Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico; collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2017 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri, Galata morente, Carmina non dant damen, Scarti di magazzino, Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni e Cherchez la troika con Limina Mentis, Lame da rasoi, con Joker, Il guastatore, con Cleup, Patroclo non deve morire, con deComporre Edizioni; tra 2009 e 2016 ha curato una trentina di antologie di versi. Tra 2008 e 2016 ha curato cinquanta volumi collettivi di materia storiografico filosofica e letteraria; tra il 2009 e il 2016 sono usciti i suoi: Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press), L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Limina Mentis), Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche: i Presocratici (IF Press), Libertà in frammenti. La svolta di Benedetto Croce in Etica e politica (deComporre) e Il pragmatismo analitico italiano di Giovanni Vailati (Limina Mentis). È con-direttore, insieme ad Ambra Simeone, de Il Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è direttore de L’Arrivista; è direttore esecutivo della rivista internazionale Información Filosófica; è, o è stato, direttore delle collane Esprit (Limina Mentis), Nidaba (Gilgamesh Edizioni) e Fuzzy (deComporre Edizioni).

Underground

Clandestino, amo di nascosto, e di nascosto scrivo
di notte, schermato, dai fari accecanti di un mondo malato
di rabbia, d’invidia, e di cemento armato.

Furtivo, amo di nascosto, e di nascosto vivo,
nel chiuso anonimo di una stanza,
o nel ventre claustrofobico di un ufficio
inventando rivendicazioni,
contro ricchi, arroganti e rompicoglioni.

Sotterraneo,
amo di nascosto, e di nascosto schivo
i treni del successo, - asini deraglianti-
o meglio, mostri celati dalle nebbie dell’eccesso
della logorrea fraterna di, voi, grilli parlanti.

Underground, resisto,
staccando col martello
i chiodi conficcati nelle mani di un Cristo,
abbracciato alla sua croce, in attesa di martirio,
sputandovi negli occhi versi, e gocce di collirio.


[Underground, 2007]

Carmina non dant damen

La storia di una moneta non interessa a nessuno
due facce mai tanto ardite da vedersi in faccia:
su un lato impressa l’effigie d’una regina,
austera, drappeggiata di sete e assetata di drappi,
sull’altra l’immagine di un menestrello, vestito d’un manto di terra,
circonfuso dall’aurea tristezza dei canti di guerra.

L’incanto d’amore si trasforma in moneta
due mani, sistemata con cura e artigiana,
si stringon le mani, e due visi, due occhi meteci
si sporgono dai rilievi del rame,
tenendosi vivi, abbracciati, sospesi nel vuoto,
l’uno a osservare l’amenità di un reame
dove corrono liberi i fiumi, sorridono i fiori,
rivestito di boschi e di frutti in eterno,
l’altra a guardare l’inferno.

La mia arte è impotente
a lanciare incantesimi tanto influenti
da tener senza tempo sospesi nel vuoto due volti,
mescolando in fucina i due mondi
in un unico mondo in cui menestrello
e austera regina si armonizzino a fondo.

Menestrello, continua a cantare
il tuo inutile canto col cuore spezzato,
in attesa che frammenti di lacrime
si rimettano in circolo
nel sangue d’un amore smezzato.


[Carmina non dant damen, 2012]

Solo la morte potrà far tacere il mio canto

Solo la morte potrà far tacere il mio canto
o una reiterata disoccupazione,
un crollo definitivo della borsa di Milano,
l’inizio o la fine di un amore,
un mutuo e un affitto da versare.

Solo la morte potrà far tacere il mio canto,
o due anni in cassa integrazione,
un immutabile destino ergastolano,
l’incedere aggressivo di un tumore,
l’istinto a non cercar di non crollare.

Solo la morte potrà far tacere il mio canto
o fantasie di beatificazione,
i moniti di un critico nostrano,
i cicli d’un disturbo dell’umore,
l’idea di non dovermi mai fermare.

