Stefano Simoncelli

Stefano Simoncelli è nato nel 1950 a Cesenatico e da circa dieci anni vive all’Acquarola sulle colline di Cesena. Nel 1982 ha pubblicato presso Guanda “Via dei platani” (premio Mondello opera prima). Nel 1987 “Poesie d’avventura” presso Gremese. Nel 2005 “Giocavo all’ala” presso Pequod (premio Gozzano). Nel 2006, sempre con Pequod, “La rissa degli angeli”, nel 2012 “Terza Copia del gelo” (premio Diego Valeri giuria popolare) e nel 2014 “Hotel degli introvabili”.

(non mi orizzonto mai)


                                       a mia madre.

Non mi orizzonto mai 
nei mattini troppo luminosi
e a occhi semichiusi mi trascino,
oggi che è arrivata primavera,
da una camera all’altra
fino al ballatoio,


al terrazzo, 
annusando l’aria
come una bestiola smarrita
in cerca dei tuoi vestiti, le calze,
le scarpe rigorosamente senza tacco
e penso come è vano il mio fuggire
per ritornare fradicio di niente 
e rattrappito fino alle ossa 


se non riesco ad andare
un solo centimetro più in là
dei rocchetti colorati di cotone
e le scatoline stracolme di bottoni
che hai lasciato sulla vecchia singer.


da "Giocavo all'ala", 2005

(ti lasciavi pettinare)


Ti lasciavi pettinare 
come fossimo nel salone
di un rinomato parrucchiere.


“Stasera viene a trovarmi la Maria” 
sussurravi sprofondando poco 
alla volta in un viaggio
esclusivo di pillole e fiale
fino a raggiungere porti abitati
da chiari di luna, vuoti di memoria,


parenti mai ritornati da Stalingrado
o lo scintillio magico degli spilli 
per le messe in prova notturne 
alle attrici del Carro di Tespi.


Rivedevi lampi di paillettes,
sfarzose nuvole d’organza,
la sensualità dei velluti
e in quei sogni artificiali
forse sei stata anche felice.


da "Giocavo all'ala", 2005

(sul terrazzo all’aperto)

 

Sul terrazzo all'aperto
di un altro aprile impietoso
mi è sembrato - oh, un attimo! -
che tu sia ritornata per aiutarmi
a stendere i lenzuoli del bucato


oggi che tira vento dal mare,
volano le tende
e la casa mi gira intorno
come una giostra, si capovolge:


i pavimenti diventano soffitti,
le pareti, con quadri e libri,
pavimenti. Ogni cosa sottosopra
insieme alla mia vita che va per nuvole
e strapiombi mentre salgo di corsa le scale 
fino al soppalco, al tetto, all’oblò del solaio. 


Ci sarà, ti domando, un punto preciso
di aggancio o una piattaforma
da dove prendere il volo?
Basterà una tenda? 
Un lenzuolo?


da "Giocavo all'ala", 2005

(bisbigliano tra le luci al neon)


Bisbigliano tra le luci al neon
sotto la pensilina. Vogliono
che tenda l’orecchio
e li riconosca uno alla volta
mentre arrivano i treni notturni 
alla stazione della memoria. Chi siete? 
Da dove venite? vorrei chiedere,
ma sbanda la mia ombra 
sul marciapiede di tante partenze 
improvvise, il cuore si rattrappisce,
manca l‘aria…“Mia moglie è con voi? 
Fatemi ascoltare ancora la sua voce” 
supplico spalancando le braccia 
nel sogno ormai spento.


Da "terza copia del gelo", 2012

(si schierano dietro al collegio Pascoli)


Si schierano dietro al collegio Pascoli
sul campetto intriso di pozzanghere,
senza righe e con quattro pietre
al posto dei pali. “ Sbrigati,
tra poco sarà buio” sembra che gridino
sbracciandosi verso la mia finestra
dove resto immobile, non respiro,
mentre transitano gli inverni,
vento gelido dopo vento gelido,
bufera di neve dopo bufera di neve,
fino a un improvviso squarcio di sole
accanto all’invidia con cui li intravedo
dare calci al pallone, quello di una volta
con le cuciture di corda e più pesante
del dolore, più viscido del tormento
di essere qui, forse in un sogno
o forse morto senza saperlo.


