa…  -  ALTRA NOTA: ci sono due lettere del Carducci: a) a Tancredi Galimberti (1899); b) ad Alice Galimberti (1902) [anche queste sarebbe bello vedere di che cosa parlano]. ALTRA NOTA: Su Alice Schanzer esiste un romanzo: Valentina Mattia, Alice Schanzer. L’alambicco dei ricordi, Ass. Primalpe Costanzo Martini, 2018, pagg. 208, € 15,00.

NOTA DUE: A pag. 48 del fascicolo “Poesie popolari e di Circostanza” si può leggere una “Canzone” dedicata «Alla Nobile Signora Contessa ADELE CARLI nella ricorrenza della morte del fu suo Consorte Signor Emiliano Dini di Castelnuovo di Garfagnana». A tale dedica il Lorenzani appone una nota: «della famiglia Dini mio nonno fu amministratore, mio padre notaio ond’è che m’indussi a scrivere, e indirizzai alla nobil donna questa canzone» [domanda: che attinenza c’è tra queste parole e il notaio Lorenzani il cui nome campeggia su una lapide che trovasi in Chiesa Nuova a Montecchio Emilia? Chi è quel Lorenzani notaio? Il nonno del Nostro? Un parente? – bisognerebbe approfondire]. – A margine poi si noti: La signora contessa Adele dei Conti Carli e il di lei consorte Emiliano Dini sono poi i genitori del poeta Olinto Dini, nato nel 1873 a Castelnuovo di Garfagnana e ivi defunto nel 1951 (Wikipedia dice poi che tale Olinto Dini svolse anche la professione di insegnante, tra l’altro, per un certo periodo anche in Reggio Emilia).

  • OPERE INEDITE [a detta del Lorenzani medesimo: vedi a pag. VII delle Poesie popolari e di circostanza”]: a) Gabriella di Monferrato (Melodramma per musica) – Chissà che fine ha fatto il manoscritto! – b) La tragica fine dell’illustre Pellegrino Rossi (dramma) – Chissà che fine ha fatto il manoscritto

Della lutulenta produzione del Lorenzani a noi interessa qui l’opera d’argomento dantesco: IL COMMENTO DANTESCO – Poemetto in terza rima – Di – Lorenzani Mauro – Delegato di Pubblica Sicurezza – TORINO – Tipografia L. Roux e C. – 1887

Trattasi giustappunto di quattro canti in terza rima, intesi a celebrare la pubblicazione di un antico commento dantesco (Talice di Ricaldone; cfr Enciclopedia Dantesca, s. v.) voluta e incoraggiata dal re d’Italia Umberto Primo.  Ecco le prime terzine dell’opera, nelle quali si dà conto al lettore benevolo e paziente (quanto benevolo e quanto paziente si vedrà subito) di come e qualmente il Mauro Lorenzani intento alla lettura del Poema Sacro abbia ricevuto nientedimeno che la visita del sommo Alighieri:

 

«Era una notte, in che, per fosca bruma

   Aleggiante per l’aere confuso,

   Rotto da fiamme di che il gaz s’alluma,

Si ritraeva il cittadino al chiuso

   Intangibile asil de’ propri lari;

   E stavo già ne’ miei, come son uso,

Tutto soletto e intento ne’ contrari

   Sensi che intorno al nostro sommo Vate

   I posteri dettâr, del vero ignari

O desïosi di trovar velate

   Astruse cose, ove pur bello e piano

   L’immortal genio suo le ha rivelate,

Quando in pria disegnarsi a me nel vano

   Aere si parve, e verso me distesa,

   Come ad invito, sconosciuta mano.