La morte farà tacere il mio canto
insieme ad un miliardo d’altre cose,
non sono uomo da soccombere al millanto
di scrivere in funzione d’altrui chiose,
né mai sarò costretto a vender all’incanto
il mio diritto a non cantare in overdose.


[Il Guastatore, 2012]

Nati al contrario

Perché continuo a scrivere?
B., come Bangladesh, aveva
sedici anni, sul davanzale
del balcone d’un liceo milanese,
ma sedici anni non erano abbastanza
affinché Dio l’abbracciasse nel suo salto.
R., come Romania, aveva
tredici anni, sentendosene cento,
e nessun angelo
volava al suo fianco.
E., come Ecuador, aveva
tredici anni, senza che Genova
le ricordasse Quito,
nella solitudine del suo vestire
fuor di marca, disintegrata.
C., come Cina, aveva
dodici anni, consumati in fretta,
affacciandosi a un balcone
col desiderio di non vedere il mondo,
buttandosi nel vortice
dell’ansia da rendimento.
I loro nomi non sono difficili
da dimenticare, sono nomi
- come me- nati al contrario,
schiacciati contro i vetri
delle finestre della vita
saltando dall’asfalto.


[Scarti di magazzino, 2013]

Hotel Acapulco

Le mie mani, scarne, han continuato a batter testi,
trasformando in carta ogni voce di morto
che non abbia lasciato testamento,
dimenticando di curare
ciò che tutti definiscono il normale affare
d’ogni essere umano: ufficio, casa, famiglia,
l’ideale, insomma, di una vita regolare.

Abbandonata, nel lontano 2026, ogni difesa
d’un contratto a tempo indeterminato,
etichettato come squilibrato,
mi son rinchiuso nel centro di Milano,
Hotel Acapulco, albergo scalcinato,
chiamando a raccolta i sogni degli emarginati,
esaurendo i risparmi di una vita
nella pigione, in riviste e pasti risicati.

Quando i carabinieri faranno irruzione
nella stanza scrostata dell’Hotel Acapulco
e troveranno un altro morto senza testamento,
chi racconterà la storia, ordinaria,
d’un vecchio vissuto controvento?  


[Scarti di magazzino, 2013]

Ballata degli inesistenti

Potrei tentare di narrarvi
al suono della mia tastiera
come Baasima morì di lebbra
senza mai raggiunger la frontiera,
o come l’armeno Méroujan
sotto uno sventolio di mezzelune
sentì svanire l’aria dai suoi occhi
buttati via in una fossa comune;
Charlee, che travasata a Brisbane
in cerca di un mondo migliore,
concluse il viaggio
dentro le fauci di un alligatore,
o Aurélio, chiamato Bruna
che dopo otto mesi d’ospedale
morì di aidiesse contratto
a battere su una tangenziale.
 
Nessuno si ricorderà di Yehoudith,
delle sue labbra rosse carminio,
finite a bere veleni tossici
in un campo di sterminio,
o di Eerikki, dalla barba rossa, che,
sconfitto dalla smania di navigare,
dorme, raschiato dalle orche,
sui fondi d’un qualche mare;
la testa di Sandrine, duchessa
di Borgogna, udì rumor di festa
cadendo dalla lama d’una ghigliottina
in una cesta,
e Daisuke, moderno samurai,
del motore d’un aereo contava i giri
trasumanando un gesto da kamikaze
in harakiri.
 
Potrei starvi a raccontare
nell’afa d’una notte d’estate
come Iris ed Anthia, bimbe spartane
dacché deformi furono abbandonate,
o come Deendayal schiattò di stenti
imputabile dell’unico reato
di vivere una vita da intoccabile
senza mai essersi ribellato;
Ituha, ragazza indiana,
che, minacciata da un coltello,
finì a danzare con Manitou
nelle anticamere di un bordello,
e Luther, nato nel Lancashire,
che, liberato dal mestiere d’accattone,
 fu messo a morire da sua maestà britannica
nelle miniere di carbone.
 
