Valerio Cappozzo – Elisabetta Menetti - Dialogo sull’universo femminile nel Decameron

 

EM

Vorrei affrontare con te la questione femminile nel Decameron di Giovanni Boccaccio, uno scrittore che, indubbiamente, amava l'universo femminile e la sua complessità.

Nel suo capolavoro novellistico Boccaccio dà vita ad una straordinaria galleria di personaggi femminili, tra luci ed ombre. Mi sembra che Boccaccio abbia voluto elaborare una sorta di paradigma della femminilità, passando in rassegna tutti i sentimenti che le donne possono sprigionare nelle due dimensioni che le contraddistinguono maggiormente, la sensualità e la maternità.

La descrizione delle donne del Decameron raggiunge una profondità mai sperimentata prima: donne vere (madri, figlie, sorelle, amanti) che sono al centro della vita dei loro uomini e, al contempo, donne superlative o super-eroine che agiscono oltre ogni umano sentire e oltre ogni umana possibilità. Donne, cioè, che superano ostacoli invalicabili e che superano prove di vita con intelligenza e furbizia, ma anche con umanità e saggezza.

Certamente, ci dice Boccaccio, esistono anche le donne 'bambe', quelle ingenue, stupide o superficiali: ma queste donne esistono per esaltare certe personalità indimenticabili come Beritola (II, 6), Alatiel (II, 7), Zinevra (II, 9), Ghismonda (IV, 1), Lisabetta da Messina (IV, 5), Madonna Filippa (IV, 7), Madonna Oretta (VI, 1), Peronella (VII, 2) Griselda (X, 10).

Non bisogna dimenticare, inoltre, che la brigata è a maggioranza femminile. Tra le sette giovani della brigata incontriamo Fiammetta, che è un mito esistenziale, la donna amata da Boccaccio, musa ispiratrice e personaggio letterario che dà vita al primo 'romanzo psicologico' della nostra letteratura, l'Elegia di Madonna Fiammetta (1343/344).

Fiammetta è la fiamma d'amore, la narratrice della celebre novella di Tancredi e Ghismonda e con lei ci sono Pampinea (autorevole e determinata regina della prima giornata), Filomena (regina della seconda giornata che inventa le giornate a tema e narratrice della novella di Lisabetta da Messina e di Madonna Oretta, tra le altre), Neifile (la 'nuova/giovane innamorata', regina della terza giornata), Elissa che ricorda Didone di Virgilio ed è la regina della sesta giornata), Lauretta (che ricorda Laura di Petrarca ed è la regina della ottava giornata), Emilia (regina della nona giornata). In fondo fanno quasi tutto loro: Dioneo, Panfilo e Filostrato reggono solo tre giornate! 

Pampinea detta le regole al gruppo con una certa risolutezza e capacità di governo. Sebbene dia ragione a Dioneo, che aveva invitato a vivere quei giorni di ‘fuga’ dalla città ‘tribolata’ in un clima di festa, chiede alla brigata di riflettere sulla organizzazione di una convivenza nata dalla necessità della storia: a Firenze c'è la peste, tutti i loro parenti sono morti e l'unica via di salvezza è la rinascita in un altro luogo (le colline di Fiesole) e in una nuova dimensione, quella che può nascere solo dall'immaginazione. All’inizio Pampinea può sembrare un po’ rigida ma la sua richiesta di ordine è anche un modo per proteggere le amiche e gli amici dall’anarchia e dal disordine. Così invita tutti a pensare che le «cose che sono senza modo non possono lungamente durare»: ordine e piacere non sono separati nel suo discorso (Intr. I giornata, § 95). Ma il suo lungo discorso punta a ricostruire un nuovo assetto etico in cui il ‘piacere’ è controllato dalle norme e da un nuovo ordine.