Né tempo di stupirne l’incompresa

   Apparizion lasciavami, sì tosto,

   Fosse prodigio, o della mente accesa

Per illusione, star mi vidi accosto

   Nella sua austera e veneranda immago

   Il fiero Ghibellino. – Ben composto

Panno sul capo e attorno in modo vago

   Drappeggiando il covriva – non già gaio

   Ma quale chi di sé si mostri pago,

Né più per sé pe’ suoi tema alcun guaio

   Il grand’esul pareva. In viso tanto

   Così al vivo splendea, che il bruno saio

Ond’era avvolto, in quel bagliore alquanto

   Indistinto vedea; e il grave aspetto,

   Il dolce sguardo in me poteano tanto

Che dir voleva: O fra gli eletti, eletto

   Lume, deh lascia ch’io a te or mi prostri,

   A Te fra i Sommi duce prediletto!»

 

E via e via così per quattro “canti” (per un totale di 1594 versi endecasillabi). Ma per fortuna il Lorenzani ha cortesemente provveduto a premettere ad ogni canto un sintetico “argomento”. Bravo e grazie: così il lettore si fa subito un’idea del tenore della cosa e capisce immediatamente, per esempio, che l’intento del poeta è squisitamente encomiastico: Casa Savoia e Patria innanzitutto; (ma poi anche entusiasmo per i progressi della tecnica: è stagione di Ballo Excelsior). Ecco qua:

ARGOMENTO DEL CANTO PRIMO – Al poeta intento allo studio della Divina Commedia appare lo Alighieri che indi lo adduce ai piedi d’un colle al quale poggiano coloro che acquistansi fama, e ad ascendere al medesimo interponendosi una riviera, viene loro in ausilio una macchina a vapore, munita di ponte, che li deposita al di là. Nello ascendere quindi al delizioso colle, spiega il Sommo Vate al poeta lo scopo del viaggio, intanto che, giunti ad una amena valletta con fonte, incontrano ivi tre donne raffiguranti la Fede, la Speranza, l’Amore operoso, ed ivi Dante, dal compagno accomiatandosi, loro lo affida.

ARGOMENTO DEL CANTO SECONDO – Per uno speco introducono le tre Donne il Poeta nella parte cavernosa del colle, e, sempre internamente camminando salgono alla cima, ove transitando sovra un laghetto posto a indicare i travagli, per lo cui mezzo affinandosi le virtù, gloria si consegue; entrano nel Tempio della Fama. S’accolgon ivi gli illustri in armi, filosofia, scienze, governo e benefica amministrazione de’ popoli, poesia, letteratura, pittura, scultura e i più onorandi per patriottismo; de’ quali tutti dal Poeta si contemplano a lungo e si enumerano le immagini sino a che dalla guida significante Amore è invitato a seguirla in altra parte.

ARGOMENTO DEL CANTO TERZO – Il Poeta per venir a dire della reale biblioteca, luogo nel quale trovavasi il commento alle cantiche dello Alighieri scritto dal Talice, commento che or non è molto fu edito per ordine di S. M. il re d’Italia Umberto I, dedicandolo a S. A. R. il Principe Ereditario; dal che ha ragion d’essere il Poemetto; accenna anzitutto a Torino della quale esalta i meriti patriottici, enumerando gli atti e mezzi con che preparò il patrio risorgimento ed i luoghi e monumenti più insigni e memorandi, il R. Palazzo e l’Armeria Reale.

ARGOMENTO DEL CANTO QUARTO – Dalla celestial donna viene condotto il Poeta, nel mezzo del Tempio della Fama, a piè di un’ara, sula quale sta l’aureo testo, edito per ordine di S. M. il Re; e sul conto di questi quella alcunché gli espone, nello spiegargli come si commemori appunto l’edizione di detto commento. Mentre il Poeta poi sta esaminando il libro, siccome gli fu ingiunto, e s’avviene là ove si lamentano i mali d’Italia, e si profeta di chi sarebbe venuto a liberarnela gli appaiono di seguito, sovra dell’ara le immagini della Patria e di un Principe guerriero, nel quale gli è dato ravvisare S. A. R. il Principe Ereditario, quale un dì sarà, sul capo del quale vede posarsi dall’Italia la corona dei trionfatori, per averle esso acquistato più glorioso ed esteso dominio; del che si fa cenno. Scomparsa la visione, invitano le guide il Poeta a dire di quanto vide, e schermendosene egli per incapacità, il riconducono al laghetto del dolore, ove bevuta, come per confortarsi al cimento gli ingiungono di fare, di quell’acqua, è vinto dal sonno; nel riscuotersi poi dal quale si trova soletto ove fin da principio il Sommo Poeta gli apparve».