Chi si ricorderà di Itzayana,
e della sua famiglia massacrata
in un villaggio ai margini del Messico
dall’esercito di Carranza in ritirata,
e chi di Idris, africano ribelle,
tramortito dallo shock e dalle ustioni
mentre, indomito al dominio coloniale,
cercava di rubare un camion di munizioni;
Shahdi, volò alta nel cielo
sulle aste della verde rivoluzione,
atterrando a Teheran, le ali dilaniate
da un colpo di cannone,
e Tikhomir, muratore ceceno,
che rovinò tra i volti indifferenti
a terra dal tetto del Mausoleo
di Lenin, senza commenti.
 
Questi miei oggetti di racconto
fratti a frammenti di inesistenza
trasmettano suoni distanti
di resistenza.


[Scarti di magazzino, 2013]

Patroclo non deve morire

Patroclo non vuole morire vittima della sua dolcezza
mascherata dall’ansia della diffusa aggressività [contemporanea],
l’imbarazzo della città indaffarata nello scudo d’Achille non doveva essere indossato,
l’incontinenza delle macchie di sangue sulla corazza d’Achille imbracciata,
incedendo col correre a vuoto, stereotipato, di ogni eroe post-moderno
nelle sabbie inquinate della piana di una Troia padana.

Ettore non vuole commettere un loop di medesimi gesti
orientare il carro, mirare, immerger la lancia nel cuore
immerger la lancia nel cuore, mirare, orientare il carro,
un rude guerriero mai gode a vedere lacrime di donna o cavalli,
concentrato a trovare giusti vocaboli d’addio da rassegnare alla moglie,
anti-dionisiaco deus ex machina, slot machine, disponibile a inforcare
Patroclo, i corretti meccanismi di ragionamento, onore, nazione, famiglia.

Achille non vuole ulular la sua rabbia frustrata
accorrendo straziato, stralunato, stranito, sulla strada del campo di battaglia,
i pit bull terrier rabbiosi s’abbattono con una dose letale di anti-depressivo,
trascinare cadaveri dal carro, stracciar vesti, rapir sacerdotesse danae,
non è in grado di negoziare affetti con la gloria di un padre
e si avvicenda a se stesso, siamese superstite.

Patroclo non deve morire, obbligandoci a brindare a un gioco delle tre carte dove
dolcezza vince, ragione vince, vitalità vince,
dolcezza soccombe, ragione soccombe, vitalità soccombe,
Patroclo muore, Ettore muore, Achille muore, muoiono tutti,
ragione trafitta dolcezza soccombe a una vita incompiuta,
e noi, costretti a mediare, mai eroi medio massimi, martiri da mass media,
restiamo a cantare a metà, condannati a restare smezzati.


[Patroclo non deve morire, 2013]

Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni

L’austriaco, di vera stirpe ariana, è molto severo, non si incanta,
achtung kaputt kameraden, pretende massima flessibilità
in modo da rimettere l’Europa intera a quota Novanta,
bombarda le borse di Milano assolutamente gratis,
meglio di quanto fecero Radetzky o Bava Beccaris.

Potremmo tentare ancora con uno sciopero del tabacco,
mischiando hashish a marijuana con distacco,
anche se non credo che funzionerebbe lo sciopero del lotto,
siamo troppo lontani dai moti del 1848,
ora l’intera nazione tira a arrivare alla mattina,
sognando di incassare un ambo o una cinquina.

Sperando in un ritorno della dinastia Borbone
i milanesi non sono avvezzi alla rivoluzione,
scalpitano, reclamano, ti mandano a cagare,
tornando il giorno dopo in ufficio a lavorare,
non avendo l’energia dei siciliani buontemponi,
l’unica regione a statuto speciale a protestare coi forconi.

Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni,
la Merkel tuona da Bruxelles minacciando risoluzioni
del Consiglio Europeo, in cui siedono retribuiti in modo sovrannazionale
i vari prestanome dell’una o dell’altra multinazionale,
indecisi, con rigorosità scientifica tutta teutonica,
se far fallir la Grecia o un’azienda agricola della Valcamonica.


[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]

L'alieno

Dei fari si accendono allo sbocco della tangenziale di Milano
stride un rumore di impatto al suolo, brucia il terreno
non è l’inondazione del solito Seveso a creare rumor d’uragano
è sbarcato un alieno.

Arrivano in loco ambulanze e carabinieri richiamati dalla confusione,
l’attracco di un Unidentified Flying Object non è un consueto risvolto;
dalla torre di Cologno Monzese arrivano celeri i fanti della televisione
l’intervista esclusiva su Mediaset Premium amputerebbe ogni indice d’ascolto.

«Dottor Alieno» - sgomita il giornalista pubblicista- «ha intenti di belligeranza?»,
nella speranza di strappare all’alieno una firma gratis sulla liberatoria;
«Somaro mio» - risponde l’alieno- «secondo te sarei sbarcato in Brianza
se avessi avuto intenzione di conseguire anche una mezza vittoria?».

«Sono un alieno, e vorrei lanciare un messaggio alla vostra nazione,
che, insieme a Grecia, Portogallo e Spagna è terrona dell’Unione Europea,
la Bca (Banca centrale aliena) è disponibile a favorire stock option
- come dite voi- in modo che ogni banca d’Italia, attuata una ricapitalizzazione,
abbassi i tassi di interesse ai conti correnti, irritando i colon
dei milioni di risparmiatori italiani fino a crear loro una recessiva diarrea».

La giornalista trentenne, in minigonna e scollatura di rappresentanza
tenta di interrompere l’alieno con una domanda d’ordinanza:
costui, puntando col medio, le manda un fulmine, sparita, via,
com’era abituata, di tanto in tanto, a sparir sotto qualche scrivania.

«Punto due della Bca – continua l’alieno- dovrete incrementare ogni forma di flessibilità,
cioè usate un flex o una mola Bosch sui sorrisi di chi spaccia disoccupazione
sotto la falsa retorica dell’opportunità: dall’era Craxi hanno esaurito ogni credibilità.
Se volevate mandare l’Italia a troie tanto valeva tenersi in Camera Ilona Staller
e smettere di votare, come ciucci, i microcefali epigoni sinistra-centro-destra della Merkel
affrontando sul Transatlantico, MonteTitanic, la punta dell’iceberg della recessione».

«Punto tre della Bca – conclude l’alieno-, se da Arcore arriva Berlusca neanche inizio
non vorrei, tra le varie nipoti di Mubarak, incappare in un’odissea nell’ospizio
(di Cesano Boscone) o se da Firenzi mi arriva il Fonzie con la faccia da cassamortaro
non vorrei spendere milioni di alien-dollari in detersivi a cercar di smacchiare un giaguaro,
dovrete vendere le Alpi alla Svizzera, il Tirreno alla Corsica e l’Adriatico all’Albania
e svuotare l’oceano di un debito pubblico col cucchiaio della gerontocrazia».

All’improvviso a sirene spiegate arriva un’autolettiga della Croce Verde Pavese
due nerboruti infermieri, attenti a schivare medio e media, incamiciano l’alieno genovese
che, divenuto immediatamente alienato, interrompe il discorso e si incammina tranquillo.
Come cazzo hanno fatto a confondere messaggi d’alieno con un comizio di Beppe Grillo?


[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]

La ballata di Peggy e Pedro

La ballata di Peggy e Pedro è latrata dai punkabbestia
di Ponte Garibaldi, con un misto d’odio e disperazione,
insegnandoci, intimi nessi tra geometria ed amore,
ad amare come fossimo matematici circondati da cani randagi.

