Alfredo Rienzi

Alfredo Rienzi (Venosa, 1959), risiede dal 1963 a Torino. Medico. Nel 1993 ha pubblicato Contemplando segni, silloge poetica vincitrice del X Premio Montale, in Sette poeti del Premio Montale, (Scheiwiller, 1993, con pref. di M.L. Spaziani); i successivi volumi Oltrelinee (Dell’Orso, 1994), Simmetrie (Joker, 2000, Pref. di F. Pappalardo La Rosa) e Custodi ed invasori (Mimesis-Hebenon, 2005) sono in parte confluiti ne La parola postuma, antologia e inediti, pubblicata da Puntoacapo Ed., Novi L., 2011, in quanto opera vincitrice del Premio Fiera dell’Editoria di Poesia (pref. di G. Linguaglossa e postf. di M. Marchisio). Nel 2015 ha pubblicato Notizie dal 72° parallelo (Joker Ed.), tradotto in Braille in quanto Premio Civitella-Pelegatti 2016; nel 2019 ha pubblicato Partenze e promesse. Presagi. (puntoacapo Ed.). Nel 2016 ha conseguito il Premio Metropoli di Torino. Suoi testi poetici sono, inoltre, apparsi nelle principali riviste letterarie nazionali e in decine di raccolte antologiche e volumi collettanei (per Campanotto, Passigli, Harmattan Italia, Progetto Cultura, CFR, Limina Mentis, Puntoacapo, Lietocolle, Di Felice, Samuele Ed. ecc). Ha collaborato con contributi critici con numerose riviste e siti di poesia e letteratura nazionali ed è inserito in diverse Antologie critiche sulla poesia contemporanea (tra cui: G. Linguaglossa, La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte, 2002, e La nuova poesia modernista italiana, EdiLet, Roma, 2010; S. Montalto, Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea, 2008; L. Benassi, Rivi strozzati – Poeti italiani negli Anni Duemila, 2010; G. Lucini, Poeti e poetiche-I, 2012; G. Linguaglossa, Critica della Ragione Sufficiente, 2018). Ha partecipato alla traduzione di OEvre poétique di L. S. Senghor, in Nuit d’Afrique ma nuit noire – Notte d’Africa mia notte nera, Harmattan Italia, Torino-Paris, 2004, a cura di A. Emina. Suoi testi sono stati  tradotti in rumeno ed inglese. Come saggista ha pubblicato Del qui e dell’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea, Dell’Orso, 2011. Ha prefatto volumi di poesia per diversi editori (Kairòs, La Vita Felice, Joker) e attualmente collabora con i comitati di redazione delle collane di poesia di Joker Ed.

Corone di cieli intermedi

 

1.
Sono tornato ad esplorare la vita
– avvolto dal manto d’oro del leopardo –
l’anello perfetto, il ciclo d’ogni cosa:
molto è cambiato dopo l’onda del pianto
ma, ancora, ho in me la perla e il macigno,
nel passo la fibra palpitante al balzo
e la parola che, detta, si dissolve.

29.
Il gracchio dal becco di corallo
(che discretamente nascondeva
nelle penne del petto, poiché
tutti ormai lo riconoscevamo)
continuò a visitarci nel moto
ellittico dei giorni.
Ci mostrava il suo passo goffo,
rovistando larve.
Grande amico, sensibile
come i maestri che sognavamo:
di nascosto spiccava il volo,
ché non tentassimo di seguirlo
sull’abisso che irrideva,
fermo nelle correnti.

35.
È da molto tempo che siamo
arrivati in quest’oltre:
ora a stento ci distinguiamo
dalle pietre che, in qualche modo
che ancora non svelano,
sono in uno madri e figlie.
Parliamo lingue più di vento
che d’uomini e certamente saremo
altrove quando arriverai:
avremo lasciato poverissimi segni,
piccoli sassi disposti in figure
che potrebbero dire.
Era tutto quello che ancora
potevamo fare.

da Corone di cieli intermedi
in Oltrelinee, Dell'Orso Ed., 1994

Non monte, non caverna


Non monte, non caverna: sacra terra
alma madre, figlio e spirito santo:
ogni nome si serra nell’eterna
attesa, nell’incanto. Più del giglio
del loto, della rosa, potrà il cuore
- orcio rosso, ampolla, candida coppa -
dirmi il nero e il chiarore delle cose.
Sii tu mia ancella zoppa nella folla
dei volti e delle forme a darmi un segno
una voce sicura e chiara. Dura
da anni quest’interregno in cui si dorme.
 
da Antinomie
in Simmetrie, Joker Ed., 2000

Nigredo


I.
Certe nebbie scendono a nascondere
i fianchi delle valli e le radure,
lungo strade e sentieri non segnati
sulle carte. Nascondersi o smarrirsi
è un’esigenza come tutte le arti.
 
