Giancarlo Pontiggia

Giancarlo Pontiggia, milanese, ha pubblicato due raccolte poetiche (Con parole remote, Guanda 1998; Bosco del tempo, Guanda 2005), tre volumi di saggi (Contro il Romanticismo. Esercizi di resistenza e di passione, Medusa 2002; Selve letterarie, Moretti & Vitali 2006; Lo stadio di Nemea, Moretti & Vitali 2013) e un testo teatrale (Stazioni, Nuova Editrice Magenta 2010). Una raccolta delle principali interviste è uscita presso La Vita Felice (2014) con il titolo Undici dialoghi sulla poesia. Traduce dal francese (Sade, Céline, Mallarmé, Valéry, Supervielle, Bonnefoy) e dalle lingue classiche (Pindaro, Sallustio, Rutilio Namaziano, Disticha Catonis). Un’ampia scelta dei saggi critici più significativi sulla sua poesia si trova nella rivista «Atelier» (64, dicembre 2011). Le poesie sono state tradotte nelle maggiori lingue, e in particolare nei volumi Selected Poems, a cura di L. Bonaffini (Gradiva 2008); Orígenes, a cura di E. Coco (Pigmalión 2013).

Ad gallicinium


Penso ai vostri giardini
lucenti e lontani, figlie della notte, Esperidi,

custodi dei frutti d’oro,
e alle onde

che battono pensose sulle rosse
sponde d’Africa, grani sciamanti

fra ombre di scuri satelliti
nel tepore di questa sera. Ma per noi

ora si annuncia un pensiero
più forte, celato in un sonno

molle di palpebre, mentre
il pianeta volge le sue ultime rotte

verso l’alba, e io
resto con voi, solo, nomi e scie

razzanti, povere polveri
del tempo che si accomiata

nella febbre di un’aurora già calda
e vi lascia

sospesi come fiammanti cimbe
nella bonaccia del mondo, sopra

ringhiere di luce e di nubi,
a una spanna dal nulla, in una

vertigine di scuro male,
nell’urna di un sonno

claustrale. 

 

da Con parole remote (1998)

Origini


Canto ciò che fu prima
e ciò che venne. Tutto
era sospeso in una
quiete lunga, nel forte
vuoto. Il cielo
immane, fiottante chiglia, era
muto. Non c’erano
uomini, né bestie, né pietre;
né fronde, né erbe, né ali sulle
ardue terrazze
del cielo. Solo
il sole c’era,
e non aveva nome. La terra
non c’era; solo c’era
il mare, e la sua verde
pietra. Non c’era
nulla di radunato, nulla
che risuonasse in cielo. Niente
si muoveva, né qua né là; niente
nuotava nel mare di pietra. Solo
quiete, e un celibe
occhio di pietra. Niente, vi dico,
esisteva. Solo, c’era, il fragore
del mare, là, in quel buio
antico, come un’antica
pietra. 

da Bosco del tempo (2005)

Scorreva la vita come un miele

Scorreva la vita come un miele
troppo dolce, troppo forte. Salivano 
ai grandi cieli, vasti come il tempo, sacri
come un’icona, gridi
di una vita frastornante, sospesa. Abbacinàti
gli occhi stupivano. Il cuore no. A un giorno


più scuro, segreto, pensavo, alla gemma
chiusa in un suo torpido sonno, al frutto


che marcisce, stordito, tra le fronde.


da Bosco del tempo (2005)

Canto di Borea

 

Giungevi, Boréa, 

dopo i semi, le spighe, le ombre, – e i venti 
luttuosi di novembre. Giungevi.
Nel tuo regno di luce
astrale. Nel cristallo
duro, buio, di un inverno

minerale.

 

da Bosco del tempo (2005)

Immagina


Immagina una cella, una
cella umida, buia, dove
il tempo (il tempo!) più
non tessa le sue 
polverose tele, dove,

nel buio
colare delle ore (vuote
cisterne della torpente
vita), un
cardine all’improvviso 

ceda, e un filo
di luce fiotti, forte, come
di spada, dal lucernario
(immenso, altissimo)
del mondo. Così, talvolta, 
per ordine

del Caso, anche per te

è vita!


da Bosco del tempo (2005)

 

Sul mar dei mirti un giorno correvamo

Sul mar dei mirti un giorno correvamo;
vaga era l’ora, e il tempo del mattino;
dal ponte della nave guardavamo
insieme le isole beate: Citno, Serifo,                 
Sifno, Milo: nomi                                                
di miele sul quieto rame
del giorno. Tripudiava                                        

l’estate, il cielo
era un liquido sentiero: scesi
dal traghetto, anche i sandali
erano oro, il caffè                                                 

un fuoco nero.


da Bosco del tempo (2005)

O tempo


O tempo
come vento
chiuso tormento
sempre cresci e decresci, lento
esercizio dei secoli. Buio

tarlo, 
e marmorea cura,
pioggia densa, scura
di atomi sui molli
corpi che si sgretolano. Ovario

profondo 
dell’inintelligibile 
mondo: cesura, orlo
sul delirante                                     
ignoto. Nome

di niente, folgorante
vuoto. 

Da Orígenes 

E nascemmo

 

E nascemmo
alla vita che già c’era. 
Le cose
c’erano, le tante, le inaudite
cose, di cui c’invaghimmo
poco a poco.
E noi guardavamo 
l’aria che luceva 
e piove e nevi
e soli che stagnavano, tiepidi,
nelle mattine troppo 
quiete.
E guardammo, un giorno, i nomi
le parole prime, scure,
che dicono sì e no, che oscillano
tra le cose


Da Orígenes