E per ora può bastare, col Lorenzani. Solo indichiamo il finale dell’opera, là dove è descritto il risveglio del poeta:

 

«Gente movea di già per le contrade

Quando in sul far del dì io mi svegliai;

E qual fa quei che male si persuade

D’atto al qual conscio non verrebbe mai,

Il tavolo ed il Dante che tra mani

Aveva, il vuoto letto contemplai,

Poi, di quelle il precetto allo indomani

Rammemorando, in sunto mi notai

Di quell’aberrazione i casi strani;

Che, adesso, in questi canti abborracciai».

 

E qui c’è quella insistita rima in “ai” che – ci scommetto – vuole riecheggiare gli ultimi versi del canto XVIII del Purgatorio:

 

«Poi quando fuor da noi tanto divise

quell’ombre, che veder più non potiersi,

novo pensiero dentro a me si mise,

del qual più altri nacquero e diversi;

e tanto d’uno in altro vaneggiai,

che li occhi per vaghezza ricopersi,

e ‘l pensamento in sogno trasmutai».

 

Ma qui il sommo Dante non si sveglia: si addormenta. Esattamente come il pur benevolo lettore del Lorenzani il quale, scorrendo le terzine del Commento Dantesco, si è, dal canto suo, già assopito da lunga pezza.

 

II.

Il mio amico Primo Francescotti di mestiere fa l’avvocato. È di Cavriago, un bel paese a due passi da Reggio Emilia (e a due passi da Montecchio). Il nonno di Primo si chiamava Primo anche lui. Fu ucciso dai fascisti il primo maggio del 1921. L’avvocato Francescotti ha pensato bene, l’anno scorso, di dare alle stampe un libro in cui narra la storia di suo nonno e della sua famiglia, sullo sfondo delle vicende che si sono srotolate nel paese di Cavriago lungo i tormentati decenni del secolo breve. Primo Francescotti senior non era laureato, come il nipote avvocato: era un lavoratore di cultura scolastica quasi nulla. Ma avido di sapere e di conoscere. Consultava il Novissimo Melzi; si avvicinava ai nostri classici: Dante, Leopardi… Durante la Grande Guerra fu ricoverato nell’ospedale militare di Como, donde inviò alla fidanzata Gigia questa cartolina, in data 27 luglio 1918:

 

 Immagine 1 (vedi allegato)

 

Vi è, io credo, un vasto universo che vale la pena di esplorare, ogniqualvolta se ne presenti la fortunata occasione: il Dante dei poveri e degli illetterati. Del “popolo” si potrebbe dire con vocabolo sfuggito, da un poco di tempo a questa parte, all’uso ordinario della nostra lingua.

 

III.

Chi voglia assumere informazioni riguardo alla persona di Giacomo Ferrari non dovrà fare altro che andare a consultare l’articolo a firma dell’ingegner Franco Sezzi comparso nel numero 19 (dicembre 2016) di «Montècc», la rivista annuale che si pubblica a cura della “associazione culturale La Vecchia Montecchio” giustappunto a Montecchio Emilia, il borgo nel quale risiede l’estensore delle presenti note. In sintesi (o meglio, come dice taluno, in estrema sintesi), ecco l’incipit dell’articolo dell’ingegner Sezzi: «Settantanove anni fa moriva in miseria a Quattro Castella Giacomo Ferrari, un umile contadino che seppe diventare qualcuno grazie al suo amore per la lettura, amore che nella maturità, concentrò nella Divina Commedia. Il grande poema di Dante divenne ben presto la cosa più importante della sua vita: ad esso dedicò anni di studio; per esso si fece scultore autodidatta intagliando un poderoso bastone con una sessantina di scene tratte dalle tre cantiche della Commedia; col suo bastone girò poi in lungo e in largo quasi tutta l’Italia fermandosi nelle piazze, nei mercati, nelle fiere ad illustrare alla gente del popolo le meravigliose storie dell’avventura dantesca».

