Lucetta Frisa

Lucetta Frisa (Genova, 1949) è poeta, scrittrice, traduttrice, lettrice a voce alta. Tra i suoi libri di poesia: La follia dei morti (Campanotto, 1993),  Se fossimo immortali (Joker 2006), Ritorno alla spiaggia (La Vita Felice, 2009), L’emozione dell’aria (CFR, 2012), Sonetti dolenti e balordi (CFR, 2013). Ha tradotto, tra gli altri, Henri Michaux, Bernard Noël, Alain Borne. Suoi testi in riviste (Poesia, Nuova Corrente, Nuova Prosa, La Clessidra, La mosca di Milano, L’immaginazione ecc.) e antologie (Il pensiero dominante, Genova in versi, Trent’anni di Novecento, Altramarea, Poems from Liguria). Collabora a riviste cartacee e siti web. Sue poesie sono tradotte in inglese, francese, spagnolo e tedesco. Suoi racconti per ragazzi sono apparsi sul quotidiano Avvenire. In prosa pubblica Sulle tracce dei cardellini (Joker, 2009) e La Torre della luna nera (Puntoacapo, 2012). In coppia con Marco Ercolani scrive l’epistolario fantastico Nodi del cuore (Greco & Greco, 2000), Anime strane,  (ibidem, 2006) Sento le voci (La Vita Felice, 2009; tradotti anche in francese da S.Durbec per Etats civils, 2011), e il Muro dove volano gli uccelli (Edizioni l’Arcolaio, 2013). Finalista in diversi premi letterari, ha vinto il Lerici-Pea (2005) per l’Inedito e l’Astrolabio 2011 della critica per la sua opera complessiva.

Canzoni della canzone


                                                           Per Gaspara Stampa
I

Antica amica mia la mia canzone
levo per te in questo vento breve
che sembra separare e in un accento
unisce attimo penna anima voce
e illumina il mio suono nel rumore.
Tu l’hai lasciato nell’aria sospeso
un dono arioso dall’aria levato
che la parola cresce nel suo vuoto
incendia sangue e foglio come fuoco.
È la legge del canto. Ancora ascolto
oggi, nell’aria antica, nuove arie.
Solo scavando nel suono del tempo
con le parole gioco semino vento
l’anima ardo e che mi ascolti invento.

II

E che mi ascolti invento e dolcemente
metto l’anima indietro e l’orologio
ruota al contrario, penetra un silenzio
dove regna lo slancio,il puro ardore.
Ventose sillabe tue ali d’amore
roventi accenti come ferri in guerra
angeli e belve i versi emozionati
che tutta versi in chi non ti contiene.
E’ la legge d’amore. Se risponde
o sordo tace per noi l’unico bene
è il nostro suono fragile e tenace.
Scavando nei minerali del tempo
qualche cristallo limpido risplende
-attimo fermo nell’aria fuggente.

Da La follia dei morti (Campanotto, 1993)

Clessidra

                                                                                       a John Ashbery                                                                                                                                                    
Tutte le cose sono possibili nella lente dell'occhio
come nel corpo della clessidra dove scorrono attimi
finché l'occhio avrà una lente, la clessidra un vetro.
Nella luce si amplificano i contorni e l'aria si solleva
ricadono scorie gli oggetti spariscono
la luce esce dalla polvere.
Ai quattro angoli della stanza il giorno trasale gli specchi
e la mia immagine è vinta: appaio come sono
in un'unica rappresentazione, senza omettere nulla:
le parole divise si saldano
quelle troppo salde tornano saliva.
Nella  casa illuminata occhio e clessidra si inclinano.
Le antiche possibilità ora sono fatti,
le indosso come un abito festivo e avanzo nell'ombra
della mia doppia esistenza, nuda e abbigliata,
la osservo senza lacrime e mi sveglio in uno strano giorno
dove nessuna polvere cade dietro nessuna lente -
prima di cambiare corpo nel buio.

Da Notte alta (Book editore, 1997)

L’ arte di non pensarla


Spostando una sedia o una virgola si torna
nella pelle selvatica come negli abiti stagionali
è la lezione dei climi variabili:
lei si sposta da un’altra parte.

Oggi ad esempio non ho voglia di morire:
non so perché forse oggi il mio cervello ha humour
le butta addosso una testa d’asino
le appicca fuocherelli insidiosi.

Mentre brucia ficco gli occhi nei suoi che sgusciano
via e anche i miei se ne vanno di là e i pensieri
sono tutti laterali :non hanno voglia di esserci.
Visioni e illusioni la coprono di ghirigori.

C’è chi pensa che cambiando spesso registro
non si è seri. Verissimo. Si incomincia a passi pesanti
per poi stornarsi, si apre la lotta con verità secche
si finge di chiuderla con finti fiori.

