Adil Bellafqih - Introduzione a Come mantenere l’attenzione del lettore di Robert Graves

 

Sulla via della casa dai tetti verdi, la piccola Anne Shirley sta rintronando il suo nuovo tutore, lo schivo e timido Matthew Cuthbert, utilizzando parole esagerate per gli slanci immaginativi con cui trasfigura il paesaggio di Avonlea. Il viale dei meli si trasforma nella «bianca via dell’incanto», mentre quel che per Matthew è sempre stato «lo stagno di Barry» per Anne diventa il «lago delle acque splendenti». Matthew, seppur incuriosito, è anche perplesso dal modo di parlare della bambina. Anne infatti sostiene che: «Se hai grandi pensieri devi usare anche grandi parole».

Questa divertente (e a suo modo poetica) scena descritta all’inizio del romanzo di L.M. Montgomery, Anne of Green Gables, trova il suo controcanto molto più in là quando Anne, cresciuta e meno ciarliera, riflette sul consiglio della nuova insegnante, Miss Stacy, di usare solo parole brevi, efficaci e precise per esprimere un pensiero, anche il più grande. A proposito di brevità, l’evoluzione di Anne nel rapporto con la lingua basterebbe da sola a riassumere il saggio di Robert Graves che segue.

Come mantenere l’attenzione del lettore, infatti, può essere visto come un breviario di scrittura creativa, spogliata però dalle impalcature pedagogiche delle (costose) scuole di scrittura professionale e ricondotta a una semplice regola di buon senso che gli stessi scrittori sembrano essersi dimenticati.

Robert Graves non fu solo uno dei maggiori poeti inglesi del secolo scorso, ma anche un autore popolare. Diversi suoi romanzi storici (Io, Claudio su tutti) divennero bestseller. Nemmeno la pubblicazione di un romanzo a metà tra il distopico e il fantasy come Sette giorni tra mille anni fece vacillare le fondamenta della sua cattedra di poesia a Oxford. In questo senso, l’approccio di Graves alla scrittura è sempre stato trasversale, mai limitato dalle convenzioni letterarie beneducate, e che si trattasse di saggi mitografici o romanzi fantastici, la regola per mantenere il lettore incollato alla pagina è sempre stata la stessa: non confonderlo, offenderlo o annoiarlo a morte. In altre parole, scrivere significa avere “cura” del lettore, in modo da arrecargli meno fatica mentale possibile.

Naturalmente Graves si concentra sulla prosa in lingua inglese, soffermandosi sulle sue origini pidgin dovute a una mescolanza di latino e franco-normanno parlato dagli anglo-sassoni, ma numerose suggestioni valgono anche per l’italiano. Il fatto che il saggio risalga agli anni Sessanta e sia ancora attuale, non depone a favore dello stato della lingua italiana e del suo uso.

Una distinzione importante che Graves fa, per esempio, è quella tra inglese di successo e buon inglese. L’inglese di successo è il pronipote della retorica latina, l’arte di «far sembrare una causa persa migliore attraverso l’uso delle parole». L’inglese (o l’italiano) di successo è, detto altrimenti, la lingua usata per vendere. Ecco un semplice esperimento: fate una pausa per aprire Linkedin e inserite nella barra di ricerca di lavoro “scrittura creativa”. La maggior parte delle offerte che vi troverete a scorrere sono annunci per copywriter – figura che, in una battuta raccontata da Graves nel saggio, farà una malaugurata fine. Tra le competenze richieste a un copywriter è prevista un’ottima conoscenza della lingua. L’ottima conoscenza della lingua, in questo caso, sarà utilizzata per scrivere testi pubblicitari per aziende o siti online in modo da farli sembrare più appetibili di quanto non siano. Tale uso della lingua, secondo Graves, non sarebbe affatto “ottimo”, solo disonesto.

Una lingua buona, onesta e non retorica, come accennato, ha cura del lettore. È chiaro invece che una lingua di successo è solo interessata a vendere qualcosa al lettore - senza alcun interesse per la sua cura. La confusione tra le due lingue ha generato una successione di mostruosità che si sono ramificate non solo nel mercato ma, soprattutto, nell’accademia e nella letteratura.

Sul fronte accademico, l’interesse sarebbe quello di far sentire inferiore il lettore esprimendosi in un linguaggio comprensibile (forse) solo ad altri eruditi. Basterebbe rileggere Impostures intellectuelles di Bricmont e Sokal per farsi un’idea di come i più arzigogolati filosofemi postmoderni possano essere facilmente spacciati per impenetrabili intuizioni riservate a pochi eletti. La conseguenza di questo tipo di scrittura, nota Graves, è proprio quella settaria, la formazione di conventicole incapaci di mettere in discussione questo o quell’autore semplicemente perché troppo incomprensibile per essere contraddetto.

L’uso piano e semplice della lingua di solito è scambiato per uso piatto e semplicistico. La piccola Anne Shirley, se non altro, era giustificata in quanto bambina orfana con un’immaginazione scatenata, ma perfino a lei sono bastati pochi anni di (buona) scuola per imparare che le circonlocuzioni gratuite, spesso, sono usate solo per mascherare pensieri confusi, irrequietezza o disonestà. In questo senso, è probabile che Graves avrebbe considerato larga parte della letteratura contemporanea pura retorica. Esita infatti a chiamare il «suo» inglese un inglese «letterario» poiché letterario è diventato sinonimo di: «affettato, smunto, forzato, snobistico». Vero è che la letteratura può anche essere sperimentazione o ibridazione di linguaggi diversi, come quello della poesia, ma, sostiene Graves, un vero scrittore deve sapere quando prendersi libertà con la lingua. Gli esiti dell’uso liberal e indiscriminato dell’inglese o dell’italiano portano spesso a risultati paradossali che ricordano la fiaba degli Abiti nuovi del Granduca: il Granduca è nudo ma le recensioni letterarie sono troppo pudiche per puntare il dito e dirlo, così finiscono col nascondersi a loro volta dietro uno scroscio di perifrasi per giustificare il presunto valore di romanzi la cui ampollosità serve solo a nascondere l’assenza di vita.

Essendo uno scrittore serio che ha cura sia del lettore che della lingua, Graves non si fa limitare dal timore reverenziale e nella parte conclusiva del saggio affronta un pezzo fondamentale della cultura letteraria americana, il discorso di Gettysburg del presidente Lincoln, ripulendolo dalla palta retorica e riscrivendolo (per la gioia della maestra di Anne Shirley) in prosa chiara, semplice e precisa.

In conclusione, più che un esercizio stilistico, la scrittura secondo Graves è quasi un esercizio morale. Avere empatia nei riguardi del lettore non significa compiacerlo o confortarlo, ma comunicare con lui attraverso una lingua onesta, senza cercare di vendergli sottobanco la nostra bravura, il nostro genio o il nostro ego, anteporre cioè la sua esperienza di lettura ai nostri interessi ombelicali. Puntare il dito contro il Granduca che sfila nudo in parata, inoltre, non è un reato di lesa maestà nei confronti della letteratura: solo semplice rispetto per la buona scrittura.

 

2 maggio 2022