Andrea Temporelli, nato durante gli anni di Piombo, figlio di un fiore e di un piccolo merlo, in verità non esiste, ma, per quanto gli è dato sapere, a oggi ha due figli — maschi — e una moglie — femmina. Ha scritto i libri di poesie Il cielo di Marte (Einaudi, 2005) e Terramadre (Il Ponte del Sale, 2012). Tutte le voci di questo aldilà è l’attuale titolo del suo inattuale romanzo inedito. Nel 2013 si è classificato all’incirca 76° fra gli oltre 240 poeti inclusi nel primo grande progetto di censimento della giovane poesia italiana dai 20 ai 40 anni, organizzato da Pordenonelegge.it.
Un piccolo locale (l’officina
del secolo!) sottratto
all’uso agricolo, in mezzo a ginestre
sterpaglie brugo ed erica
’57. Anni Ruggenti, recita
la legenda con tono da leggenda.
È quasi una cucina:
tra piccole finestre
due banchi apparecchiati per merenda,
un ragazzino sorpreso nell’atto
di ridere all’obiettivo in un gioco
nuovo, venuto anch’esso dall’America
Invece alle pareti sono appesi
oggetti un poco strani,
pinze punzoni pettini e palette,
l’attrezzo per la sabbia
nelle staffe – poi oliatori, conchiglie
con spine riduttrici, poi compassi
per le anime e altri arnesi
sparsi. Chi non si mette
a soffiare grafite mangia i sassi.
Se hai polmoni da uomo e buone mani,
ottone o migliarolo: non c’è scelta.
È buona per il forno anche la rabbia
Padri e figli così stanno fissati
con frastuono a una brida,
attorno al tornio girano le vite
o in fonderia: qui colano
dentro a una tazza fino a quando è sera,
nella brughiera… (E adesso, innanzi a questi
uomini incorniciati,
con le mani pulite
come ti senti tu, cosa diresti
di vero per accogliere la sfida
del giovane che sbircia anche se timido?
La tua faccia e la sua sono una sola)
da Il cielo di Marte (Einaudi, 2005)
Talvolta accade (pensa al primo uomo
su Marte) di trovarsi dentro a un angolo
dell’universo vergine e inondato
di luce (ora è un prato
o un posteggio o il cortile
stupefatto nel fango,
insomma un posto comune) ma è aprile,
magari, neanche a farlo
apposta, proprio non puoi non capire
in quel frangente che nessuno mai
se ne è andato davvero,
tutto conferma che non hai varcato
alcuna soglia, ma che il senso intero
era già lì per te, da custodire,
gratis, semplicemente.
Come quando è da poco
che parli con un’amica dopo anni
e poi vividamente
senti la voce che pronuncia il nome
e tu che prima nome non avevi
rispondi prontamente,
chiamato a stare al mondo
senza più dubbi o affanni.
Ecco, quello che pensi sia dio e in fondo
non è che una radura
che ti comprende, come
su Marte una pianura
avrà la prima impronta, esattamente
si manifesta, tanto che non c’è
nulla da dire, niente
da domandare più,
nessun luogo in cui andare o far ritorno.
Talvolta questo accade, certo, e tu
non ne hai né colpa né
merito. Accade questo, ogni giorno
da Il cielo di Marte (Einaudi, 2005)
Tu sei gli anni più belli della vita,
gioventù che non torna,
e l’amore, l’amore senza fiato.
Tu sei slancio e ferita.
Presto sarai la piega delle labbra,
il solco accanto agli occhi e l’alta fronte.
Il tuo regno è di sale che corrode.
Sei la perdita in cui avanzo, il millennio
lasciato per un’epoca diversa.