Da Notte alta (Book editore, 1997)

(lei si trovava sola in mezzo al bianco)


Lei si trovava sola in mezzo al bianco
ma non era neve era un bianco indescrivibile
un impasto colloso come capelli lunghissimi 
fili sottilissimi di bava di ragno
e aveva l'aria di una scappata di casa
l'aria calma aveva e l'occhio acquoso
e si pettinava senza pettine.
Si pettinava lenta sembrava cantasse
ma non le usciva voce  non soffriva
forse si sentiva meno straniera.
Da dove era partita non sapeva
se era affondata sotto il mare o volata
ma si sentiva come a casa come sgravata
come chi  non può tornare indietro.

Da L'altra (Manni, 2001)

(quale lingua)


Quale lingua quale paese dei sogni infantili
dei sogni infernali degli occhi aperti
quando il sogno 
fu legge dell'atlante e del respiro? 
Ci sono ombre sui muri
ombre mortali dopo mezzogiorno
    - non c'è altro lessico.

Da L'altra (Manni, 2001)

(immagina)


Immagina -
devi portare il presente qui 
se non vuoi morire.
Immagina immagina -
non smettere di ritradurre
pietra scheletro osso
- il meteorite precipitato su pagina
che sfavilla.
Non staccare la mano:
interrompe ragionamenti mortali
per millimetri.
In fretta più in fretta
immagina respira obbedisci
alla disciplina dei vivi
che l'aria non ti si strappi
e il cardiogramma si fermi
tra vivo e morto.

Da L'altra (Manni, 2001)

(portatemi via)


Portatemi via conducetemi disse alle parole
che la attendevano scalpitando davanti alle porte spalancate 
e chiuse gli occhi 
e partirono verso un'altra lingua che non si poteva raccontare
o raggiungere,
forse solo dentro il sogno di un cane.

Da L'altra (Manni, 2001)

(sono sdraiata di fianco)


sono sdraiata di fianco su un’urna etrusca
sotto di me le imprese la mia cenere
a bassorilievo sul materasso 
ditemi cosa raffigurano 
in questo risveglio non c’è differenza tra le mie e le vostre
tutti abbiamo avuto capelli naturali un padre
dispiaceri amoretti qualcosa da fare ansie e certezze
tutto si addensa in questo groviglio di chiodi
che accoglie il mio corpo ritornato
dai viaggi soffici della notturna sapienza 
io ogni mattina me li dimentico
mi guardo in giro con i miei occhi di terracotta
mi alzo sono verticale e respiro.

Da Se fossimo immortali (Joker, 2006)

terzo autoritratto notturno


Mi vedo camminare nel mio lungo corridoio
senza scarpe a testa bassa congedandomi
dal giorno schiacciandolo coi piedi e in pochi passi
saluto tutti i bei luoghi non visitati
creature e cose amate non amate poi mi siedo
sulla poltrona di mia madre a sentire il suo odore.
Mentre cammino cammina anche il mondo 
sento intorno il suo fremito
storie intrecciarsi con il loro fracasso  
e un punto esatto di quella strada diventa un fosso, si spacca 
il bel pavimento a cera ma io non volo giù, resto lì in piedi.
So che in fondo al corridoio lo specchio al buio continua 
a raddoppiarmi sdoppiarmi e fa di me ciò che vuole ma
io non lo guardo mi vedo mentre non lo guardo guardandomi
muovere i piedi.   

Da Se fossimo immortali (Joker, 2006)

nono autoritratto notturno


L’aria del buio 
ipnotizza rimorso e nostalgia 
una forza tranquilla emana da un centro
fermo o che credo lo sia
forse è un pensiero vertebrale
che mi fa stare
sveglia e diritta in me.
Battito di stelle contro il cielo:
se è figura di un sogno sparito
che ha sognato se stesso
tutto riporta a un padre illusorio
e al mio respiro orfano. 
Ti prego, fammi credere di esserci
- senza lacrime lo dico - 
credere che tutto è vivo
scorre si muove domanda non dà pace
credere che anche le cose morte
di notte si vestano di un corpo.

Da Se fossimo immortali (Joker, 2006)

Spiaggia dell’Ariana


                                                                    Gaeta, settembre 2002
Dicono i mistici
che più siamo vuoti e più ci rischiara la luce.
Sul morbido fondo del mare 
il guizzo di piccoli pesci
muove solari triangoli 
nell’acqua bassa.
Scatto una foto ai miei piedi e ai pesci
e la mia ombra entrerà nell’intreccio.
Essere vuoti
è il passaggio nella camera oscura? 

Non so se questa pace me l’hai data tu o il tempo
oppure tu in accordo col tempo o il tempo con te
proprio come accade 
in un’idea molto antica di armonia.

