Riccardo Emmolo

Riccardo Emmolo è nato a Scicli nel 1951. Vive a Modica, dove insegna in un liceo pedagogico. Con l’editore Moretti & Vitali ha pubblicato Ombra e destino e altre poesie (2002), Ti parlo (2012) e un libro di saggi, Memoria e cecità (2010). Della sua poesia si sono occupati, tra gli altri, Giancarlo Pontiggia, Rosita Copioli, Giuseppe Conte, Sauro Damiani, Antonio Sichera, Marco Vitale, Milo De Angelis, Alessandra Paganardi, Franco Romanò, Luigi Picchi, Giuseppe Traina, Elio Grasso, Gianfranco Lauretano e Giuliano Ladolfi.

Luce siciliana


Quando i fichi cominciano a colare
la luce siciliana apre l’essenza 
del cielo, scioglie in polline il mare
le cicale accentuano la cadenza.


Pende il giorno, l’inzolia matura
scende nella memoria di paesi
che si chiamano Sampieri, Chiafura:
bimbi scalzi, vecchi stereo accesi.


Poi l’uomo del giocofuoco regala
alla notte un toupet di faville
e l’ultima goccia di luce scala
la gioia in cima alle nostre pupille.


Da Ombra e destino e altre poesie

(eccomi, ti porto le prime margherite)


Eccomi, ti porto  le prime margherite
e la candida austerità della calla


i minuscoli soli della mimosa
già tutti esplosi a gennaio


la scorza bruciata di un carrubo
e il tepore della guancia di mio figlio


la gratitudine della pelle
per le carezze notturne di mia moglie.


Altre offerte non ho
né so quando tornerai.


Da Ombra e destino e altre poesie

(cielo di Sicilia mai sazio)


Cielo di Sicilia mai sazio
di voli, di sale, di cenere:
in quale nido del tuo spazio
è andata a riposare Venere?


All’alba è sparita oltre le onde
nelle profondità della luce:
mentre noi vegliamo si nasconde
solo quando dormiamo riluce!


Da Ombra e destino e altre poesie

Giorni del Novantuno


Giorni del novantuno quando
i bambini volavano con l’altalena
gli gnomi ricevevano le fatine
alle pendici del grande cipresso
Billy correva abbaiando alle galline
vitellini e pecorelle pascolavano
sul prato di padouk dello studio
nel forno i pasticci di melanzane
il nonno disponeva le posate
e nella notte di gelsomino s’udiva
alto sulla marina il giocofuoco 
e gli anni sembravano aspettare
a palate e da qualche parte
forse con le dita intrecciate
sul manico d’argento del bastone
Donna Grazietta Grimaldi.


Da Ti parlo

Hotel Zagarella


Quella gita al liceo, quel gioco
a definirla con un aggettivo
e al tua «materna» un pizzicotto
sulla gamba disse che non voleva
solo questo, ma a te questo bastava –
la dolcezza, la meraviglia
di essere capito e accolto
tu in fuga dalle liti in famiglia
in lotta contro borghesi e parvenus
marxista immaginario che amavi
di nascosto Dostojevski e Camus.


La gita a Palermo, l’anno dopo
e quella sera all’hôtel Zagarella
tutti sul terrazzino a ballare
sussurri  nel buio fresco e salino
(sorelle lampare, mare di stelle!)
quegli occhi accarezzavano, imploravano
ma tu esitavi, ti faceva paura
quella dedizione così sicura
di sé: quell’onda di beatitudine
davvero era gratuita? Avrebbe
cancellato davvero la solitudine? 
E mentre la tua mente indagava
il tuo cuore garriva nel buio,
lucciolava sul mare.


Da Ti parlo

La civetta


La civetta che ogni mattina ti aspetta
in cima alle scale del terrazzo
assorta, un po’ sdegnosa, eretta
come una regina, senza imbarazzo


per la tua presenza, anzi curiosa
quando la saluti aprendo la porta
e ti osserva dall’alto paciosa
con la testona leggermente storta


che quando ad ottobre sei venuta
ad abitare la casa e il giardino
uscendo una sera restasti muta
come di fronte a un prodigio divino


e osservando come ti osservava
avvertisti una strana empatia
forse era te che aspettava
aspettava la tua compagnia.


E chi poteva dirlo che non fosse
la reincarnazione di qualcuno?
Tu volevi sapere a chi pensassi
e io subito mentii «a nessuno»


per non far divampare il dramma
che cova in fondo al tuo cuore
il ricordo troppo vivo di mamma
che nutre in segreto il tuo amore.


Ma ora sei in ansia perché manca
in cima al terrazzo da qualche sera
con la sua voce rauca e stanca
la nostra misteriosa messaggera.


Un po’ è come te, mi dico, uccello
dal piumaggio crepuscolare apparso
nella mia vita come un gioiello
fonte segreta in un terreno arso


che sprizzi fuori con la fantasia
ti alzi in volo e rapidamente
trasporti anche me nella poesia
senza parole, dove non c’è niente


che intralci lo slancio verso Dio
che io non vedo se non nel tuo
volto sorridente, nel gorgoglio
perlaceo del tuo riso, nel tuo


consegnarti gioiosa alla vita
al dolore che brucia e atterra
all’amore che sempre ci invita
a superare il cielo e la terra


fin quando al di là della parola
al di là del pensiero e dell’azione
nel crogiuolo, nell’infinita spola
delle cose si aprirà la visione.


Così un mattino uscendo fuori
per togliere dalla porta la stanghetta
vedrai sopra i rampicanti e i fiori
tornata sulla scala la civetta.


Da Ti parlo