Sei il proiettile puntato alle spalle
che non esplode.
da Terramadre (Ponte del Sale, 2012)
Certifica il presente autografo
che da Cascina Bissa all’osteria ***
(chissà che tresche che bagordi un tempo,
ma adesso che è una casa scalcinata
il suo nome è una leggenda illeggibile,
i vicini garbati, discreti, diffidenti)
era feudo di Gino e Franca
e anche oltre la Mescia
su su fino in paese, pare,
o più sotto, oltre il taglio
della statale…
chi cerca terra insomma
anche solo un quadrato di bosco per far legna,
un pezzo di collina
dove stendere il palmo sopra un tronco
e dentro tanta
verticale magnificenza
beato istupidire
pensando “questo è mio”
(notaio, annota bene,
dentro a questo recinto
lo spazio a chi appartiene?)
deve chiedere a lui, signore di un bel niente,
che elargirà cospicuo beneficio.
Eccolo che discende
su un trattorino tosaerba
la conca del suo prato,
governa il suo reame
di arbusti e siepi,
fa la toeletta agli alberi,
dà l’esempio ai vicini nuovi,
perché da tempo stringe i suoi confini
ora che qualche malanno… Del resto
anche per lui il paradiso è finito
in un angolo del giardino
e non si sa più bene quale,
così concede udienza volentieri
su fatti di nessuna rilevanza
il signor Gino, fermo
sulla rete di cinta a chiacchierare:
dà ottimi consigli
per la semina e per l’estetica,
a me ha promesso per esempio
qualche pietra di fiume, levigata,
per orlare una pianta ornamentale —
ma non ho cuore di farlo contento
e mi arrangio con pietre
prive di qualità.
(Notaio, annota tutto,
riscatta questa terra da ogni lutto.
Suo figlio avrebbe avuto pressappoco
la mia età)
da Terramadre (Ponte del Sale, 2012)
Carnefice travestito da vittima
o viceversa
che importa? Ogni suicidio
è un omicidio e alla fine c’è dio
in fondo alla catena di ogni crimine.
Ma metti a fuoco la X sul bersaglio
così bene da non vedere più
quanti corpi dovrai attraversare, prima.
Altrimenti…
Anche il monaco, senti
(«Odio dio io o
lo amo?»)
fino a ridurlo a zero
nel buio della cella si avvita
attorno al proprio io.
Tu fai ugualmente:
«O immondo
il mondo sono io
perciò divento dio
e mi faccio giustizia da me». Troppo
semplice da capire, questo, troppo
ragionevole. Quindi
lascia perdere, e bada:
non c’è ironia
in questo atto di poesia che non ha fede.
(E adesso andate, su, l’amico aspetta,
agite in fretta!)
da Terramadre (Ponte del Sale, 2012)
Ma no, non c’è risentimento
nell’affanno di chiavi sulla soglia
nel guardar di scancìo la strada
nel liberar la mensola
da pacchi e lettere intatti da mesi.
Ciascuno ha preso posto
per la prima mondiale:
io assisto allo spettacolo da qui,
semplicemente.
La fronte china a terra
non è dunque rimprovero miopia o umiltà d’accatto,
solo un inchino al prato:
se la pioggia ha cessato
la sua retorica battente
adesso è bello uscire, nonostante
una bisbetica bava di vento.
Da sola si bonifica
la terra vilipesa. Se io pure
procedo tutti i giorni a questi campi
è appena per vedere:
non attendo nessuno
non ho nulla da dire
piuttosto prendo appunti
su questa pasta d’alberi. Ma scrivo
impugnando uno stelo di nipitella e quindi
non troverete segni. Lo capisco.
Mi correggo da solo.
da Terramadre (Ponte del Sale, 2012)
Chi poggiasse l’orecchio a terra avvertirebbe
il clamore di tanta pace. Alto,
il sole non dà ombra.
Non siamo preparati
a tutta questa presenza. Ma adesso
anche la virgola è un indugio
troppo rischioso
accanto alle tue labbra:
dammi la vasta allegria dell’assalto
e il crescendo di un’opera fatale,
dammi la vergine vertigine
del fiato che si rompe
dentro la polla di un cuore infantile,
dammi le spine
e le rose
e la ghiaia nel cortile.
da Terramadre (Ponte del Sale, 2012)