Mario Fresa è nato a Salerno nel 1973. Subito dopo il conseguimento degli studi classici, si dedica alla musica, studiando canto lirico con il tenore Maurizio Scavone e con il basso Paolo Montarsolo. Si laurea, quindi, summa cum laude, in Letteratura italiana (sotto la guida di Carmina Emma Grimaldi), discutendo una tesi sulle fonti del libretto del teatro d’opera italiano dell’Ottocento. A partire dal 1997 ha iniziato un’intensa collaborazione con riviste italiane, francesi e internazionali, tra le quali «Paragone», «Caffè Michelangiolo», «Nuovi Argomenti», «Almanacco dello Specchio», «Gradiva», «Quadernario», «Recours au Poème», «L’area di Broca», «Portique», «Smerilliana», «Il Monte Analogo», «La clessidra», «Palazzo Sanvitale» e altre. Suoi testi poetici sono presenti in varie antologie, pubblicate sia in Italia sia all'estero, da Nuovissima poesia italiana (a cura di M. Cucchi e A. Riccardi, Mondadori, 2004) alla recente Veintidós poetas para un nuevo milenio, curata da J. P. Andrés per la rivista spagnola «Zibaldone. Estudios italianos» (Università di Valencia, 2017). È del 2002 il prosimetro Liaison, con la prefazione di Maurizio Cucchi (edizioni Plectica; Premio Giuseppe Giusti Opera Prima, Terna Premio Internazionale Gatto); seguono, tra le altre pubblicazioni di poesia, il trittico Costellazione urbana (Mondadori, «Almanacco dello Specchio», n. 4, 2008); Luci provvisorie (una triade di poemetti apparsa nel n. 45 di «Nuovi Argomenti», Mondadori, 2009); Uno stupore quieto (Stampa2009, a cura di Maurizio Cucchi, 2012; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); La tortura per mezzo delle rose (nel sedicesimo volume di «Smerilliana», 2014, con un’analisi critica di Valeria Di Felice); Teoria della seduzione (Accademia di Belle Arti di Urbino, con disegni di Mattia Caruso, 2015); Svenimenti a distanza (prefazione di Eugenio Lucrezi; Il Melangolo, 2018). Tra i suoi libri di saggistica, Il grido del vetraio (Nuova Frontiera, 2005); Le tentazioni di Marsia (Nuova Frontiera, 2006) e La poesia e la carne (La vita felice, 2008): tre volumi scritti in collaborazione con il filosofo Tiziano Salari; Come da un’altra riva. Un’interpretazione del Don Juan aux enfers di Baudelaire (Marco Saya, 2014); Le parole viventi. Modelli di ricerca nella poesia italiana contemporanea (La Recherche, 2017); Alfabeto Baudelaire (saggio e scelta di traduzioni, EDB, 2017). Ha inoltre curato l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (nella collana «I Classici» di Rocco Carabba, 2010) e la traduzione e il commento dell’Epistola De cura rei familiaris dello Pseudo-Bernardo di Chiaravalle (Società Editrice Dante Alighieri, 2012). È redattore del semestrale «La clessidra» e della rivista internazionale «Gradiva» (Università di Stony Brook, New York). Mario Fresa ha dedicato una speciale attenzione all’attività traslatoria, in particolare nell’àmbito poetico, traducendo dal latino classico e medievale (Catullo, Marziale, Pseudo-Bernardo di Chiaravalle), dal greco moderno (Sarandaris) e dal francese (Baudelaire, Rimbaud, Musset, Apollinaire, Desnos, Frénaud, Cendrars, Char, Duprey, Queneau). Ha ricevuto, tra gli altri, il Premio Franco Fortini per la saggistica (2011) e, ad honorem, nel 2017, il Premio Internazionale Prata per la critica letteraria.
E alla svelta, premendo:
l’acqua mi fa strada,
e ansiose le gambe già sbirciano
di fuori. Ed entra entra:
tu mi bisbigli entra;
e sul tuo orecchio
dipano baci come piccole
fruste; e stringo il fiato,
e sfiorami, dici, (di corsa sono sceso,
la voce gonfia di bava); ed entra entra,
tu mi bisbigli, e sfiorami, dico,
sfiorami ed entro.
Da Liaison (Edizioni Plectica 2002)
Tu scendevi, la voce sudata: gli occhi sgocciolandomi sul collo. Io ti scalciavo, ansioso, tra le mammelle. Le tue parole mi sbucciavano le mani. Ti pioveva sulla lingua un odore di mandarino. Posso entrare? Così dicevo, ruotandoti vicino le braccia asmatiche, e la sera mi soffiava tra le cosce, mi fumava tra le labbra come una pioggia d’unghie, come una mina.
Da Liaison (Edizioni Plectica 2002)
I.
Al sentire il suo nome,
si parla subito di una pozza larghissima, di corpi
carezzati dalle lame, di selvaggi movimenti,
di enormi buste coperte da un nugolo di foglie.
Più o meno dicevo cose di questo tipo;
non le ricordo bene;
non le ricordo, cioè, con precisione.