Il problema etico che si pone Boccaccio, rispecchiandosi nelle donne della sua brigata, è complesso: riconoscono la loro subalternità sociale e la loro debolezza caratteriale ma al contempo sono consapevoli della loro forza. Filomena, ad esempio, elenca una serie di difetti che sono tipici della letteratura misogina: ‘noi donne «siamo mobili, riottose, sospettose, pusillanime e paurose» (Intr. I giornata, § 75). Eppure sono le donne a dettare le nuove leggi e le nuove norme per raggiungere un obiettivo: stare insieme cercando di raggiungere dopo tanta sofferenza una onesta situazione di piacere e di condivisione ideale. Non è facile, effettivamente tenere insieme il piacere e l’onestà. Ad ascoltare solo Dioneo, probabilmente, l’esito sarebbe stato molto diverso. Non credi?

 

VC

Se a Dioneo fosse stato affidato il controllo della situazione probabilmente si sarebbe fatta sera tra il ‘sollazzare’, ‘ridere’ e ‘cantare’ senza alla fine poter riunire i loro racconti in un volume. Ma è lui stesso a dire: «Donne, il vostro senno, più che il nostro avvedimento ci ha qui guidati» (Intr. I giornata, § 92-93). L’ordine proposto da Pampinea e il piacere da Dioneo sono tematiche che sin dal Proemio vengono affrontate con particolare attenzione. L’ordine equivale alla scrittura del libro stesso, che Boccaccio tiene a ribadire, mentre il verbo ‘piacere’, le sue coniugazioni e i suoi derivati, è la parola che viene usata più spesso. Trovare ordine nel piacere e viceversa, è il punto di inizio della trattazione decameroniana e viene affidato ai due personaggi che li rappresentano. Pampinea, l’ordine, e il Dioneo-dionisiaco sono apparentemente opposti, questo non vuol dire che si contraddicano, ma significano la tradizione e la sovversione delle regole necessaria al conseguimento di un nuovo ordine. Lei regina della prima giornata, lui narratore delle ultime novelle di ogni giornata. Una donna anziana e saggia, un uomo giovane e moderno. ‘Veramente gli uomini sono delle femine capo’ (Intr. I giornata, § 76), risponde Elissa alla frase di Filomena che hai citato, aggiungendo: ‘e senza l’ordine loro rade volte riesce alcuna nostra opera a laudevole fine’. Il problema che si sta ponendo, sin dalle primissime pagine del Decameron, è il rapporto donna-uomo. Rapporto che si svilupperà, come vedremo, seguendo una sorprendente modernità alla quale non si addice affatto l’accezione di letteratura misogina.

 

EM

Concordo su questo aspetto, il rapporto uomo/donna. A ben guardare è lo stesso Boccaccio a porre il Decameron come il luogo dell’immaginazione delle donne malinconiche, che grazie alle novelle possono liberarsi dai propri affanni interiori. Dice di scrivere per le donne così ingiustamente colpite da una sorte che le vuole chiuse nelle loro camere così come nei propri pensieri, a differenza degli uomini, liberi di dedicarsi ad attività esterne. Anche le giovani donne di oggi, le nostre studentesse, restano affascinate da questo passo memorabile del Proemio in cui un uomo medievale dimostra una tale capacità visionaria da porre la questione sul confronto tra il mondo femminile e quello maschile in modo così chiaro e libero da condizionamenti.  Ma ciò che colpisce le giovani lettrici contemporanee è la chiarezza con cui lo scrittore descrive la condizione femminile, tutta chiusa in un mondo di attese e di solitudine in contrapposizione a quello maschile, tutto portato alle azioni che caratterizzano l’agire (la caccia, il lavoro, il gioco).

Come sempre accade è l’amore a cambiare le cose: non sempre gli uomini descritti da Boccaccio sono all’altezza delle prove d’amore. E, spesso, le donne dimostrano una scaltrezza amorosa e sessuale che alcuni uomini non riescono a raggiungere, e forse nemmeno a immaginare (si vedano le novelle di beffa delle mogli ai mariti). L’indubbia disparità di condizione sociale non sempre si traduce sul piano intellettuale. Anzi, per certi versi le donne (non tutte, ovviamente ma solo quelle che sanno amare) dimostrano intuizione, furbizia, sensibilità, coraggio e resistenza: tutte virtù che non sempre si trovano nei personaggi maschili. Vogliamo fare qualche esempio di confronti e opposizioni? L’impalcatura stessa della raccolta si regge sul confronto e sulla opposizione: Ciappelletto, il peggiore uomo mai nato sulla terra (I, 1) e Griselda, lo spirito divino (X, 10) tanto per cominciare. Ma qui le cose si complicano: Griselda è stata vista come una donna passiva, ma anche come una resiliente. A volte il dibattito si fa acceso su questa controversa figura femminile: è possibile subire le angherie di un pazzo misogino fino a quel punto, per poi vivere felici e contenti? Griselda, guardiana di pecore che diventa marchesa, è scaltra, folle o divina?