 

Giacomo Ferrari si era avvicinato a Dante dapprima grazie ad una edizione del poema donatagli dal suo padrone di casa, essendo Giacomo costretto lungamente a letto per una tormentosa nefrite: si trattava di una edizione della Commedia affatto priva di note e commenti che nondimeno il Ferrari lesse avidamente e compulsò con interesse vivissimo, sia pure a fatica. A quel punto venne in soccorso il dottor Francesco Mazzini, uomo burbero e sapiente il quale, accortosi dell’interesse che Giacomo nutriva nei confronti del poema dantesco, gli fece dono di un’opera cospicua, in tre grossi tomi: La Divina Commedia spiegata al popolo da Matteo Romani arciprete di Campegine. Quando si dice che il culto del pur bizzoso Dante accomuna ed affratella: i tre grossi tomi li aveva compilati un antico arciprete, il Giacomo Ferrari era un socialista piuttosto incline all’anarchismo, s’intende antifascista; il dottor Mazzini era antifascista anche lui, “seppur della sponda opposta, quella liberal-radicale”. [Montiamo un poco in su per le scale della cultura “alta” ed eccoci al cospetto di Carlo Dionisotti: «… puristi e antipuristi, classicisti e romantici, cristiani e miscredenti, reazionari e liberali, neoguelfi e neoghibellini mirabilmente si incontravano e accordavano nel culto di Dante».]

Per qualche ulteriore dilucidazione sull’opera e la fortuna del dotto arciprete dantista ricorriamo ancora alle parole di Franco Sezzi:

«Don Matteo Romani (Dinazzano 1806 – Campegine 1878) dopo aver insegnato algebra e geometria al seminario di Reggio Emilia, fu nominato arciprete di Campegine nel 1843. Il nuovo incarico gli permise, pur nell’impegno del suo apostolato, di dedicarsi intensamente agli amati studi danteschi, che, dopo svariate altre pubblicazioni, sfociarono in un’opera originale come concezione ed estremamente importante come dimensioni: La Divina Commedia di Dante Alighieri esposta al popolo da Matteo Romani…, tre grossi volumi, uno per ogni cantica rispettivamente di 623, 600 e 761 pagine. Lo scopo dell’opera è chiaramente esposto nella breve ed energica prefazione: “Spiegare distesamente tutto il testo, sì che il popolo possa intendere il principe dei nostri poeti e il primo libro della italiana letteratura… spiegare il senso letterale di tutto il testo e la sua referenza al senso allegorico, ove ha luogo far conoscere l’argomento del poema, la sua unità, l’ordine e l’armonia delle sue parti”. L’opera fu accolta con molte riserve, quando non con pesanti critiche, dalla cultura contemporanea soprattutto per la manifesta scelta dell’autore di privilegiare l’aspetto teologico e alla fin fine religioso della Divina Commedia rispetto al valore poetico indubbiamente prevalente. Da più parti fu contestato anche il suo stesso modo di divulgare, giudicandolo troppo dotto ed astruso. Costoro però sbagliavano pesantemente se consideriamo che un contadino, che aveva fatto solo fino alla terza elementare, attraverso la lettura di quel testo era riuscito ad afferrare il senso profondo della difficile opera dantesca e a trasmetterlo a un pubblico schiettamente popolare al punto di poter sopravvivere proprio con le sue povere offerte. Con questo obolo Ferrari non solo doveva mantenere sé stesso, ma anche provvedere al sostentamento dei figli che erano rimasti con lui dopo la separazione dalla moglie e che attendevano con ansia il modesto vaglia postale spedito un po’ da tutte le città d’Italia».