Non vogliamo leggere il cammino degli astri  
ma i pensieri affacciati
sul fondocielo dei bicchieri.
Una folla infantile che saluta
prende il profilo sfatto delle nuvole
poche e bianchissime.
Sentiamo tutto lontano andato via
oggi, in un mezzogiorno di settembre
dentro un globo di vetro fermi
e fuori la neve cade sempre  
o si alzano gli spruzzi delle onde.

La luce soffice del dormiveglia
è una penombra che ci sfuoca.
Si è cercato umilmente
il senso oscuro 
seguendo sempre un’idea di luce.

Se è l’ultima pagina la leggeremo insieme
penso a uno dei quadri che ci piacciono 
con luci di striscio, barocche, la lucerna
sui libri e pochi oggetti intorno.
Non abbiamo più fretta: tutto è qui.
Poco a poco ce ne siamo accorti 
accostando sogni e matite
come sotto il banco a scuola 
non delusi - non ancora troppo -
dalle nostre illusioni. 

L’alluce proprio sul filo della schiuma
tocca il regno del mare, l’infinito è
proprio in quel punto d’alluce
che rabbrividisce si ritira indugia
entra.

L’anteprima dolce della morte
è il viaggio attraverso il sonno
di noi due distesi sulla sabbia
l’uno nelle braccia dell’altro.
Negli antichi sarcofagi gli sposi
stanno affrontando il nulla
tenendosi per mano.
Non è triste, anzi, ridendo
incrociamo carezze sulle braccia.

Sono tranquilla troppo tranquilla.
Vorrei due cuori identici 
uno morto l’altro vivo
per affrontare il reale
con passione e indifferenza
parallele.

La luce apre il mare 
lo richiude il buio  
ed è lo stesso mare siamo 
le stesse persone 
più indifferenti o turbate
dai trucchi diurninotturni.

Nel controluce
ci guardiamo con gli occhi socchiusi
come per scattare una foto:
nessuno in giro
neppure il mare
vogliamo esserci solo noi
noi senza il pensiero della fotografia
(se la luce è alle spalle
se è la più densa del tramonto
se il tuo sorriso di adesso
è quello da ricordare.)

Chiudo le palpebre per entrare
in me improvvisamente notturna
non domandarmi dove sto andando
sono luoghi di troppo buio -
ma forse in qualcosa a metà
sollevato e laterale
come quando ci parliamo noi due
sentendoci stretti, vicini.  

Per la prima volta ho sognato mia madre.
Aveva il prendisole bianco
le ho detto fai qualche passo
verso di me voglio fotografarti.
Nell’attimo dello scatto
tu mi hai svegliato.

Sulla spiaggia non leggi 
nella borsa gli asciugamani
i libri chiusi le ciabatte ferme
le sigarette che non hai fumato: 
dormi.
Infine ti sei concesso 
solo a te e a quest’ora meridiana
senza démoni  tremito e parole.
Nessuna terra in vista, nessuna nuvola o nave.

Da Ritorno alla spiaggia (La Vita Felice, 2009)

(per vivere ho bisogno del mistero)


Per vivere ho bisogno del mistero
o ragazzo d’Atene tu soltanto 
mi ascolti e parli con gli dèi seppure
morta è l’infanzia dei templi e le siringhe
non di Pan assaltano i recinti sacri  
e rifiuti di plastica e le cicche
cantano inni osceni in un casotto.
Lasciatemi qui a piangere e a imprecare
io dei balordi sono la vestale 
carriera non seppi fare né il risotto
dissipai le frecce del mio arco fui
immortale e sognavo che i sogni
si sarebbero un giorno fatti carne
grazie al capriccio di un dio balordo.

Per vivere ho bisogno del mistero
i sogni mi difendono dai barbari
che sempre hanno ragione con l’arma
della storia che àltera i colori
sfumati penso a Tanizaki e all’ombra
su tazze laccate e carta opalescente
per distinguere l’Oriente e preservarlo
dalla troppa luce occidentale. 
Oscilla il pipistrello rovesciato
lasciamolo dov’è alla sua saggezza
nient’altro c’è da dire alle creature
al centro di sé sempre padrone
delle latitudini d’ombra e luce.
Noi, i barbari arrivati da un pezzo.

Per vivere ho bisogno del mistero
occhi di un’altra specie sacre pietre
dipinte o incise nel buio delle grotte.
Scende tiepido dal polso alle caviglie
il mistero delle cerimonie
trattenuto e sfuggito al presente
perché  anch’io m’inchino ancora e tendo 
braccia mani gola e canto a chi non sente
e non mi vede ora che sono ombra
che vorrei sanguinasse come un corpo
stremato senza più metafore.
Vorrei credere un messaggio sacro
l’imprevista invasione della luce 
sul mio scuro letto addolorato.

Da Sonetti dolenti e balordi (CFR 2013)