Pietro Russo

Pietro Russo vive a Catania. Si occupa di poesia collaborando con riviste, siti e piattaforme digitali. Ha pubblicato il saggio "La memoria e lo specchio. Parole del Petrarca nella poesia di Vittorio Sereni (2013)".
Nel 2016 ha pubblicato A questa vertigine (Italic Editore), che ha vinto il Premio Violani Landi per la sezione opera prima. È socio fondatore del Centro di Poesia Contemporanea di Catania e responsabile delle attività culturali del comitato catanese della Società Dante Alighieri.


 

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A Damasco, il giorno che la luce sfondò lo spazio
c’ero anche io. Ero il terzo incomodo, l’intruso
dietro il pezzato che alza lo zoccolo,
quello che entra per sbaglio nelle foto.
Deve essere stato forte davvero il flash
ripensando il nitrito e il terrore della bestia
e poi l’urlo, il tondo sordo sul selciato.
Tenere salde le redini, la mia parte nella storia.
Perdonatemi ma
attimi come quello li conosci se hai visto,
se davvero sai cos’è peccare.

 


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Mettiamoci d’accordo su questo almeno
non è uguale a sé stesso il tempo
c’è tempo e tempo e per ognuno
un nome diverso, anche quello
dove non stiamo insieme si deve battezzare
assieme al tempo mai avuto, che fa male
come quello che non avremo.

 


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Come se le notti fossero questa
così grande da accogliere tutti i pensieri
e le preghiere e gli amplessi gridati
che stanano i figli dal non tempo,
e le paure che tengono nel fondo
delle luci allineate, il tremore dei piedi,
l’insonnia. Il silenzio. Se non alzi la testa
forse le stelle potrebbero smettere,
ci hai mai pensato? Siamo
la misura esatta del buio
e devi saperlo amore che una notte
è una notte e un’altra e un’altra. Per sempre
da qualche parte.

 


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Di questo avrei voluto parlarti
con il fiato a pezzi del pugile, faccia
contro faccia nella congiuntura
ripetuta e sempre persa, dirti è tutto vero
che c’è un silenzio più grande dei nostri anni
e che il cielo è sempre uguale
e le rondini non muoiono dopo l’estate
se ci credi. Senti? Gli anni luce
si radunano nella maniglia
e non ha oracoli la buganvillea ma lo stesso chiedi
la strada del mare se è mare o un’idea
dietro i palazzi o l’assedio
nelle tempie. Apri la finestra,
lascia parlare i venti, lascia che parlino.


da A questa vertigine (Italic Editore, Ancona 2016)

 

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ora ca piddìu u jonnu
s’arizzetta l’ali nto casciolu
ch’e spaddi chiù leggi
i tappini nte peri
iddu è iddu, definitivamenti

si sfunna ri kebab, ri manciari cinisi
mputtusatu intra nmonolocali
ascuta Nick Cave passannusi a lingua
supra a cuscienza
dumani c’arresta, cu manca?

ora non sevvi essiri omu tra l’omini
su sempri l’autri i chiù vivi


ora che ha perso il giorno / ripone le ali nel cassetto /
con le spalle più leggere / le pantofole ai piedi /
lui è lui, definitivamente

si ingozza di kebab, di cibo cinese / chiuso in un monolocale /
ascolta Nick Cave passandosi la lingua / sopra la coscienza /
domani cosa resta, chi manca?

ora non serve essere persona tra le persone /
sono sempre gli altri i più vivi

 



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Ri quali ventu veni a to uci?
C’è n’acqua auta e intra ri tia
non si mori. Ju era na cosa mpastata
c’a notti ca non dommi
e cielu e terra scumaru a mità strata
comu rui ca s’ammiscunu intra a l’aria.

Tu si comu nasciri chiù forti.


Da quale vento viene la tua voce? / C’è un’acqua alta e dentro di te /
non si muore. Ero una cosa impastata / con la notte che non dorme /
e cielo e terra schiumarono a metà strada /
come due che si mescolano nell’aria.

Tu sei come nascere più forte.


da Eppuru i stiddi fanu scrusciu - raccolta inedita

 

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Il tuo sigillo è un’andatura sghemba,
hai altri segreti da bisbigliare alle mie scarpe?
Mi riconosci dalla stanchezza
ma ora vorrei solo rannicchiarmi in pace
essere con te quando succede,
la sera non è così male vista dai vetri,
vorrei solo togliermi le scarpe
guardarti come un vecchio giorno d’infanzia,
non ti sei accorta che sei il dio dei miei salmi
che ho cambiato lacci?
Stasera vorrei solo rannicchiarmi, credimi,
essere dentro di te quando succede
muovermi dentro di te circondato dai rumori,
la sera è una ricompensa per un popolo di storpi
compio un altro giro per fare giorno,
vorrei solo che facesse giorno
essere disteso accanto a te quando succede.

 


*
Ti parlo dalla zona rossa.
Ho consumato tutti i giga in youporn e oroscopi,
l’alba entra ogni giorno un po’ prima,
non so se confrontare col metro delle stagioni
il momento del primo caffè.

Se non mi rinfilo a letto è perché ho paura della piazza
con la trapunta perfettamente piegata.

Scavo così ripari dall’attualità; là fuori
potrebbe essere il suolo di sabbia rossa di Marte,
l’acciottolato di una città in guerra col vicino.
Per il resto mi sorprendo che da un minuto all’altro
il calendario non inneschi un’autocombustione

(finché resisto come una forma di stupore).

Stamattina il mondo si è presentato grigio e pieno di pioggia,
con più forza ho pensato a un’alba che infiamma l’oceano
come vista da un’isola dei tropici,
ti confondi bene con i granelli di sabbia.

 


*
Essere Roberto Baggio

Pensavo a un dio quell’estate
era un uomo che falliva nel mondo,
la traiettoria da Pasadena al gelo del cosmo
la vedo da qui dove ho otto anni
e non so del tempo che gioca nel respiro,
del mio gemello che tra mille anni ripete il bivio.
Imparavo ad abbassare gli occhi
a contenere il respiro
che ci vuole equilibrio tra la gravità e le stelle
lo posso dire ora, da bambino a bambino,
quando inizieremo a cadere ci aspetta una rete lì sotto.

 



*
Non ha niente per difendersi, il solito chiodo alla nuca
quando si alza. Il mondo è un’opera di notifiche da visualizzare.
La rabbia che monta lentamente, sterile come prendere a pugni il muro.
Oltre il muro, altri muri. Più in alto
da qualche parte nell’esosfera un satellite sta riprendendo
una mai vista configurazione di cellule, o perlomeno pensarlo.
Esce di casa, non vuole fare del male ma farlo è un’altra storia,
cerca di assomigliare a uno con un’idea di come vanno queste cose
una persona al proprio posto di cui poi perdiamo le tracce.
Dovrà credere a ogni parola detta per ritrovarsi il centro esatto
della nostra vita. Dove altri hanno fallito.  


(Testi inediti)