Alessandro Rivali è nato a Genova nel 1977. Si è laureato in Lettere a Milano con una tesi sull’immagine della guerra negli anni della Belle Époque. Lavora come editor per le Edizioni Ares di Milano e collabora con diverse testate giornalistiche. Le sue poesie sono state pubblicate sulle principali riviste di poesia italiana. I suoi libri di poesie sono La riviera del sangue (Mimesis, Milano 2005) e La caduta di Bisanzio (Jaca Book 2010). Nel 2010 ha pubblicato il libro intervista Giampiero Neri. Un maestro in ombra (Jaca Book) e nel 2015 ha curato le lettere inedite di Eugenio Corti dal fronte russo (Io ritornerò - Lettere dalla Russia 1942-1943, Ares). Nel 2018 ha pubblicato “Ho cercato di scrivere paradiso”. Ezra Pound nelle parole della figlia. Conversazioni con Mary de Rachewiltz (Mondadori). Tiene corsi e incontri di introduzione alla poesia nei licei. Vive e lavora a Milano.
Foto di Davide Coltro
La sciarpa rossa che ancora ritorna
nelle ondate dei tuoi sogni
porta biciclette forate d’inverno
e androni ghiacciati di collegio.
Mura che a Novi attendono all’ombra,
nella posa ferma del mastino.
L’orologio dorato a guardia della spalliera
riemerso dal fuoco dei lutti
– e nostra icona dei morti –
calca sulla mia fronte.
Memoria che cola nella memoria
di generazione in generazione.
Da La riviera del sangue (2005)
In memoriam
Ora danzi nella mandorla di luce.
Scorre il nastro delle generazioni:
i Parodi, i Germi, i Rivali,
e i molti richiamati dal mare.
Vedrai la traiettoria, la freccia, il senso,
passare sulla collina delle croci.
Sarà di nuovo a fuoco
il nostro viaggio di marmo e ardesia
e quel roseto
e quegli spalti sul mare.
Da La riviera del sangue (2005)
Si ritira il sipario della pioggia
e appare la schiena ricamata del Duomo.
Ha lo splendore di una donna
l'ultimo anno del liceo.
Mentre le seduzioni della guerra
mietono ogni memoria,
sogno l'Europa delle cattedrali e della luce.
Da La riviera del sangue (2005)
Domani costruiremo sui gorghi
delle limature, sui sabbioni
dei bachi mai dischiusi,
o saremo la sibilla
intravista nei cerchi di Tirana
a contendere la carne ai cani?
Saremo calchi imploranti,
gli ustionati di Ercolano,
gli spazzati via in tutta luce,
gli spezzoni incendiari
appesi alla schiena di Dresda?
Forse disegneremo il vento
intrecciare le pietre di Sirmione.
Adesso il fiore passa nel fuoco
e sono strette
le doglie del parto,
lungo e spinato lo stelo
che conduce alla rosa.
Da La riviera del sangue (2005)
Allo scrittore tornato dalla Russia
Aveva cercato di chiudere la vita
nella perfezione della pagina.
Che pulsasse il vero nell’opera,
– la piena adesione –
ininterrotto come il cardio,
o la polare ardente sul mare.
Su tutto prediligeva
cammei di donne bellissime,
evocate per l’esattezza del profilo,
onda di una lunga nostalgia
e luce di una sola contemplazione.
II
La natura, l’erba ostinata sui binari
lo riportavano al disegno,
ne intuiva lo sfondo,
anche se così sfumati i dettagli.
Molti – trasparenti – si addensavano
intorno a lui nel fervore dell’opera.
Chiedevano dell’altra vita
e la pietà del ricordo.
Per questo era scampato alla Caina,
al lungo bruco dissolto nel gelo.
Da La riviera del sangue (2005)
Il vento trascinava città
e disperdeva eserciti:
chiedevano l’origine al vento
e il fuoco danzava sulle scapole.
Sono rossi gli occhi dei mistici.
Metti la lingua nella loro brace:
muoverai le sorgenti dei secoli.
Sognava il martire
disfarsi sulla graticola,
un calore di pari misura
nutrire l’ossessione,
il paradigma del poema,
la perfezione delle pagine.
Ritornava la spirale del fuoco,
la cortina delle batterie,
gli spezzoni incendiari
che foravano le cattedrali.
Se un elemento intreccia il desiderio,
ha il delirio del fosforo bianco,
della dentiera dei gas,
dell’aria sugli altiforni,
della fornace che muove i piroscafi.
In quel rovescio di fiamme,
tra colonne di bitume e crateri,
a Bisanzio si concludeva la storia.
Da La caduta di Bisanzio (2010)
Raccontami ancora di Plinio,
l’ostinazione della scrittura,
la prua verso la scogliera.
Come avrebbe fissato segni,
impressioni, fatti notevoli
e la fine giunta inattesa.
Ricordami la seduzione del fuoco,
il vortice dei vapori, il veleno
che serpeggiò tra le caviglie,
l’aria tramutata in siero.
Padre, adesso che non puoi,
riprendi il filo del sangue versato,
la danza macabra di Barcellona,
le lingue di fiamme dai rosoni
e la fuga dei Rivali nel ’36.
Da La caduta di Bisanzio (2010)
Le città ardevano sul petrolio,
sulla distesa d’ossidiana:
miriadi di ceri, necropoli,
scrosci verticali di sangue
sul cerchio dei decapitati.
Pilastri contrastavano il fango,
foreste di guglie annerite,
Dresda e Varsavia sotto i colpi.
Nella fiumana di pece
nuotavano i dissepolti
sferzati da grani di piombo.
Con la vampa saliva una luce nera;
prima che lo scenario fosse
una pista calcinata sull’oceano,
spazzato da un vento
azzurro e primordiale.
Da La caduta di Bisanzio (2010)
In quella dominante di detriti
ai rami s’intrecciavano sudari
e bende alzate dalle radiazioni.
Sciami tempestavano i volti,
spezzavano l’uniforme distesa,
il silenzio precedente la fine.
Il vento continuava l’opera,
distogliendo i fiumi dal corso,
disegnando visioni sulla roccia.
Da La caduta di Bisanzio (2010)
Colori e ore in luce senza tempo,
la conoscenza di quanto era stato,
incontrare i cari dopo la morte.
Si affollavano quesiti
sulle pitture del giorno terribile:
trombe a chiedere la fine,
bruciature di tuniche e timpani,
angeli in cammino sulle strade.
Sognava invece un docile richiamo,
quasi un battere di mani alla sera
per richiamare i cani in casa,
un segno di tenerezza
a quanti cercavano Dio nella storia,
implorando luce nella bufera.
Da La caduta di Bisanzio (2010)
Gli uomini lasciavano le case
correndo sul mare di cristallo,
dove spirava un vento originario.
Così scendeva la città nuova
a fare superfluo l’arco del sole.
Non più acque stagnanti
o cadaveri rilasciati dai coralli,
ma gioia di rivedere la sposa,
collirio sulla polvere degli occhi.
Da La caduta di Bisanzio (2010)