Me le segna, ormai da qualche mese,
su di un bellissimo quaderno, la mia cara Stefania
(quella dalla siringa sempre pronta nella borsa),
che ha deciso di tenere degli appunti su di me.
Non ho capito bene, ma penso (risatella di tutti)
che voglia farmi protagonista della sua tesi di laurea.
Rispondendo al suo test, mi ha consigliato
«con tutto il cuore» di non rivelarmi
il profilo psicologico che ne è uscito fuori.
Mi compiange. Intanto già sorride, lui, come sua madre
che ora ha imparato a dire che non c'è mai;
così, da qualche mese, si fa sempre negare, al telefono,
quasi ogni giorno (si ascoltano sussurri, frasette velenose:
«Se fosse lui... di’ che l’ufficio fa orario continuato…
l'operazione gli dirai che è andata bene...
teniamo duro fino a domani: si stancherà, si stancherà...»).
II.
Ma parliamo pure, se vuoi, di quel famoso giorno.
Era mattina.
Mi sono vestito con cura, radendomi pianissimo;
più mi fissavo allo specchio e più non capivo.
Ho salutato tutti con entusiasmo; l'unico progetto era
di recarmi dal commesso, quel porco, per chiedergli
come mai (gridando, semmai, per spaventarlo)
quel libro non è arrivato ancora, quindici giorni fa,
gli ho detto, nemmeno arriva, nemmeno adesso?
Altra versione riportata:
Era di pomeriggio.
Sono uscito di casa in modo trasandato,
la camicia semiaperta, la barba quasi lunga,
indocile, aguzza.
Non ho salutato nessuno. Ho aggiunto
qualche sguardo un po' distratto un po' cattivo.
Sono andato dal commesso, gentilmente; gli ho detto
di non preoccuparsi se ci mettono tempo; aspetterò,
gli ho detto piano.
Il fatto è che ci vogliono davvero tante, tantissime
domande per fare uscire
una sola mezza frase da Carla («Questo è falso. L'altra sera
al ristorante lui mi ha fatto una scenata
e in quel momento pensavo a te, a come
avresti reagito».
«Ti sei pentita, allora?»;
«No, tutt'altro. Tu parlavi a metà, non finivi nessuna frase.
Poi mi facevi ridere, proprio ridere, tanto»).
III.
Nella vasca, ricordi? Ci si accarezzava i gomiti e
la schiena, lentamente, lentamente.
C’era sempre, dall'altra parte, il solito vicino
che origliava, l'enorme tanghero poco portato
alla conversazione e ai bei modi.
Ricordo la sua bocca quasi mai ferma,
stranamente gonfiata; le dita aguzze,
esperte. «Non mi resta, al massimo,
che un anno», diceva, inchinandosi piano,
con mansueta dolcezza, verso l’amico-aguzzino.
Eppure, le croste appiccicate sulla schiena
nemmeno l'acqua riusciva a cancellarle,
a scioglierle per bene: che mai sarebbe
stato di te, quanto avresti vissuto ancora?
«La maestra d'inglese
mi disse, complimentandosi, che avevo fatto bene...
È vero, mi era venuta voglia di rompere
il naso a quegli stupidi, ma da allora
il nuovo amico conosciuto m'insegnò a mantenere
la calma in ogni circostanza: ero tornato a casa
con il sangue che scorreva dalle mani, ma ero riuscito,
almeno, a salvare quel povero bambino indifeso».
IV.
Amici cari, non sopportavo più la sua sconfinata
fragilità, il suo silenzio remissivo.
Dovevo farcela, insomma:
darle ancora felicità, sostegno.
«Perché quei giri così insistenti
e continui intorno alla mia casa?
Le tue tracce le ritrovo dappertutto,
appena varco il portone per uscire, ogni mattina, all'alba».
Pare che al ristorante ci sia stato io;
eppure non ricordo. Era l'altro, forse,
che la faceva divertire (anche qui, le versioni
divergono in modo considerevole;
qualche frase è illeggibile, confusa).
Appena entrato non mi hanno detto che
l’avevano scoperto, il delizioso sacco
pazientemente sotterrato nel mezzo del fogliame.
Se confessi, se sarai buono, non ti accadrà nulla
(sorriso falso, buchi incipienti nei suoi
denti disfatti, tremolanti).
Mi ricordo soltanto, a ripensarci adesso,
del corpo rigido e bianco di lei, e il suo
sguardo distante, impreparato alla sorpresa
della morte; desideroso, quasi,
di concedere, in segreto,
un`importante confessione.
Da Uno stupore quieto (Stampa2009, "La collana" 2012)
1.
Quella in fondo al corridoio, non sarebbe andata
a casa mai da sola. Chissà cosa le prende?
Se avevate intenzione di maltrattarmi, fatemi almeno entrare.
Lei, come d’accordo, torce fra le sue dita il parente più vicino,
e corre al salvataggio.
Si pianta, cioè, all’ingresso della soglia e non passa più nessuno.
Scendiamo come fiori
nel villaggio giocattolo di ieri.
2.
Niente da fare, mamma: i poveri arrivano tardi,
a tredici anni; c’è una sola risposta alla domanda.