Da "terza copia del gelo", 2012

(elaboro una solida struttura di difesa)


Elaboro una solida struttura di difesa
incollandomi addosso articoli
di quando giocavo all’ala,
tessere di puzzle, spille da balia,
fogli protocollo di compiti in classe
consegnati in bianco, sbiadite fotografie
dello Sport Illustrato dove c’è Sivori,
la faccia sporca, sporco di terra
anch’io, forse sepolto da tempo,
mentre qualcuno mi chiama
con un debole fischio
accendendo un lumino da cimitero
sopra un cortile d’inverno. Mi affaccio
e vedo, sparse sulla neve, briciole di pane
con tracce fresche di stivali da caccia.
Nell’aria l’inconfondibile odore
di mentine Saila e tabacco.
Esco dalla struttura
e mi arrendo.

(a Massimo Raffaeli)


Da "terza copia del gelo", 2012

(“Vieni a vedere!”)


“Vieni a vedere!” m’invita gridando dall’altra riva 
qualcuno mimetizzato nelle ombre dei portici 
tra la vecchia tabaccheria dell’Ivonne 
e il portone di Arfelli. Non so 
cosa ci sia che non abbia già visto,
ma mi avvicino entrando nella nebbia
che è venuta su dal canale. Da ogni parte 
crepe provocate dalle esondazioni e calcinacci. 
Ci troviamo al limite estremo degli annaspamenti. 
Più avanti si annega. Circa a metà rami galleggianti 
e detriti. “Sprofonda tutto” provoca quella voce
“non è questo che volevi?” . “Un tempo forse,
accecato dall’ira, ma adesso, adesso …”
balbetto cercando al tatto segni 
di più remote e resistenti incrostazioni 
sui muri intirizziti di una casa ormai in rovina
da cui arrivano d‘improvviso squilli intermittenti. 
“Non è più qui” incalza inesorabile quel qualcuno
interpretando i miei sguardi e in che direzione.
“Ma là dentro suona il telefono, non senti?”
gli urlo e vorrei stanarlo dalla nebbia,
strattonarlo ... “Lascia che suoni”
risponde invisibile e deciso
“lascia che suoni …”.


Da "terza copia del gelo", 2012


(per alcuni anni, prima di addormentarmi)


(a mio padre) 


Per alcuni anni, prima di addormentarmi, 
ho sperato sarebbe venuto a prendermi
come davanti al portone della scuola
quando gli consegnavo la cartella
e mi aggrappavo al suo braccio. 


Sarebbe stato là, sul marciapiede,
mi illudevo, distante da tutti e fumando,
ma niente, nemmeno la brace della sigaretta 
a luccicare nel buio dove lo immaginavo. 


Poi in un’alba livida e piena di vento,
quando ormai non ci contavo più, 
si è aperta e richiusa la porta dove dormivo 
e l’ho visto: era lì, ai piedi del letto,
che mi aspettava fumando.


da “hotel degli introvabili”, 2014

(hanno lasciato che fotografassi la villa)


(a Daniela, Tea e Margot)

Hanno lasciato che fotografassi la villa
e gli ulivi in fila come un’uscita scolastica.
Poi, dal finestrino dell’auto, un piccolo lago 
dove  portano ogni giorno a nuotare i labrador.


Ne ho due anch’io che aspettano dietro alla porta
dove ho telefonato. “Diluvia” ha urlato la mia gioia 
“e una frana ha tirato giù una parte della collina”.
“Non abbiate paura” ho risposto “vi proteggo”
Molto di più, vi amo, sussurro a me stesso
attraversando il paesaggio frantumato. 


Tra poco compirò sessantatre anni, 
ma se guardate bene là in fondo
vedrete che ritorno di corsa
con aspetto trasparente e sereno
tra querce che mi si piegano addosso.


Louquedoc-Roussilion / Acqurarola 
ottobre-novembre 2012


da "hotel degli introvabili", 2014