III.
L’ermetista sapeva gli elementi
le quattro qualità e la quinta essentia:
è evidente che la nebbia ha duplice
natura che si spande tra acqua ed aria.
Ed agli antipodi, tra la terra e il fuoco,
io immagino la roccia fusa e il cuore
della Terra, la lava del vulcano:
ma il De Arte Combinatoria afferma:
secca, è la qualità tra fuoco e terra.
 
XII.
S’annidano tra i legni antichi e nuovi
tra i nodi che disegnano cifrari
gli dèi intermedi, i morti, i quasi umani
non è cosa da poco in questa notte
l’ostia esigua della luna calante
ogni minuta stella al buio riluce
del suo segno, della sua offerta muta
ricadano nel solco dei dormienti
le voci che non hanno ancora corpo
ché volga anch’io alla quiete della terra.
 
XXXI.
Ah radici, muschi, semi germoglianti
fanghi, cristalli e sali della terra:
fatevi in me. Perché il settimo giorno
la quiete sia merito e compimento.

Da Nigredo (1997-98)
in Simmetrie, Joker Ed. 2000

La questione del nibbio



Resta incerta la questione del nibbio
quando immobile nell’aria governa
le brezze che scorrono tra le piume
con ali distese che non mostrano né spasmo né dolore
e si fa simbolo: croce imperfetta ed anello dell’immanente morte.
 
Si dice che il rapace fermo in cielo
assuma posa come di spirito santo nelle icone pentecostali
sulla fronte del Cristo del Verrocchio mentre il Battista innesca il suo destino.
 
Il dilemma è proprio in questo offrirsi
paradosso del predatore in veste
di bianca e santissima colomba o, all’inverso, nell’atteggiarsi
ardito, inebriato e forse commosso
della palomba (condannata a un volo battuto ed insistente,
miracolata per divina scelta e per un simbolismo di maniera)
nella suprema posa del falcone.
 
Ma spesso i ruoli cambiano
con le occasioni e tra vittima e predatore
si stringono alleanze insospettabili:
un vicendevole amore dilata l’ostia esigua del dare per avere:
io le ho viste bene, arvicole e lepri,
squittire e porgersi in luce incidente,
chiamare l’angolo giusto alla vista
del rapace, scegliersi il carnefice,
farsi dono esiziale,
nell’attimo estremo amarne l’artiglio
e, non trascurabile fattore per le creature di terra,
desiderarne il volo.

Da Custodi ed invasori, Mimesis-Hebenon Ed., 2005

L'evaso


                                                                        Sono come un’ombra tra quelle ombre che una volta
                                                                        bevuta l’acqua terrena non hanno spento la sete
                                                                        tornano sul proprio cammino pietroso
                                                                        (A.A. Tarkovskij, traduz. di G. Zappi)
 

Fuggiremo la notte che verrà,
quando anche il gallo dorme sonni di cartapesta
e il cibo avvelenato avrà stordito la bestia mezzo cane e mezzo lupo.
           Balzeremo nel mondo di pericoli pieno
           deboli, nudi, strillando forte
           come demoni carcerati in nuvole
.
Il buio sarà complice e alleato ma indosserà la maschera
d’inganno del nemico che non parla e colpisce a tradimento.
 
Gli aguzzini avranno torce frugando arbusto per arbusto il sottobosco
ma la luce negli occhi può abbagliare
disegnare ombre e scorci inaffidabili
distorcere i dettagli più importanti mostrando vaghi anfratti innanzi al passo.
Noi avremo occhi nudi e la pazienza immobile e stentorea del fachiro
             impareremo a trascinarci in terra
prima di scegliere la direzione aspetteremo il tempo più accogliente
abituando la rètina allo scuro
finché non basti qualche effusa stella a dar contorno agli alberi e al sentiero.
O sperando che il lampo riveli e non colpisca.
 