Ma andiamo per gradi: anche perché gli esempi sono tantissimi e concentriamoci sulle prime donne del capolavoro. Le donne-lettrici a cui Boccaccio dedica il suo Decameron: donne lettrici che si specchiano nelle sette narratrici della brigata.

 

VC

Le studentesse che oggi leggono il Decameron, sicuramente sorprese dalla modernità di Boccaccio, si domandano prima di tutto come realmente le donne vivessero nel Medioevo, al di fuori della letteratura e della villa nella quale trovano rifugio i dieci narratori. Si chiedono anche se il termine “modernità” sia oggigiorno appropriato. In uno dei miei corsi qui in America è stata recentemente sollevata questa questione: ‘da circa un secolo viviamo in quella stessa attualità che attribuiamo a qualche pensatore del passato, ma abbiamo diverse lamentele da muovere sulla rigidità del sistema sociale che non permette, ancora, che le pari opportunità siano interamente applicate’. Dunque, le questioni si concentrano sulla realtà di una condizione sociale e sul concetto di modernità visto che il moderno non sembra del tutto raggiunto. Anche Dante – o chiunque sia l’autore della XIII epistola a Cangrande della Scala – scrive che il linguaggio usato nella Divina Commedia, il volgare, è comprensibile anche dalle donne, meno esposte alla socialità del volgo.

La femminilità, sin dalla letteratura provenzale dell’XI secolo, viene esaltata con l’amor cortese, dove il sentimento d’amore ha i tratti femminili dei quali i cavalieri cercano di emulare le virtù; viene poi raffinato dalla Scuola Siciliana attraverso il concetto di elevazione che può attuarsi quando l’uomo riesce ad ammansire l’istinto e il desiderio carnale intraprendendo un percorso spirituale che lo faccia sentire al pari della donna e così a lei vicino; infine, passando per il ‘dolce stil novo’, arriva all’opera dantesca dove queste tematiche raggiungono un’intensità estrema a causa della morte della donna e del percorso che l’uomo deve fare per raggiungerne il livello di trascendenza e di grazia per poterla rincontrare, o in altre parole per poter essere alla sua altezza.

Il Decameron, come hai sottolineato, si apre con la novella di Ciappelletto, ‘il piggiore uomo forse che mai nascesse’, mentre la prima donna a essere protagonista di un racconto è la marchesa di Monferrato (I, 5), colei che riesce a reprimere il desiderio d’amore del re Filippo Augusto di Francia, servendogli a pranzo unicamente galline. Alla domanda maliziosa del sovrano, se ci fossero anche dei galli in quei luoghi, insinuando a una presenza maschile vicino alla marchesa, pur sapendo ch’era sposata, ella risponde che tutte le donne, anche di diversi ceti sociali, sono uguali e non è un gallo (con l’ambiguità del termine che può voler anche significare un uomo francese) a renderle differenti, raffreddando il desiderio del re che, avendo capito che il menu nascondeva quel messaggio ben preciso, va via. Se la poesia provenzale aveva come tema l’impossibilità dell’amore dato dalla lontananza dell’amata, o dal ruolo sociale irraggiungibile da uno dei due innamorati (povero-ricca, servitore-regina), Boccaccio ribalta completamente le strutture poetiche dando alla donna il dominio della situazione con le virtù di ‘savia e avveduta’, nonché sottolineando la fedeltà che mantiene nei confronti del marito. Questo capovolgimento delle dinamiche della poesia francese rendono la marchesa una donna più aderente al reale, a una condizione storica concreta che ha scaturito la domanda delle mie studentesse e dalla quale non ci possiamo distaccare troppo con il rischio, se sei d’accordo, di edulcorare un racconto letterario come quello di Boccaccio che, in una cornice di finzione, nasconde degli elementi fortemente realistici sui quali vale la pena ragionare.