Chiamiamo l’elettricista per non fare indigestione.
Il corpo della signora sembra perfino bianco, mentre guida
ubriaca per la casa.
3.
Stia tranquilla, però! Di certo il suo cervello si stancherà.
Oltre i visceri, gli unghioni, la sua tela;
quel liquido vischioso…. le mandibole uncinate….
E quando l’ha finita di colpo, la vera punizione è data
non solo perché abbiamo peccato, ma perché adesso
noi non pecchiamo più.
Da Svenimenti a distanza (Il Melangolo 2018)
Sapete, la storia del dolore
scende a gara ben presto.
Ci chiama e beve a tratti, con la valigia muffa
dei gesti; orso contabile
che non mi addestri mai.
Eppure il fiato lo parlo come una bianca vita,
come una pianta da non credere nemmeno
a conti fatti: così diventa carta straccia,
forellino; guida senza pensiero, come un insetto.
Ma questo lo detesto.
L’ora – sui guanti disegnati che urtano le vene, le pareti –
l’aspetto già da qualche mese; Kurt immagina sé
come l’odiato segugio che se ne sta a ripetere:
guardala bene: è sempre meglio chiedere.
Non si può mai farla franca.
...
Kurt non ama te.
E da oggi rivedo così tanta memoria:
ha una lingua da emicrania
che rovescia fino a terra.
Sarà come scontare la mosca molesta
del cervello: lei che non dorme un’ora, nemmeno
sino all’ultima fila di bucato.
Da Svenimenti a distanza (Il Melangolo 2018)
In qualche caso, c’è il sospetto
di un romanzo malattia, se riflettiamo
come si deve. E anche stando seduti poi si teme,
si ricomincia con le cose orrende...
........
Allora, sarà meglio rimandare qualsiasi confessione.
Mancando la luce elettrica, non direbbe una cosa vera.
Ed ecco: ha voluto proprio fare tutto di testa sua, a meno che
non cambi il tempo.
Basta una sola camicia, però, quando avresti dovuto solo chiedere
perdono. Partono, così, tutti dal viso: e tu allontani la gente,
vista come una piccola
bestia che spalanca certi visceri d’artrosi;
o come una tetra camera un po’ tutta
da superare e con la quale uscire insieme,
come il dolore che richiama da vicino,
e che si muta in altra cosa...
Da Svenimenti a distanza (Il Melangolo 2018)
Alcuni gli vogliono bene quanto basta, felice purgatorio
senza vele – e lui così, turbante sulle gambe; occhio sparito
fin dal principio; si sposerà? –. Eppure adesso gli sale
tra le gote un vento leggerissimo che resta
senza pace. Poi lascia la nostra roba all’aria,
e nel silenzio messo presto in discussione (gridare
dalla finestra fino a volersi rovinare proprio il mento,
le gambe, la prossima stagione...).
Più centrale, più acuta. Se ne ricorderà.
Ecco la luce che fa più uguale, adesso,
il tuo veloce sguardo al mio.
I nomi precipitati giù dall’ascensore, o semiaperti,
dimenticati; confusi soprattutto per il caldo innaturale.
Un accidenti che vuole proprio me, anche se dice
di non sapere amare.
Se qualcuno, cioè, gli vuole bene,
non lo dirà proprio a nessuno.
Mai rendere pubblico un disastro.
Da Svenimenti a distanza (Il Melangolo 2018)
Un luogo esiste almeno cinque volte.
I successivi due anni nessuno ne sa niente e lo teniamo
a bada, giusto ai confini della guerra. Per essere felici,
apriamo i nervi ottici e stacchiamo l’ombra netta
alla radice: un modo di spezzare il tuo cervello
quasi perfettamente in due.
Accade, allora, che lui – nel centro del dolore –
torni ogni giorno al mio indirizzo.
Riprovano a lasciarci sulla rotta,
senza mutare o restando con una certa età;
viene da dentro, come se lui non fosse un mostro
che ha un solo desiderio: passare dal fatto alla certezza pura.
Facciamo il tutto esaurito.
Se non ti volti nemmeno adesso – è tutta qui la mia
speranza – tu dormirai nel nulla,
come salvato dall’attesa.
Da Svenimenti a distanza (Il Melangolo 2018)
*
Restava lì, quasi un divino contrabbandiere; apre il cervello esofago
e diventa così miracolo, bicchiere.
Insomma, vede tutto come può; e tu, piccina quadrerìa,
che tieni in mano i nervi e ci discuti sopra.
Verità di comando: lui che muore di colpo
e si figura un cubo d’aria, il niente.
**
La sua è una morte simile ai turisti; lo prende insieme
e ci dipingerà Nicola, l’ambizione,
i nervi sotto. E chi t’incontra è quasi tardi,
e preme; ordina il mondo a scatti, a brandelli:
che pena, poco prima di riuscirci.
E poi siccome tutto è un puro
asciugarsi, anzi un odore vocabolario, noi siamo piccoli
mostri perciò uniti; siamo carnivora felicità.
Inediti da Il mantello di Goya