Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno è nato a Napoli il 15 febbraio 1975. Si è laureato e addottorato in Letteratura Italiana a Napoli, presso l’Università L’Orientale. Ha esordito in poesia nel 2001 con la silloge Il mattino della scelta nel VII Quaderno Italiano di Poesia contemporanea, curato da Franco Buffoni. La prima pubblicazione autonoma è Mattinale (Sometti, Mantova 2002) che rielabora materiali della silloge precedente e ottiene il premio Andes. La seconda edizione di Mattinale viene pubblicata nel 2006 presso l’editore Caramanica di Marina di Minturno (Lt), nella collana diretta da Rodolfo Di Biasio, ottenendo il Premio Calabria. Nel 2007 esce il secondo libro organico, Formazione del Bianco, già finalista al premio Sandro Penna l’anno prima, con la prefazione di Stefano Dal Bianco per l’editore Manni di Lecce. Nel 2010 viene pubblicato il terzo libro, La Nudità, per l’editore peQuod di Ancona, con un breve saggio conclusivo di Fernando Marchiori. Nel 2013 pubblica Qualcosa di inabitato, a quattro mani con Carla Saracino, per le edizionI EDB di Milano, con una breve nota introduttiva di Mary Barbara Tolusso. Le poesie di questa silloge sono incluse nel suo quarto libro organico, Fermata del tempo, edito da Marcos y Marcos di Milano nel giugno 2015, con la prefazione di Umberto Fiori. Il libro ha ottenuto il premio nazionale di Calabria e Basilicata. Suoi testi sono tradotti in inglese e spagnolo. Come critico, tra il 1998 e il 2000, ha collaborato all’annuario “I Limoni” sotto la guida di Giuliano Manacorda, ha pubblicato il volume ”Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi cognitivo comportamentale dei disegni letterari e delle fonti autobiografiche della tradizione (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Si è occupato di linguistica e ontologia leopardiane, di Gadda, Montale, della poesia post-avanguardista italiana, di Claudia Ruggeri con saggi e articoli pubblicati su «Testo a fronte» e sugli «Annali» dell’Università l’Orientale di Napoli. Dopo circa un decennio di collaborazione universitaria, attualmente insegna nei licei e in università private. Vive tra Anzio, Roma e Gaeta.

Contabilità infinita (Annum per annum)

 

Gli anni mi si siedono davanti.
Sui sandali, vestiti da padroni.
Parlano.

Ci hai portato a palazzo, ti abbiamo vaccinato,
come un pezzo d’avorio infarinato
di segale ferrigna e minestra di dolori,
e noi a farti da balia, perché non ti perdessi,
mentre tutto era contato, era meno di niente, e tu
squadernato di smanie, senza frutto, senza onore,
una scopa col manico di sale.

Hai vissuto in stratosfera, hai muggito
credendo a ogni fuoco castrato in desiderio,
e  il tuo tempo, smisurato, fu una fede
messa al dito per dispetto, l’hai pestato
nelle corse di notte, con le donne degli altri,
con le droghe e le toghe di cui si veste chi è doloso.

Ora vengono i treni pieni d’altri messi male:
l’odore di vergogna, il sudore del paesaggio,
cemento dentro e fuori, l’inferno incatenato
momento per momento. Dappertutto,
un diamante sfiorito nel suo osso.


Ecco cosa ripetono i miei anni.

Non posso rinfacciare. Non ringrazio, non ho vita
da opporre alla fatica. Solo che non duri
il silenzio di quanto mi ha scaldato. Che il teatro
non mi resti sulle spalle senza attori.
Che non debba mangiarla fino in fondo
l’ortica che ho piantato sui miei passi.
E che Dio, in eterno, mi perdoni.

(Da Fermata del tempo, Marcos y Marcos, Milano 2015)