 

EM

Le figure femminili descritte nel Decameron sono una proiezione fantastica dell’autore, che amava le donne in tutte le loro molteplici sfumature. La marchesa di Monferrato (I, 5) rappresenta l’ideale di donna indipendente e originale, che nemmeno un re riesce a dominare. Così è anche Madonna Oretta (VI, 1), che, con una battuta memorabile, si libera da uno spasimante troppo invadente, e, soprattutto, petulante. Allo stesso modo Griselda (X, 10) è una pecoraia che resiste alle angherie di un marchese misogino oltre ogni umana comprensione. Non sono certa che Boccaccio abbia voluto descrivere la realtà ma che l'abbia immaginata in modo del tutto nuovo e forse, per certi aspetti, in modo ideale. Dalla fantasia di un uomo orfano di madre è emersa una idea di femminilità dalle virtù eccezionali ma anche dalla forte carica sensuale, positiva e solare che si contrappone sia alla condizione femminile dei sermoni dei predicatori, in cui la sensualità, sempre colpevole e 'diabolica', è una evidente ripetizione delle rappresentazioni medievali del peccato originale di Eva. L'esempio della marchesa di Monferrato è bellissimo: in questo caso Boccaccio 'gioca' con una dei testi più celebri del tempo: il codice dell'amore cortese che aveva preso vita nelle corti francesi e nei romanzi di Chrétien de Troyes, in cui un intero sistema emotivo e passionale aveva ridisegnato le relazioni amorose aristocratiche. Qui il gioco si fa sottile perché nel comportamento del re 'acceso' sessualmente dalla donna (e che aveva pensato addiruttura di 'prenderla con la forza' contro il suo volere) non c'è più spazio per questo rapporto 'vassalatico' d'amore: infatti la donna si rifiuta, ma a parole. Tuttavia quale donna 'reale' avrebbe potuto farlo o solo pensarlo? E quale uomo si sarebbe fermato di fronte ad una sola battuta?

Se vogliamo raggiungere la vetta di questo immaginario femminile che si colloca nell'iperuranio reale, possiamo commentare insieme, per concludere il nostro dialogo, il rapporto padre e figlia e la stupefacente novella di Tancredi e Ghismonda.   

 

VC

L’immaginario, il mondo delle idee, rappresentati in letteratura come fossero il reale, sono proporzionali al grado d’incomprensione e assurdità del vissuto. Quello che non si riesce a capire o quello che non si accetta viene, anche nella letteratura medievale in volgare, allegorizzato proprio per metterlo sulla scena con tutte le considerazioni che ne conseguono. Il simbolismo della ‘selva oscura’ o del giardino edenico fuori Firenze dove passano le loro giornate i narratori del Decameron, serve a introdurre il lettore non solo al piano narrativo, quindi di finzione, ma anche a metterlo in condizione di intuire quello che si cela dietro alla necessaria fantasia dello scrittore. La letteratura trasforma gli impulsi in azioni, i desideri in narrazioni, e le proiezioni fantastiche di Boccaccio, siano sulle donne o sugli accadimenti del suo tempo, rivelano il bisogno di una discussione, di una presa di coscienza di fenomeni che non sono puramente inventati, ma sono avvertiti come plausibili. Spesso ancora acerbi, come appunto la condizione della donna, ma valevoli di attenzione perché maturi nella loro importanza. Per questa ragione nel Decameron ci sono diversi piani narrativi, quello in cui l’autore confessa le ragioni dell’opera e quello dei narratori che introducono l’ultimo, quello delle novelle.

