Palazzo Dal Monte Gaudenzi fu costruito nel 1529 da Andrea da Formigine per Panfilio Dal Monte. L'edificio passò nei secoli sotto vari proprietari fino al dicembre 1972 quando il prof. Augusto Gaudenzi donò il palazzo all'ateneo bolognese per destinarlo agli studi di storia del diritto.
L'edificio vanta uno stile bolognese rinascimentale sofisticato con una loggia elegante, colonne doriche, portici, decorazioni in gesso e opere d'arte di Gaetano Gandolfi e Serafino Barozzi.
Laureatosi in medicina e filosofia, nel 1510 Panfilio Dal Monte ottenne una cattedra all'Università di Bologna, dove insegnò per diciotto anni con sommo credito. Nel frattempo, più precisamente il 17 febbraio del 1517, il professore aveva acquistato l'elegante palazzo, allora di epoca romana, dalla famiglia Vitali, pagandolo una cifra pari a 1.830 lire.
Su richiesta di Panfilio, i lavori di ristrutturazione vennero avviati ufficialmente sei mesi dopo, ma alcuni documenti accertano che, dieci anni più tardi, gli operai erano ancora al lavoro sulla facciata del palazzo. Difficile stabilire con certezza a chi fu affidata l'opera di restauro: l'ipotesi più accreditata attribuisce la paternità della facciata all'artista modenese Andrea Marchesi da Formigine, con la probabile collaborazione del più noto architetto Baldassarre Peruzzi, a cui si fa risalire il progetto dell'edificio, che mostra infatti alcune affinità con altri palazzi bolognesi dello stesso artefice.
Gli imponenti lavori si conclusero solamente nel 1529, permettendo finalmente al docente di trasferirsi nel raffinato edificio, ma questi non vi si trattenne per molto: infatti appena tre anni più tardi, fu chiamato ad insegnare all'Università di Padova, dove restò fino ai 1534. Solo nel 1552, Panfilio si stabilì definitivamente a Bologna, dopo numerosi spostamenti fra i diversi atenei, per poi morire nell'anno successivo.
Forse a causa di questi continui trasferimenti, Dal Monte trascurò gli interni del suo palazzo che non fece decorare, e che decise di vendere a Vincenzo Fontana per 11.000 lire, tre anni prima della sua morte.
Il fabbricato passò poi nelle mani della famiglia Angelelli (1561), che però non vi apportò modifiche rilevanti, fino al 1744, anno in cui il marchese Roberto cedette l'abitazione a Biagio Monari, grosso proprietario terriero e affarista, e, successivamente, al figlio Stefano.
Sotto il possesso della famiglia Monari, cui è dedicata la via alla destra del palazzo, vennero realizzate modifiche di notevole importanza: l'edificio fu ampliato sul retro e sul lato sud dopo avere ottenuto l'autorizzazione del Senato; gli interni subirono cambiamenti radicali: i saloni vennero riccamente decorati con i bassorilievi in stucco dal capomastro Giovanni Storni e con i dipinti dei fratelli Serafino e Giuseppe Barozzi; venne realizzato l'affresco raffigurante il ratto di Deianira (la sposa di Ercole) nei grande sfondato ottagonale dello scalone ad opera di Gaetano Gandolfi. Anche gli esterni subirono alcune modifiche: furono rimossi dagli ornati del portico e dal cornicione gli stemmi della famiglia del Monte (sei colli e tre gigli), venne aggiunto il balconcino frontale, il loggiato nei giardino interno e, infine, il palazzo venne sopraelevato con l'aggiunta di un piano superiore leggermente arretrato in stile tardo settecentesco.
L'immobile restò di proprietà della famiglia Monari fino al 1810, quando fu venduto ai fratelli Fioresi per 24.300 lire. Dopo vari passaggi, Palazzo Dal Monte è arrivato nelle mani dell'ing. Ruggero Gaudenzi (da cui deriva il secondo appellativo dell'edificio) che l'ha poi ceduto all'Università degli Studi di Bologna, l'attuale proprietario. In questo momento, il palazzo è sede del CIRSFID.