Dunque il Ferrari, a mano a mano che appassionatamente si veniva erudendo circa la Commedia, procedeva nell’opera di intaglio di un lungo bastone di bosso (circa metri 2,5), incidendo e raffigurando in esso episodi e personaggi del poema dantesco.

Ecco qui un esempio, un particolare: il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggieri (→ «la bocca sollevò dal fiero pasto»):

 

 Immagine 2 (vedi allegato)

 

E il Ferrari girovagò per mezza Italia in compagnia di quel bastone (vero e proprio eloquente supporto visivo) illustrando al popolo il poema dantesco per piazze, fiere e mercati. L’ultima tappa di quel peregrinare sembra sia stata Venezia. Il Sezzi riporta infatti un articolo comparso nel quotidiano «Il Veneto» di Padova, il 2 ottobre 1937: «È stato ieri nella nostra redazione quel cinquantatreenne Giacomo Ferrari di Quattro Castella (Reggio Emilia) che porta con sé un lungo e pesante bastone nel quale sono scolpite le principali scene della Divina Commedia. Il Ferrari ci ha mostrato il suo ‘capolavoro’ col quale ha inteso rendere omaggio al Divino Poeta, e che ha portato in giro per tutta Italia illustrandolo alle folle col citare e commentare i versi riferentisi alle scene dantesche che figurano nel pesante bastone di bosso. In sei anni Giacomo Ferrari ha compiuto, colla sua fida bicicletta, oltre 43 mila chilometri ma egli è ancora in gamba e si ripromette di girare ancora molto col suo bastone che, pur non avendo pretese artistiche, testimonia del suo appassionato culto per l’Alighieri e della genialità dell’artigiano. Il Ferrari rimarrà a Padova qualche giorno e poi proseguirà per Venezia». Ed eccolo dunque qui, il Ferrari, “colla sua fida bicicletta” (e il suo fido bastone istoriato):

 

 Immagine 3 (vedi allegato) 

 

Giacomo Ferrari morì l’undici dicembre 1937 a Quattro Castella suo paese natale, munito dei conforti religiosi. Aveva chiamato infatti al proprio capezzale don Luigi Bertani, arciprete di Quattro Castella, al quale disse: «Signor arciprete l’ho voluta qui perché non voglio andar nella città dolente, non voglio andar nell’eterno dolore, non voglio andar fra la perduta gente».

 

IV.

In Par. XV, 106 è detto che nella Firenze ancora chiusa nella cerchia antica (quando cioè la città «si stava in pace, sobria e pudica») «non avea case di famiglia vòte». Il commentatore osserva che il testo va interpretato così: le case di Firenze (al tempo del Poeta) erano vuote, «cioè scarne o prive di prole, a causa dei corrotti costumi che erano penetrati nella città» (G. Reggio – U. Bosco). Qui a Montecchio sono assai molte e ben visibili le case vuote. Case deserte. Serrate e silenti. VENDESI. Non so che dire: non è affar mio far questione di “corrotti costumi” o simili. Ma di desolazione e sommessa mestizia si potrà ben parlare: un paese che illanguidisce e sembra spegnersi. Dante aiuta a vedere e guardare le cose ed è consolante anche solo il ruminare tra sé e sé qualcuno dei suoi endecasillabi mentre si passeggia. Consolante e grato. Anni addietro colonie intere di storni elessero a loro resting point un vasto areale rigogliosamente boschivo sito sulla riva sinistra del nostro torrente Enza. Ivi si dirigevano a multiple successive ondate a tarda sera, poco prima del tramonto, a schiera larga e piena: e si tuffavano precipiti e strepitanti e sparivano tra le chiome di quegli alberi ospitali. La parola del Poeta che si riverbera sulla scena del cosmo e sembra dare ad essa sostanza e vita e visibilità. Guido Gozzano: «Ah! non al chiuso, ma nel cielo terso, / nel fiato novo dell’antica madre, / nella profondità dell’universo, / nell’Infinito mi parlavi, o Padre!»