Il velo che separa il reale dal verosimile in un’opera letteraria corrisponde, in certa misura, allo schermo cinematografico e alla realtà dello spettatore. Nella novella di Tancredi e Ghisomonda (IV, 1), rappresentata dai fratelli Taviani nel loro Maraviglioso Boccaccio (2015), la donna protagonista esce dal racconto per parlare con le narratrici della brigata. Questo espediente, il dialogo meta-letterario, corrisponde alla “realtà” storica della condizione della donna sulla quale Boccacio sta ragionando. Come se dovesse uscire da un filtro impostole, la donna si trova, a metà del XIV secolo, a essere idealizzata non grazie a un’alta considerazione che si aveva di lei, ma proprio per l’esatto contrario, per una deficienza sociale nel sapersi relazionare tra uomo e donna. Ecco perché i personaggi femminili del Decameron, o almeno gran parte di loro, sono caratterizzati dall’inventiva, dalla scaltrezza, mentre gli uomini si riducono solitamente alla macchinazione delle situazioni per raggiungere e soddisfare il loro desiderio. Questo è forse un elemento che corrisponde di più alla realtà del tempo, difatti vengono descritti come ottusi senza il coraggio di credere al sentimento e alle parole degli altri, nemmeno di una figlia. Questa è la tragedia che porterà la povera vedova Ghismonda al suicidio, bevendo il veleno dalla coppa in cui il padre Tancredi le fa recapitare il cuore dell’amato di cui ha ordinato l’uccisione. Ma anche le donne non vengono risparmiate quando si comportano immoralmente, come nella novella di Elena e Rinieri (VIII, 7), dove è lei a essere beffarda, sadica nel far soffrire l’uomo innamorato. Ma c’è una differenza sostanziale: Tancredi perde una figlia a causa della sua durezza e mancanza di comprensione; Elena, invece, dopo le traversie che fa passare a Rinieri e al suo amante, ‘e di beffare e d’amare si guardò saviamente’ (VIII, 7, §148), sembra capire e e redimersi.

Nel Corbaccio, testo posteriore alle dieci giornate, la tematica si sviluppa parallela a quest’ultima novella. Il protagonista, innamorato di una nobildonna vedova che non ricambia il sentimento, dialoga in sogno con lo spirito del marito defunto che lo mette in guardia dal labirinto d’amore nel quale è intrappolato. Si muove nel racconto una feroce critica alle donne accusate di iniquità, di lussuria e malvagità, ma l’autore sempre sottintende che gli uomini, quando non mantengono il controllo della situazione, scatenano una tale confusione da diventare vittime dell’amore rendendo le donne carnefici. Proprio come abbiamo citato all’inizio di questo dialogo, le parole di Elissa confermano ancora una volta il punto cardine sul quale stiamo ragionando, quello dell’equilibrio irraggiunto nel rapporto uomo-donna: ‘senza l’ordine loro rade volte riesce alcuna nostra opera a laudevole fine’ (Intr. I giornata, § 76).

 

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Le donne soffrono d'amore e sono rinchiuse in un carcere domestico dal quale possono evadere solo con l'immaginazione. Sono tanti gli esempi che possiamo fare ma voglio concentrarmi su Lisabetta da Messina, una giovane donna innamorata e infelice. I fratelli le uccidono l'amante perché questo rapporto clandestino disonora la famiglia. Non le dicono nulla ma Lisabetta comprende l'orribile assassinio: ha una visione in sogno, vede il fantasma dell'amato che le rivela il luogo in cui è sepolto. Gli occhi di Lisabetta sono sempre colmi di lacrime ma sono lacrime che curano: trovato il cadavere Lisabetta lo cura con le sue lacrime. Prende solo la testa e la mette in vaso, in cui pianta il basilico. Tutti i giorni annaffia con le sue lacrime il basilico che diventa profumatissimo. La violenza familiare è doppia: i fratelli vogliono annientare la sorella e le tolgono anche il vaso. E ciò che mi colpisce in questa storia di sopraffazione domestica è il sogno rivelatore di Lisabetta che non smette di fantasticare e di amare, oltre ogni possibilità umana.