2 - Esterno - Facciata
Il palazzo si trova in via Galliera, al tempo soprannominata Canal Grande di Bologna. Nata come cardo massimo in epoca romana, questa strada è sempre spiccata per l'eleganza e la raffinatezza dei suoi palazzi e, anche ai giorni nostri, continua a distinguersi per la sua importanza.
Questo edificio ha un impianto architettonico cinquecentesco sobrio ed elegante che lo contraddistingue da tutti gli altri palazzi della via.
Il corpo originale in laterizio con membrature in arenarie risalta per le sue linee pulite. Nella parte inferiore, ben rialzata rispetto alla strada, vi è un portico di cinque arcate sorrette da pilastri in muratura ai quali si addossano colonne di ordine composito: una sintesi di quello dorico e corinzio. Su di esse corre una trabeazione piuttosto sporgente dove poggiano le finestre del piano nobile su cui si elevano frontoni curvilinei in arenaria. Anche le finestre sono inquadrate da semicolonne di ordine composito che sembrano formare un prolungamento di quelle inferiori.
La trabeazione con un ampio fregio e delle mensole scolpite completa la costruzione. Il piano inferiore, invece, non è di nessun interesse artistico.
Durante una seconda ristrutturazione, avvenuta nel tardo Settecento, fu costruito nella parte centrale un balconcino a balaustri a discapito dello stemma della famiglia del Monte, raffigurante sei colli con tre gigli, che fu eliminato. Inoltre, si procedette alla sopraelevazione del palazzo sul quale venne innalzata una piccola torre e, infine, all'ampliamento dell'immobile lungo il vicolo del Cafecumeno, la strada che costeggia a sud la residenza.
3 - Scalone
La scalinata che porta al piano superiore è una delle parti più affascinanti di Palazzo Dal Monte. Salendo le scale l'attenzione viene subito catturata dall'affresco nel grande sfondato ottagonale. Quest'opera venne realizzata da Gaetano Gandolfi (1734-1802) nel corso di uno dei numerosi restauri a cui è stato soggetto questo palazzo, questa volta per conto del nuovo proprietario Stefano Monari, fra il 1782 e il 1787. Questo affresco raffigura il Ratto di Deianira. Secondo il mito la donna, sposa di Ercole, venne rapita dal centauro Nesso, ma il semidio lo rincorse e riuscì a trafiggere il rapitore con una freccia. In punto di morte il centauro diede a Deianira un'ampolla contenente il suo sangue, spacciandola come un potente filtro d'amore. Però quando la donna spalmò questo unguento sul suo amato, si rivelò essere un potente veleno ed egli morì bruciato fra atroci sofferenze. Impressionante è come l'artista abbia reso perfettamente l'idea di movimento e come sia riuscito attraverso effetti prospettici a dare realismo alla sua opera anche se vista da una posizione svantaggiata. Altra opera che colpisce subito è la statua posta al centro dello scalone. Questa statua, rivisitazione di una statua del Il secolo d.C. situata a Firenze, rappresenta un satiro, proveniente probabilmente dal mito di Pan, nell'atto di suonare ì cembali mentre tiene il ritmo con un sandalo. Per tutta la scalinata corrono anche fregi decorativi, principalmente decorazioni floreali in stucco ma anche in finto stucco e losanghe, in particolare ai quattro angoli della sala si trovano quattro aquile in stile rococò. Sulle pareti si trovano tre finestre, ma una di queste, quella frontale, è finta in quanto si apre su un'altra sala.
4 - Sala Kelsen
La sala Kelsen si affaccia su via Galliera e fa angolo con via de Monari.
Osservando i soggetti rappresentati in questi affreschi possiamo dedurre che, con tutta probabilità, questa fosse la sala dedicata alla musica.
Innanzitutto possiamo notare dei putti nell'atto di suonare e cantare. Al centro inoltre viene rappresentata adagiata su vaporose nuvole una donna, identificabile forse con una Musa, intenta a suonare la lira. Infine sopra le porte e le finestre vengono personificate le quattro stagioni, soggetto che vedremo secondo un'altra raffigurazione nella sala d'oro.
Ciò che caratterizza veramente questa sala sono gli stucchi, collocati sia nella porte sia nelle campiture del soffitto. Ad un attento esame si nota che le decorazioni, che circondano le pareti non sono stucchi, ma pitture. Per realizzare queste pitture sono state utilizzate le tecniche dell'illusionismo prospettico e della policromia, in particolare nelle cornici. Ed è proprio in queste cornici che si ritrovano gli stilemi floreali e le chimere, soggetti che abbiamo già visto precedentemente nello scaloncino.