 

V.

Permanendo immoto e attonito nella mia solitaria latebra di attempato quiescente, vado fantasticando di una possibile (possibile?) iniziativa da promuovere (a suo tempo e con la dovuta calma) sull’onda delle celebrazioni dantesche trascorrenti nel corso del presente anno 2021. Compongo il testo che segue, coll’intenzione di inoltrarlo a chi di dovere, a scopo “sensibilizzatorio”.

→ Si tratta di un convegno, o più modestamente di una giornata di studi, da celebrarsi qui nel nostro borgo. Una giornata di studi che si potrebbe intitolare: OR TI RIMAN, LETTOR, SOVRA ʼL TUO BANCO Dante a scuola: che si fa?.

Il tema che si propone, come ognun vede, è molto semplice, banale addirittura: come raccontare e presentare e porgere il Poema Sacro agli studenti di oggidì? Come dire: «didattica della Divina Commedia – problemi e prospettive».

Mi figuro una giornata di studi articolata e organizzata con tutti i crismi: il suo bel programma, il calendario degli interventi; addirittura – a modo di recondito retropensiero inconfessato – la ambizione di pubblicare un domani gli “atti” (se qualche mecenate tira fuori qualche €uro). Ma mi figuro altresì: tranquillità, buon umore, serenità; decoro sì ma senza eccessi di pompa. Siamo operai, lavoratori affaccendati dentro la loro officina, dopotutto: non mica signore snob congregate a cinguettare pettegolezzi in un salotto snob. A buon conto poi caldamente auspico: degnissimo coffee break a mezza mattina e lauto desinare collegiale intorno alle ore 13.00.

DUNQUE: ci si incontra tra addetti ai lavori e si ragiona ariosamente sul tema [ovviamente i lavori sono apertissimi a ogni specie di pubblico].

NOTABENE: per “addetti ai lavori” intendo i docenti delle scuole (di ogni ordine e grado) del nostro borgo o zone limitrofe. Il nostro non è un convegno di dantisti che parlano di Dante pretendendo di presentare nuove interpretazioni del Sommo Poema. La nostra “specialità” è la didattica della Divina Commedia, non semplicemente la Divina Commedia in quanto tale. In somma il punto è: non tanto quanto noi docenti sappiamo di Dante, quanto piuttosto invece come ci attrezziamo per presentare la Divina Commedia ai nostri studenti.

Orbene: si può (e si deve) procedere in vario modo, con la massima libertà e osservando l’oggetto da ogni e qualsivoglia punto di vista.

Si possono delineare le caratteristiche di una propria esperienza didattica passata (riuscita o non riuscita), presente (difficoltà che si stanno incontrando…) o vagheggiata per l’avvenire.

Ci si può lanciare nelle spericolatezze interdisciplinari le più ardimentose: letteratura; teologia; astronomia; matematica e chi più ne ha più ne metta… ce n’è per tutti i gusti. A proposito di matematica (o, eventualmente, di fisica) dirò di sfuggita che di recente mi è occorso di visionare un articolo del celebre fisico Carlo Rovelli intitolato Il cosmo dantesco anticipa Einstein («La Lettura» del «Corriere della Sera», n° 483 del 28 febbraio 2021). Il pezzo è assai suggestivo ed elucida, a grandi linee, quanto enunciato dal titolo. L’autore cita variamente e vivacemente – nel volgere di un paio di colonne di scrittura – i nomi di uomini di scienza, filosofi, letterati, artisti: Albert Einstein, Bernhard Riemann, Friedrich Gauss, Brunetto Latini, Aristotele, san Tommaso d’Aquino, Arnolfo di Cambio, Coppo di Marcovaldo. Il risultato è presto detto (per quanto assai arduo ad intendersi dall’estensore della presente nota, uomo tutt’affatto digiuno di cose matematiche): il cosmo che Dante concepisce nel suo Poema è una “tre-sfera”! Mentre leggevo l’articolo del Rovelli mi sovvenni d’un libricciolo che ebbi modo di frequentare qualche anno fa (Horia-Roman Patapievici, Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante, Bruno Mondadori, Milano, 2006). Accorsi a riconsultare ed eccomi a pag. 85: «La risposta alla domanda “com’era davvero il mondo di Dante?” è: un’ipersfera». Naturalmente io mi smarrisco attonito sia nella tre-sfera che nella ipersfera, ma mi è impossibile tacere del senso di vero compiacimento che mi avvolse (vana vanità!), allorché mi accorsi che nient’affatto nuovo mi pareva l’assunto del Rovelli, avendo io tempo addietro costeggiato il Patapievici!