 

VC

Il sogno è un elemento narrativo molto importante. Al risveglio Lisabetta si reca nel luogo rivelatole e, come hai detto, pur di rimanere vicina all’amato ne preleva la testa, l’avvolge in un ‘drappo’ e la mette in un ‘testo’ di basilico che innaffierà con le proprie lacrime. Il ‘drappo’, con il significato di veste o più propriamente di velo, è un prestito dantesco che proviene dal primo sonetto della Vita nova nel cui sogno Amore tiene ‘Madonna involta in un drappo dormendo’, ovvero Beatrice, la donna per eccellenza della letteratura italiana. Questo velo è a sua volta citazione da Macrobio, il commentatore del famoso Somnium Scipionis di Cicerone, dove il ‘velamen’ è la linea di demarcazione tra la realtà e la visione. La distinzione tra il velo corneo da cui passano i sogni veri e quello d’avorio che invece li ostruisce, ha un’origine letteraria che risale a Omero e a Virgilio e trova riscontro nella tradizione onirocritica utilizzata da Boccaccio. Questi la affida a Lisabetta che, con le sue intuizioni, deposita nel ‘testo’ ­– in un vaso ma anche nel racconto – antichissime tecniche profetiche di cui solo le persone elette sono a conoscenza. Ancora una volta sarà l’ottusità maschile, dei fratelli in questo caso, a distruggere ogni speranza e sogno d’amore. Forse, possiamo a questo punto affermare che uno dei pochi autori in grado di intendere l’essere umano nella sua totalità è proprio Boccaccio, lo scrittore che capiva le donne.

 

EM

Secondo te è possibile parlare di queste donne come se, in fondo, le conoscessimo e facessero parte della nostra famiglia? Così fantasiose, inquiete, forti e fragili ma così vere da sentirle fisicamente sempre con noi? Può un personaggio letterario essere vero come una persona? Secondo me sì: Fiammetta è una narratrice che sogna e inventa, e noi la ascoltiamo perché la sentiamo vicina e autentica. In fondo, si può anche discutere con i propri personaggi: non sempre aderiamo alle loro decisioni, che, spesso, non approviamo. Ma è così che si vive la letteratura e la letteratura continua a vivere: partecipando alle avventure di tutti, come se fossero le nostre.

 

VC

Sono d’accordo con te e anche rigirando la tua domanda la risposta non cambia: può una persona essere come un personaggio letterario? Secondo me sì. Ognuno di noi conosce o ha conosciuto delle persone che per le loro storie e caratteristiche possono essere definite ‘letterarie’. In fondo la vita di ognuno è come un romanzo di formazione, nell’accezione che attribuiamo al genere narrativo, ossia quella di seguire lo sviluppo del personaggio nelle diverse fasi della vita. C’è poi da considerare che la letteratura italiana esordisce con un’opera in cui l’ambiguità tra il personaggio e l’autore Dante, che parla in prima persona, porta a leggere il dialogo come se il lettore ne facesse parte. C’è un’identificazione immediata con le domande che Dante pone o riceve dai vari personaggi, quesiti che una volta letti stimolano la nostra voce a sovrapporsi a quella del testo. Pensiamo all’incontro con il conte Ugolino che, riferendosi alla sua storia appena narrata chiede: ‘e se non piangi di che pianger suoli?’. Immediatamente ci poniamo la stessa domanda partecipando, volenti o nolenti, alla narrazione. Questa modalità letteraria che caratterizza il testo dantesco la ritroviamo in Boccaccio che firmando il Proemio fa un’operazione simile smascherando la finzione letteraria svelando, infatti, al lettore le ragioni dell’opera e quindi permettendogli di avvicinarsi al testo con la consapevolezza autoriale e così ad affrontare la lettura. Saranno poi i personaggi, di volta in volta, a introdurlo nel vivo delle storie facendolo affezionare o ripugnare. Anche il fatto che i dieci narratori devono allontanarsi dalla città nella quale vivono, può essere inteso dal lettore come il suo stesso momento di fuga dalle problematiche della quotidianità, ritrovando nel rifugio edenico della villa fiesolana il posto ideale che la stessa lettura aiuta a raggiungere.

Ma la letteratura soffre del fatto che la vita è spesso più fantasiosa, più imprevedibile di ogni storia raccontata. Così dicendo la letteratura diventa il regno del probabile che da quello del possibile, dalla vita, prende le dinamiche elevandole a situazioni particolari. Forse è proprio questo che fa Boccaccio con il suo Decameron dando alle donne una posizione di rilievo, permettendoci anche oggi di continuare a interrogarci sugli equilibri sociali che sono sempre delicati perché dipendono dall’inclinazione comune a comprendere il genere umano nella loro complessità e diversificazione.

 

24 marzo 2020