Da Custodi ed invasori, Mimesis-Hebenon Ed., 2005

La parola postuma


                                                          il mondo era così recente, che molte cose erano prive di
                                                          nome, e per citarle bisognava indicarle col dito
                                                          G. Garcìa Marquez, Cent’anni di solitudine
 
                                                          Più non dicono i poeti degli Dei
                                                          Questi, incupiti e sdegnosi, tacciono
                                                          Ed affidano i rivoli del verbo
                                                          All’altre creature del quinto e sesto giorno

 
I.
La Parola fu perduta la prima
volta nel tragitto tra bocca e orecchio
 
       (tra una bocca e molti orecchi, sostiene
       un’altra fonte e una tradizione delle terre argillose
       narra tra molte bocche e un orecchio – chissà – l’inesatta ricostruzione
       degli eventi spesso inquina il presente,
       figuriamoci un passato remoto e renitente…)
 
fu un boato improvviso che sovrastò il suono ondulato delle prime vocali
forse il più antico dei tuoni o un vulcano insonne, la voce stessa di Adonai
o l’idea dell’ordigno originale che s’inscrisse nel genoma umano
 
così giunse all’orecchio solo un fragore d’aria
un urto indistinto.
 

[…]
 

IX.
Chiamatela perversa ostinazione.
Ma se la Fenice risorge
e rinnova l’ordine delle piume
le geometrie del becco, l’ardita simmetria d’ogni sua parte
la veggente precisione dell’occhio…
 
O chiamatela ingenua allegoria
che adorna di narcisi il sottobosco dopo l’alito nero dell’ustione.
 
O più semplicemente chiamatela speranza:
che tra le cenere si sia salvata
almeno una silente curva della Shin.
 
Da La Parola postuma - Antologia e inediti
puntoacapo Ed., 2011

Partenza e promessa


I.
Era notte fonda e il gallo cantava
già. Grazie madre cara, e scura
per il lume che hai tenuto acceso
mangia un po’ prima di metterti in viaggio
pane indurito e sale, non c’è altro.
 
        Porta questa con te, mettila vicino al cuore
        aiuta a ritrovare i sentieri
        dove si è già passati
avvolgevi accorta in uno scampolo
di tela cerata un pizzico di cenere
        Porta con te la nostra famiglia.
 
Da La Parola postuma - Antologia e inediti
puntoacapo Ed., 2011

Di Arcadio e di un suo pensiero fluttuante


                                                           Mi conosci questi pensieri
                                                           non dimeno mi parli di felicità, e io ascolto.
                                                           (M. Luzi)
 
Svenduta la sua casa familiare
gli somiglia di più l’attuale condizione
d’affitto, d’ospite a scadenza.
Ha nuove mura e un comodo scrittoio
i vanagloriosi o dolenti oggetti
le risorte cornici, le penne dei rapaci.
Ma cosa è suo, cosa gli è prestato?
Meglio, così, si specchia ogni mattino
il suo pensiero fluttuante d’instabilità
e il suo abitare i vani grigio chiaro
e gli scuri del cranio, del torace e
il palco d’ossa da ristrutturare:
stesse regole per l’uso e la scadenza,
sola differenza, in questa sua materia,
un prezzo più alto e un tempo meno concordato.
 
Da Notizie dal 72° parallelo, Joker Ed., 2015

Anosh riconosce l'inganno e gli ingannatori


                                                              Lontano
                                                              si lamentano i cani e confonde
                                                              l’insonnia gli errori della vita
                                                              (G. Lucini, Istruzioni per la notte, I.)
 
Conosco l’inganno e gli ingannatori
la frode e i frodatori
e mi lascio ingannare, e frodare
perché so stare al gioco e compiacere
il bagatto e la sua asta e la giocoleria del suo occhio alboreo.
 
Gli alberi erano bianchi:
di neve o di fiori non importa:
dell’una o degli altri l’impermanenza
ho appreso e il trucco dell’apparire e del mutare.
Voi dite: è naturale
ma anche il tempo come il mare è a volte qualcosa di abissale.
 
Così l’ingannatore mi sorride
ingannato dalla mia falsa resa
e il frodatore annusa il molto nulla
che gli ho concesso, lo soppesa, mostra
ai suoi sodali quel che pensa esserne
il centro, lo stringe tra pollice e indice
si accanisce sui margini di fumo
ma non giunge a farsene un’idea
a estrarne un asterisco, un duepunti, una moneta falsa o fuori corso.
 
Gli alberi erano rossi:
di frutta o di sangue non importa.

Da Notizie dal 72° parallelo, Joker Ed., 2015

Ivan Georgiy


Eccomi qui,
nudo ed immobile
come un pianoforte:
ebano ed avorio
sono forme-pensiero
ai confini del mondo noto
un futuro di volti e meduse
è la nostra follia transumante.
 
Da Notizie dal 72° parallelo, Joker Ed., 2015