Ma torniamo alla nostra giornata di studi. Chi avesse voglia, potrebbe anche andare a sbattere il muso contro un interrogativo annoso e controverso del tipo: Dante è ancora “attuale”? È, la nostra maggior musa, “universale”? Ogni amena corbelleria, gagliardamente motivata, è benvenuta.

Eccetera eccetera eccetera: i docenti interessati sapranno certo individuare ben meglio di me i più varii aspetti e problemi del tema in esame.

È poi ovvio – assolutamente ovvio – che nello svolgimento di una giornata di studi come quella che qui si sta vagheggiando una presenza significativa (a dir vero molto significativa) potrà ben essere quella degli studenti, che sarebbero poi i destinatari/collaboratori dell’attività didattica propriamente intesa. Modalità da studiare, ovviamente: ma una presenza attiva degli studenti sarebbe davvero una gran cosa.

PRECISAZIONE: questo “convegno” non è un corso d’aggiornamento, consistente nella (pur ragguardevolissima) conferenza tenuta da un dottissimo e ragguardevole docente universitario. Dopo la quale conferenza tutti ci sentiamo (giustamente) ignorantissimi e smarriti e la cosa rischia di limitarsi a produrre un effetto niente affatto salubre: vale a dire un sordo e rimuginato mea culpa mea culpa mea maxima culpa. NO: qui si ragiona con serenità su un tema che ci tocca tutti in quanto artefici (meglio dire: operai) della cultura. Ovvio che se un dotto prof universitario volesse partecipare: avanti, la porta è aperta; anzi [parola di Lorenzo da Ponte: «venite pure avanti / vezzose mascherette / è aperto a tutti quanti / viva la libertà!»]. Già, perché il mio dito mignolo mi dice che un pochino ce l’hanno anche nelle università il problema di come raccontarla agli studenti, la Divina Commedia…

IN CONCLUSIONE: se la cosa dovesse parere non troppo bizzarra o cervellotica, sarei ben felice di scambiare – quandochessìa – qualche parola con qualcuno dei docenti interessati.

Segue deferente ed articolata formula di saluto.

 

VI.

Chi volesse condurre una qualche indagine intorno alla varia fortuna di Dante lungo la valle dell’Enza dovrebbe vedersela – tra l’altro – con un libriccino di Germano Musi da Ciano d’Enza (ridente borgo sito in comune di Canossa) pubblicato nell’anno 2007. S’intitola Il Giudizio Universale (Progetto Grafico: Studio Grafico SM/Stella Mei, Trinità di Canossa; stampa Tipografia La Cartotecnica, Provaglio d’Iseo): opera non priva di bizzarria, candidamente ispirata al poema dantesco. Parole dell’autore: «È stato un lavoro quarantennale. L’ho trasformata in La Commedia del Vino, usando la rima obbligata. Ho scritto l’Inferno-Inverno e il Purgatorio, divenuto “il Burlatorio”. Per rispetto, essendo un’opera comica, una bonaria presa in giro, non ho tradotto il Paradiso. Forse anche per questo mi chiamano “Germus Diable”». L’opera è alluminata da disegni prodotti dal medesimo Germano. Ed ecco qui, a cagion d’esempio, alcuni versi, corredati da eloquente illustrazione ad essi acconcia:

 

 Immagine 4 (vedi allegato)

 

«Lasciammo quel lagone sporco e brutto…

un po’ più in là (con grande meraviglia!)

vidi fuggir per ‘na viva foresta,

ex cacciator con grande parapiglia,

rincorsi da cinghiali a zanne in resta

e con dei fucilini sulla spalla

da lepri e uccelli pien d’ira funesta,

urlavan: “Fuoco! Bum! Guai a chi falla!”