Peggy eri ubriaca, stato d’animo normale,
nelle baraccopoli lungo l’alveo del Tevere,
e l’alcool, nelle sere d’Agosto, non riscalda,
obnubilando ogni senso in sogni annichilenti,
trasformando ogni frase biascicata in fucilate nella schiena
contro corazze disciolte dalla calura estiva.
Sdraiata sui bordi del muraglione del ponte,
tra i drop out della Roma città aperta,
apristi il tuo cuore all’insulto gratuito di Pedro,
tuo amante, e, basculandoti, cadesti nel vuoto,
disegnando traiettorie gravitazionali dal cielo al cemento.

Pedro, non eri ubriaco, ad un giorno di distanza,
non eri ubriaco, stato d’animo anormale,
nelle baraccopoli lungo l’alveo del Tevere,
o nelle serate vuote della movida milanese,
essendo intento a spiegare a cani e barboni
una curiosa lezione di geometria non euclidea.
Salito sui bordi del muraglione del ponte,
nell’indifferenza abulica dei tuoi scolari distratti,
saltasti, in cerca della stessa traiettoria d’amore,
dello stesso tragitto fatale alla tua Peggy,
atterrando, sul cemento, nello stesso istante.

I punkabbestia di Ponte Garibaldi, sgomberati dall’autorità locale,
diffonderanno in ogni baraccopoli del mondo la lezione surreale
imperniata sulla sbalorditiva idea
che l’amore sia un affare di geometria non euclidea.


[Cherchez la troika, 2016]

Il pollice imponibile

La tassonomia caratterizza l’homo sapiens dalla forma della mano,
non distingue l’ominide della Bibbia, l’ominide del Vangelo, l’ominide del Corano;
l’anatomia moderna s’è imbattuta in una scoperta attendibile:
l’italiano medio è dotato di pollice imponibile.

L’aumento esorbitante dei tassi non comporta una sparizione delle tasse,
nessun sessuologo animale è mai riuscito a uscire dall’impasse,
le tasse aumentano, in caso di abbassamento o crescita dei tassi,
saranno tasse ninfomani, lontane dal desiderio di ribassi.

L’Italia è la repubblica fondata sulle tasse, da Nord a Sud,
tanto che a rimettere le cose a posto ci vorrebbe un Governo Robin Hood,
l’italiano medio, ogni giorno, è in ADE a misurarsi la pressione fiscale,
arrivati al 50% chiameremo l’anatomopatologo a certificare l’embolia celebrale.

L’Itaglia è terra d’inventori, si mette una tassa sull’ombra delle tende dei locali,
il massimo del cuneo fiscale (presa per il culo) è la tassa comunale sulle centrali nucleari,
che, in bolletta, ti trovi una tassa EF-EN sull’efficienza (?) dell’energia elettrica,
come cazzo riescono a convincerti dell’incoerenza è cosa comica.

C’è la tassa sul televisore, c’è la tassa sulla tassa, d’incostituzionale disappunto,
e scopriamo che la nostra spazzatura, soggetta ad IVA, ha valore aggiunto,
la tassa sulla morte, intesa come certificato di constatazione di decesso,
ragazzi, ditemi voi, se ci fosse stata ai tempi di Yeshua, Lazzaro come sarebbe stato messo.

La tassa sulla morte, maronna dell’Incoroneta, a morire serve un nulla-osta
ostia, il morto deve resuscitare e versare 35€ facendo la coda in Posta,
la tassa sulle invenzioni che non si applica all’invenzione di nuovi tributi
e ti accusano di diffamazione se affermi d’esser governato da una massa di cornuti.

La tassa sugli spiriti, in senso alcolico, la tassa sul rumore degli aeroplani,
il rumore degli aeroplani? Pensa alla tassa sul casino di un concerto degli Inti-Illimani,
c’è una tassa sui gradini, l’imposta comunale sui cani, la tassa sulle cabine telefoniche.
Ma andate a cagare, forse si stava meglio con le stravaganze fiscali borboniche.


[inedito, 2017]