Le quadrature sono senza alcun dubbio del Barozzi. Di attribuzione incerta è il dipinto centrale.
Infine, un altro elemento di grandissimo pregio che rende questa sala particolarmente mirabile è indubbiamente il pavimento, a veneziana tipico dei palazzi bolognesi del tempo.
5 - Sala rossa
La sala rossa è affrescata prevalentemente sul soffitto e ha le pareti ricoperte di tessuto rosso.
Il soffitto non è piano, ma è leggermente arcuato e segue lo schema dell'arco a sesto ribassato.
Nella parte centrale del soffitto si può notare un affresco avente forma circolare. Quest'ultimo affresco rappresenta quattro putti che reggono un telo a righe blu e bianche. I tratti anatomici dei putti presentano arti grossi e sproporzionati.
Ai lati del grande rosone dipinto al centro vi sono finti stucchi in bicromia bianche e nera e dei dipinti di scene campestri e agresti. Alle parti i dipinti sono divisi da sottili stucchi e riquadri che danno quasi l'impressione di una cornice. Queste cornici sono impreziosite con della pittura dorata. Questo schema viene ripreso anche per incorniciare e reggere il tessuto rosso alle pareti. Il tessuto non è uniforme, ma presenta dei disegni floreali che ornano le pareti. Il tessuto mantiene una colorazione rossa e il disegno è riprodotto usando direzioni diverse della trama e con fili più o meno lucidi.
6 - Sala d'oro
La sala d'oro è una delle stanze più eleganti, probabilmente era la camera da letto dei proprietari.
L’affresco che troviamo sulla cupola è quello meglio conservato: rappresenta Diana (la dea della caccia) con i suoi segni distintivi, ovvero impugna nella mano destra l'arco e alla sua sinistra è raffigurato il cane. Ai lati della quadratura troviamo balconate in balaustrini con alle spalle colonne doriche e decorazioni a cassettoni e rosoni. Tutto è sormontato da pilastri curvi che si inarcano fino a una cupola, dando l'effetto del "trompe-l’oeil", così da apparire ai nostri occhi molto più profonda di quanto sia in realtà e i pilastri curvi conducono il nostro sguardo dalla parte opposta della cupola. Sui parapetti, ai punti cardinali, troviamo quattro putti che rappresentano le quattro stagioni. Troviamo a destra la primavera (con i fiori), a sinistra l'autunno (con l'uva), di fronte l'estate (con le spighe) e dietro l'inverno (con le gote rosse).
Troviamo, inoltre, le quattro aquile ad ali spiegate, come quelle nello scaloncino, elemento che si ricollega al gusto chiamato archeologismo. Sopra le tre porte troviamo tre interessanti affreschi in bicromie tutti rappresentanti putti in posizioni diverse con decorazioni floreali, racchiusi da una cornice sempre in bicromia a losanghe e rosette. il sovrafinestra riprende la bicromia dei sovraporta, rappresentante decorazioni floreali racchiuse sempre con una cornice a losanghe.
7 - Sala Testi Civilistici
L'archivio si affaccia su Via Monari e Via De Corighi sul lato opposto rispetto la facciata. Questa sala è ancora oggi adibita ad archivio ed è proprio questo che costituisce il suo enorme valore. I tomi conservati, principalmente di argomento giuridico, sono originali e risalgono al Cinquecento.
Un'altra peculiarità di questa sala è il parquet, anch'esso originale del Cinquecento e recentemente restaurato. Fu costruito con il metodo dell'epoca, che consisteva nello stendere sul pavimento un primo strato di assi su cui poi, grazie a uno strato di pece, venivano incollate a mosaico le assi del pavimento vero e proprio.
8 - Sala Russell
Recentemente ristrutturata e inaugurata a ottobre 2009, la sala è stata dedicata a Bertrand Russell, famoso filosofo, logico, matematico, attivista e saggista. La sala è spesso utilizzata per seminari e lezioni e ha una capacità di circa 30 persone. Si trova al piano terra.