E poi gioivan con un frullo d’ali…

Urlavan quei: “fuggiam tra palla e palla!”

“Vendetta, olè!” ringhiavano i cinghiali.

Nel fuggi fuggi, qualche ramoscello

venia divelto, provocando mali

ai suicidi or piante. Il ver flagello

eran però le arpie, che si cibavan

dei rami dei suicidi e duol novello

dava ai dannati e pur su quei nidiavan

perpetuando quegli orridi tormenti.

E quelli: “Ahi! L’arpie via! Ahi!” urlavan…»

 

 

VII.

Mi coccolo l’immaginativa figurandomi il tracollo finale e la scomparsa della pandemia che ci aduggia presentemente [scrivo questa nota il Sabato Santo dell’anno 2021]. Allora sarà possibile con il dovuto agio congregare quattro o cinque amici intorno a una tavola saggiamente e lautamente imbandita, senza tema di incorrere in sanzioni e tutti accuratamente vaccinati. Si parlerà lungamente e con agio di mille cose: pettegolezzi nostrali, politica, corbellerie le più ardimentose e improbabili. Quattro o cinque amici la cui pratica con il Poema Sacro risale agli antichissimi tempi dell’adolescenza. E mentre si parla di quel che si è fatto o non fatto durante i lugubri tempi del lockdown e delle zone rosse qualcuno potrebbe anche dire: “beh, io ho speso un poco di tempo a ciondolare attorno a Dante: ho girovagato un poco qua e là per vedere come tratta le favole antiche, il sommo poeta”. Ed è stato decisamente un piacere. Un piacere e anche un dovere. Dante sembra un prof – autorevole e severo – il quale assegna compiti ad ogni piè sospinto al suo scolaro intimidito; e ingiunge all’occorrenza: «qui vai a consultare l’Eneide; adesso controlla Stazio e Ovidio. Eccomi qui davanti al mio avo Cacciaguida: bene, ora vai a vedere le Metamorfosi…». Ecco: vedere le Metamorfosi. Bene: ho preso alla lettera il suggerimento del maestro, quanto al “vedere”. Dante davanti a Cacciaguida indossa la maschera di Fetonte e in tre versi e mezzo riassume (o meglio sottintende, surrettiziamente ingiungendo al lettore di andarsi a documentare: che si scanti un po’, il lettore, se vuole saltarci fuori) il sugo di tutta una storia che Ovidio racconta diffusamente a suo luogo. Che fare? Vado a leggere quel passo di Ovidio, consulto qualche commento, un repertorio, un manualetto ed ecco qua: costruisco un semplice schema, a modo di soccorso alla memoria (visiva) per aiutarmi a ritenere ↓

 

 Immagine 5 (vedi allegato)

 

Ecco adesso figuro me medesimo nell’atto di sciorinare la mia tavola mitologica sulla tavola imbandita, al cospetto dei miei quattro vecchi amici. Come commenteranno il parto del mio ingegno? Diranno che è null’altro che un giochetto puerile (o, meglio, senile)? Chi lo sa! Comunque sia, ci berremo su un altro bel bicchiere di Lambrusco: e io sarò pur sempre felice di avere assaporato l’impagabile piacere dell’erudizione (che è una sorte di poeticissima non-poesia), sotto la guida di quell’antico Ghibellino arcigno e generoso [conterraneo di quel politico che nel suesposto schema iconicizza il beffardo scetticismo di Epafo nei confronti di Fetonte; come a dire: di chi è che saresti figlio, te? Del Sole? Ma dài, a chi la vuoi tu raccontare…]

 

 

27 aprile 2021